Guerino Gottardi: «Ecco chi era il più forte della mia Lazio. Le battute di Zeman, la gestione di Eriksson, i litigi nello spogliatoio e quella volta che dovetti essere pagato da Lotito…» | OneFootball

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Lazionews24

·7 luglio 2025

Guerino Gottardi: «Ecco chi era il più forte della mia Lazio. Le battute di Zeman, la gestione di Eriksson, i litigi nello spogliatoio e quella volta che dovetti essere pagato da Lotito…»

Immagine dell'articolo:Guerino Gottardi: «Ecco chi era il più forte della mia Lazio. Le battute di Zeman, la gestione di Eriksson, i litigi nello spogliatoio e quella volta che dovetti essere pagato da Lotito…»

Le parole di Guerino Gottardo, colonna della Lazio in grado di vincere tutto a cavallo degli anni ’90 e primi 2000

Era il jolly per eccellenza, l’uomo delle coppe, il dodicesimo uomo che ogni tifoso della Lazio ricorda con affetto e gratitudine. Guerino Gottardi, nato a Berna da genitori italiani, è stato uno dei simboli di una delle squadre più forti di sempre, quella di Eriksson che a cavallo del nuovo millennio vinse tutto. Non era un fenomeno, come ammette lui stesso, ma la sua duttilità, la sua corsa instancabile e la sua capacità di essere decisivo quando chiamato in causa lo hanno reso un vero e proprio eroe di culto per il popolo biancoceleste. Dalle sue origini come giardiniere-calciatore in Svizzera all’arrivo a Roma, ha vissuto un’epopea indimenticabile, vincendo otto trofei. Oggi, da imprenditore immobiliare, si racconta in un’intervista a La Gazzetta dello Sport, ripercorrendo aneddoti, segreti e protagonisti di quella Lazio leggendaria.

LE ORIGINI IN SVIZZERA – «A Berna andò prima mia mamma, che curava la casa di un notaio, poi papà che ha cambiato tanti mestieri di tutto: prima ha lavorato nelle risaie, poi ha fatto il camionista, quindi il portinaio».


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L’INIZIO COME CALCIATORE-GIARDINIERE – «Correvo, correvo. Si iscrissero i miei amici, dissi “vengo anch’io”. È cominciata così. Diplomato giardiniere paesaggista, lavoravo fino alle 13 come giardiniere e alle 16 andavo ad allenarmi. I miei genitori mi hanno insegnato che una base devi averla».

IL RAPPORTO CON LE COPPE – «Tutto quel che si poteva tranne la Champions. Giocavo più in coppa, non ho mai capito il perché. Era diventata quasi una barzelletta e allora dicevo che giocavo solo quando contava».

IL RICORDO DI ZEMAN – «Tutti e tre. Quante battute mi faceva Zeman se la sera uscivo. Ci pesavano il giorno dopo. E lui “Ma che ti sei mangiato le pietre, ieri sera?”. Sulla fase offensiva era bravissimo, su quella difensiva meno perché difendevamo a metà campo e lasciavamo troppo campo agli avversari».

ERIKSSON, IL MIGLIORE – «Forse il migliore che ho avuto. Intelligente, parlava poco, ma ti capiva e ti faceva vivere».

LO SPOGLIATOIO DEI CAMPIONI – «Tante personalità forti. Si litigava dentro, ma in campo spariva tutto. Argentini, brasiliani, slavi, italiani. Il più tosto era Alen Boksic; quando aveva la luna storta non era semplice. L’ho rivisto un paio d’anni fa, abbiamo fatto una serata con Beppe Favalli e Paolo Negro che sento sempre e ci siamo divertiti. Per fortuna era in buona…».

IL GOL PIÙ BELLO – «In finale di Coppa Italia col Milan nel 1998. Fu complicata perché all’andata perdemmo 1-0 e al ritorno loro andarono in vantaggio. Entrai nel secondo tempo e girò la partita. Segnai. E giocammo una ripresa mostruosa, prendendoci la coppa».

IL SUO VERO RUOLO – «Un centrocampista, una mezzala. Io amavo giocare lì. Ma correvo, ero veloce ed esplosivo e già in Svizzera mi schieravano sulla corsia. Sinistra o destra. Zeman mi chiedeva di coprire tutta la fascia. Ho giocato terzino e punta. Non ero un fenomeno, i miei compagni sì. Era una Lazio fortissima».

IL COMPAGNO PIÙ FORTE – «Vi stupirò: Jugovic. Mai visto uno che con i tacchetti a sei compiva gesti tecnici di quel genere, e sorridendo. Tanta qualità, difesa, attacco. Non era bello da vedere, ma mi affascinava».

I LEGAMI NELLO SPOGLIATOIO – «Di Favalli e Negro le ho detto. Le serate erano con Winter e Di Matteo, due fratelli. Una sera ogni tanto perché giocavamo tre volte a settimana. L’amatriciana è sempre nel cuore».

IL RAPPORTO CON LOTITO – «L’ho visto da poco per un evento celebrativo, ma non ho grandi contatti. E poi mi ha dovuto pagare per tre anni, perché io avevo firmato il piano Baraldi. Quei soldi me li ha dovuti dare lui. Cragnotti è stato il mio presidente. Una squadra del genere l’ha fatta lui e gli va dato atto».

LA SUA VITA OGGI – «Perché in Italia non sei tutelato dallo Stato, in Svizzera sì. Se uno non ti paga l’affitto dopo tre mesi puoi mandarlo via, a Roma ci misi tre anni. Acquisto immobili, vendo e affitto. Ho seguito l’esempio dei miei genitori. Non ho sperperato, con quel che guadagnavo compravo case. Questo non è un bel momento».

IL MANCATO PASSAPORTO SVIZZERO – «Una lunga storia, burocratica. A 19 anni rifiutai la nazionalità. Sarei entrato in Italia da straniero. A 25-26 anni la Svizzera mi propose di entrare. Io avevo tutto in Italia, fossi stato sposato con una svizzera sarebbe stato semplice, ma mi ero separato. Quando feci la proposta me la bocciarono. Niente passaporto. Ora sono residente in Svizzera, ho il permesso C, di domicilio, ma voto in Italia».

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