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·23 agosto 2022
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·23 agosto 2022
Lo sportswear è una delle sfumature dell’industria del calcio che più di tutte è accessibile ai tifosi.
Per ogni appassionato di questo sport, infatti, il momento del reveal delle casacche della propria squadra del cuore rappresenta uno dei momenti topici della stagione. Una scelta stilistica che accompagnerà i propri beniamini per tutto l’arco del campionato e che contraddistinguerà quell’anno sportivo, all’insegna del tifo.
Può essere quindi definita, senza esagerare, come l’anima più simbolica del football. Il collegamento tra società e fan, la possibilità di tingere tutti insieme dello stesso colore lo stadio di casa durante la stagione.
L’occasione per sentirsi parte di una comunità.
La scelta dello sponsor tecnico e delle idee creative sono quindi davvero importanti per ogni club volenteroso di tenersi stretti i propri tifosi. Ed è affascinante notare come l’approccio cambi a seconda dei connotati della squadra, della sua grandezza, della sua fan base.
Scelte commerciali oculate che si tarano sulla conoscenza della propria piazza e della propria dimensione. Con le società più facoltose e potenti che optano per i fornitori, mentre quelle più piccole e dalla nomea meno roboante sui produttori.
Adottando, quest’ultime, una strategia completamente affine al territorio, personalizzando di molto i propri kit, come a volerli cucire addosso ai fan. Una seconda pelle da accostare al cuore pulsante della gente nei confronti della squadra, con un approccio dedicato alla propria tifoseria. Meno ampia e diffusa, ma così facendo più intima e legata alle radici del tifo.
Un brand che è da sempre produttore di divise attraverso questa mentalità è sicuramente Erreà. Il marchio di San Polo di Torrile (Parma) vanta infatti un portafoglio clienti molto ben delineato, indirizzato verso una dimensione calcistica popolare. Realizzando completi specificatamente consoni ai colori e al DNA del proprio partner, esaltandone le tradizioni.
Dal Parma, al La Florentia San Gimignano, passando per il Lugano durante questa stagione, con un kit indelebilmente legato ad un simbolo della città elvetica. Ma gli esempi sono davvero tanti.
Questa forma mentis e questa vision nei confronti del football ci hanno portato a covare il forte desiderio di intervistare i protagonisti di queste scelte aziendali. Dall'ufficio marlketing, ai responsabili artistici, trainati dal talento e dall’esperienza del Creative Designer & Football Art Director Alberto Mariani, in arte Rupertgraphic.
Una realtà che ha sempre voluto combinare la propria vision e quella dei propri clienti con il core business dell’azienda, dando un valore significativo e concreto all’identità, valore non più scontato, ma esposto al rischio del business.
Tra i tanti, affascinanti, lavori uno su tutti ha catalizzato la nostra attenzione: quello con il Port Vale Fc, società militante in Football League Two, legata ad Erreà ed artefice, insieme al brand, di una campagna reveal straordinaria, con protagonista una star della musica del calibro di Robbie Williams.
Questa è una delle tante scelte commerciali che abbiamo voluto farci raccontare.
Credit to Robbie Williams
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L’approccio al calcio da parte vostra è completamente diverso rispetto a quello di altri brand di sportswear. Ad una politica dedita al modello standard poi customizzato in alcuni dettagli a seconda del club, infatti, preferite invece un approccio più intimo e legato ad un alveo specifico di società e Nazionali, puntando le realtà più di nicchia e meno inflazionate. Così da costruirci un disegno e un lavoro totalmente tailor-made. Da cosa scaturisce una vision di questo tipo? Cosa la motiva?
Scaturisce dalla nostra natura di produttori, dal nostro DNA, siamo sempre stati così e cerchiamo di lavorare con società che condividono questa visione
Nel mondo del calcio e dello sport in generale, i clienti non sono mai solamente clienti. Sono realtà seguite da una fan base, sia questa più o meno ricca, e nonché ambasciatori di un DNA societario, dato da storia, colori e tradizione. Partendo da queste considerazioni, come avviene l’approccio con un nuovo partner? Quali sono le analisi che fate e, successivamente, tutti gli step del percorso?
Credit to Erreà Sport
Come appena detto cerchiamo di lavorare con squadre che condividono la nostra visione e che sono alla ricerca di un prodotto e di una linea personalizzata, creata tendendo conto della storia del club e delle richieste della fan base.
In genere impieghiamo tra gli otto e i dieci mesi. Offriamo un servizio quasi su misura. Innanzitutto, ci sediamo e ascoltiamo il cliente, cercando di capire le esigenze di un club, che sono diverse in ogni caso, indipendentemente dal fatto che si tratti di dilettanti o professionisti.
Da lì lavoriamo a un pacchetto su misura. Ad esempio, le esigenze del Parma Calcio sono diverse da quelle del Queens Park Rangers. Una volta comprese le esigenze, elaboriamo una nostra visione che possa essere in linea con le richieste e i desideri del club, lavorando fianco a fianco, coinvolgendo tutti, dalle vendite ai designer, passando per i modellatori e la produzione. Ogni reparto è coinvolto nella creazione e nella realizzazione di una linea personalizzata. Questo processo viene avviato in ogni caso, sia per il Parma che per la Nazionale italiana di pallavolo, ma anche per un club non professionistico.
Ciò che ci differenzia è proprio questo, ovvero che siamo dei veri e propri produttori e questo ci permette di creare divise ad hoc per tutti. In questo modo siamo in grado di fornire un prodotto unico e personalizzato, caratteristica che negli anni è sempre più richiesta dai clienti.
Il caso del Port Vale Fc è davvero eclatante e interessante, essendo stato capace di unire, sotto un fine comune, una superstar come Robbie Williams ed un club storico, ma militante in Football League Two, una categoria molto distante dallo sfarzo e dalla visibilità della Premier League. Siamo quindi molto curiosi di chiedervi quale sia stato il percorso che ha permesso il reveal del kit di questa società da parte di un’artista così di spicco. È bastato il tifo a convincerlo o è stata necessaria una strategia precisa? Era sin da subito il vostro obbiettivo o c’è una storia particolare che ha condotto a questo rapporto?
Il Port Vale è una squadra storica, amiamo lavorare con squadre di League 1 e League 2 dove la passione per la propria squadra è ancora più viscerale e sentita. L’iniziativa è nata assieme al club, abbiamo avuto la fortuna di andare personalmente a casa di Robbie Williams e lavorare sulle maglie assieme a lui.
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Sei un Creative Designer & Football Art Director, noto anche grazie al tuo nome d’arte Rupertgraphic, e fai della creatività la tua colonna portante. Lavorare per una società di calcio, rispettandone i dettami dirigenziali e le necessità artistiche dettate dalla storia, dai colori e dalla vision limita il tuo potenziale creativo o lo eleva, dovendo creare qualcosa di originale e mai visto prima, partendo da una fantasia, in termini di kit, la cui falsariga è influenzata da tutti questi fattori?
Creare qualcosa di mai visto prima, nel calcio, è molto difficile, detto ciò è possibile dare una propria interpretazione di una maglia con delle variabili. Avere dei limiti e delle aree in cui muoversi, una zona maglia di un club con i suoi colori e simboli non la vivo come limitazione, anzi mi stimola a trovare soluzioni all’interno di questa area. Esattamente come un campo di calcio: le linee che lo delimitano non frenano la creatività dei calciatori che lo calcano.
Il lavoro realizzato da te e da Erreà per le nuove casacche 2022/23 del Port Vale Fc ha davvero colpito la nostra attenzione. Com’è lavorare con club così distanti dai vertici del calcio nazionale?
Credit to Erreà Sport
Il progetto Port Vale, con questa nuova proprietà, è partito nel 2019, con l’intuizione di coinvolgere Robbie Williams nella progettazione e divulgazione della maglia.
Io ho seguito in prima persona l’incontro con lui e la creazione della maglia 20/21 e seguito le lavorazioni di queste stagioni insieme a diversi colleghi in team.
La maglia di quest’anno, in particolare, è nata dall’intuizione di un mio collega, Adriano Alifano. Lavorare con i club inglesi Pro è altamente formativo, la loro competenza sul prodotto tecnico è davvero alta, forse la migliore in Europa, nulla da invidiare al calcio di vertice italiano, anzi.
Pensi, per esperienza, che la categoria incida sui progetti artistici di una società?
Al netto dei regolamenti, che a seconda delle categorie consentono alcune cose e ne vietano delle altre, personalmente non mi influenza come processo creativo. In Erreà ho imparato che creare una maglia personalizzata è un valore e una attitudine che va oltre a dimensioni e blasone del club, è un servizio, un approccio che trascende da questi fattori. Quello che può segnare una differenza sono le necessità dei club e di ciò che vogliono comunicare, una diversità, quindi, di temi e sensibilità e di posizionamento della maglia.
Quello che cambia sicuramente è l’atteggiamento dei club e le catene decisionali dei medesimi (talvolta complesse). I club più piccoli o di categoria più basse hanno meno barriere culturali e talvolta esaltano la creatività e lasciano libertà, questo per la mia esperienza di questi anni.
Secondo te un progetto come quello con Robbie Williams può essere ripetuto in Italia?
Il progetto Robbie Williams ha una base molto solida che lo ha reso possibile, ovvero il fatto che RW sia davvero un tifoso del PortVale. Il suo è un tifo viscerale, affettivo, familiare, autentico e gratuito. Senza questo presupposto diventa tutto più complesso.
Il secondo aspetto è la visione del club e la disponibilità dello stesso a cercare di sostenere e gestire un progetto del genere, non ultimo, serve un brand come Erreà, produttore e flessibile e votato alla personalizzazione che possa rendere fattibile il coinvolgimento esterno nel progetto di maglia. Con tutti questi elementi, credo si possa riprodurre ovunque.
Ci troviamo in un periodo storico in cui tante società si trovano a vestire modelli di divise identici, con i colori come unico punto di discrimine. Vediamo kit tutti uguali, a volte viziati anche da maldestri tentativi di innovazione, che poi però non vengono apprezzati dai tifosi, voltando completamente le spalle all’identità dei club. Pensi che questa politica di omologazione svilisca un settore come quello dello sportswear?
Vi sono dei casi e degli esempi che hai apprezzato di più per essersi mantenuti originali e stilisticamente diversi, ma rispettosi di storia e tradizioni? Come descriveresti la situazione in Italia?
Indubbiamente, quella che viene percepita come ‘omologazione’ è il risultato di politiche di immagine e posizionamento che fanno prevalere il brand tecnico sull’identità del club che hanno volutamente confinato la personalizzazione a piccoli dettagli. Io ho cominciato a lavorare in questo settore proprio con la convinzione che quel tipo di concezione di maglia, da tifoso, mi infastidisse e mi allontanasse. Da designer che lavora nel settore poi ho compreso alcune di queste scelte da parte dei brand, le rispetto ma rimango di una idea diversa, basata sulla caratterizzazione, sul concepire la maglia come un costume teatrale, più che una tuta spaziale con uno stemma. Da questo punto di vista mi ritengo fortunato di essere entrato in Erreà perché è un brand con la cultura della personalizzazione e mi ha dato la possibilità di vedere un modello diverso di concezione dell’abbigliamento sportivo.
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