Calcionews24
·02 de agosto de 2025
De Biasi: «La mia fascia ha guarito Baggio. Chi sale con la piccozza si gode un panorama migliore. L’Italia, che rimpianto. E su Cairo…»

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Ha scalato la montagna del calcio «senza usare l’elicottero», partendo dalla provincia più profonda e arrivando a compiere un’impresa storica, portando l’Albania a un’incredibile qualificazione europea. Gianni De Biasi è un uomo di campo, un allenatore che ha fatto della gavetta e della passione la sua bandiera. Dalle battaglie da mediano ai successi in panchina, passando per un rapporto speciale con campioni come Roberto Baggio, si è guadagnato il rispetto di tutto il mondo del calcio. Oggi, in attesa di una nuova, stimolante chiamata, si racconta a La Gazzetta dello Sport: un viaggio tra ricordi, aneddoti e un grande, enorme rimpianto chiamato Nazionale.
LA DELUSIONE ALL’INTER CON MAZZOLA – «Stagione 1975-76, sono un centrocampista di belle speranze e mi mettono in camera con Sandro Mazzola, un mito. Mazzola tiene accesa la luce fino a notte inoltrata perché deve scrivere la sua autobiografia. “Gianni, ti dà fastidio la lampada?”. E io: “Ma no, ci mancherebbe”. Invece sì, mi disturbava parecchio il sonno. L’amarezza vera però è un’altra, è il mancato debutto in Serie A. A Perugia sto per entrare, poi si fa male qualcuno e il mister, Chiappella, cambia la scelta».
IL SUO MAESTRO GIGI SIMONI – «In realtà sono nato mezzala. Il Brescia è stata la squadra in cui ho giocato di più e in cui ho avuto Gigi Simoni come allenatore. Mi chiamava il suo “cavallino”, mi sarei buttato nel fuoco per lui. Un maestro. A Brescia arrivai come contropartita nell’affare Beccalossi. Marcare il “Becca” era impossibile, non gli portavi mai via la palla, per fermarlo dovevi menarlo».
LA SUA FILOSOFIA DA ALLENATORE – «Ho fatto la gavetta vera, nella provincia più profonda. Non ho mai avuto un procuratore, ho detto per due volte no alla Gea. Ho scalato la montagna senza usare l’elicottero. Chi arriva in cima con la piccozza si gode un panorama migliore».
QUANDO “GUARÌ” ROBERTO BAGGIO – «Nel 2003-04, la sua ultima stagione. Aveva le ginocchia a pezzi e questo gli procurava problemi alla schiena. Io usavo lo scooter e attorno all’addome mi mettevo una fascia elastica, in neoprene. Una specie di cintura del dottor Gibaud. Un giorno gli faccio: “Robi, prova questa fascia”. Lui la prende, la indossa, ci gioca e non la molla più: risolti i guai al dorso, stabilizzata la postura. Or a che ci penso: “Robi, quella cosa non me l’hai più restituita!”».
IL RAPPORTO CON URBANO CAIRO – «Con il presidente, Urbano Cairo, ci sono state delle incomprensioni, tutte risolte. Mi ha fatto molto piacere che mi abbia invitato al suo compleanno e che dal palco abbia detto: “Agli inizi del mio percorso al Toro ho fatto una pazzia, ho esonerato De Biasi”. Mi diceva che sarei stato il suo Ferguson e un po’ lo sono stato, anche se… a rate».
IL CAPOLAVORO CON L’ALBANIA – «Qualificati all’Europeo del 2016, con vittoria in Portogallo, contro CR7. E l’amicizia con il presidente Edi Rama, un gobbaccio juventino, ma che importa. Rama mi ha concesso il passaporto diplomatico albanese, con cui vado dappertutto e che mi ha risolto vari problemi in Paesi difficili. Ogni volta che c’è una fila io tiro dritto».
IL GRANDE RIMPIANTO CHIAMATO ITALIA – «Mi chiamò Michele Uva, allora direttore generale della Figc. Il ct Conte aveva annunciato che, dopo l’Europeo, sarebbe andato al Chelsea e io ero in pole per sostituirlo. È vero che il presidente della federcalcio albanese mi disse che non potevo mollarli, ma credo ci sia stato dell’altro, non lo so. Mi resta un grande rimpianto, anzi un’arrabbiatura terribile».
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