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Davide Zanelli·25 novembre 2020
✍️ Gracias por tanto, Barrilete cósmico

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Davide Zanelli·25 novembre 2020
“Llenó alegría en el pueblo, regó de gloria este suelo…”
Non ha senso tradurre questa frase. Non c’è alcun tipo di necessità. Le parole di Rodrigo Bueno, che ha probabilmente scritto la canzone più significativa su Diego Armando Maradona, sono troppo autentiche per essere tradotte.
Dio è morto, come cantava Guccini. Dio è morto, ma prima di morire ci ha cambiato la vita. L’ha cambiata a tutti i bambini di Napoli, che si chiamano Diego solo perché Diego è stato Napoli.
L’ha cambiata a chiunque approcciandosi al calcio si sia chiesto chi fosse il più grande di tutti i tempi. L’ha persino cambiata a chi ha sempre sentito il bisogno di evidenziarne le follie, le debolezze, gli enormi errori commessi.
Ma questo era Maradona, un ‘Barrilete Cósmico‘, un aquilone cosmico, come lo definì il suo amico Victor Hugo Morales, il commentatore che ha consegnato alla storia la miglior cronaca del miglior gol mai segnato su un campo da calcio.
Diego era libero libero di volare. ‘Ta-ta-ta;, recitava Morales, mentre Diego fluttuava in mezzo in mezzo ai giocatori inglesi, pallidi nei visi e impotenti di fronte alla grandezza che si manifesta.
“Diego è eterno“, scrive Leo Messi. E in questa celebrazione dell’eternità, della leggenda, dei capolavori che ha creato e persino della morte, ci ritroviamo a sfogliare ricordi che crediamo di avere vissuto nonostante appartengano a un’epoca lontana, un’epoca in cui il calcio si giocava in un’altra maniera e i fenomeni appartenevano alla gente.
Diego Armando Maradona è stato un rivoluzionario del pallone, un Dio mortale tra milioni di comuni mortali. Continuerà a esserlo, nelle strade di Napoli, di Buenos Aires e di tutta l’Argentina, perché è diventato è un Dio mentre ancora giocava.
Forse, un Dio lo è sempre stato.
Quando Marco Pantani morì, Diego lo ricordò con alcune parole che meritano di non essere mai cancellate dalla storia dello sport italiano. “È morto solo”, disse. “È colpa di tutti noi. È mia, è tua.” Diego aveva dei rimorsi, perché a Cuba non aveva degnato il Pirata delle giuste attenzioni.
Eppure, nonostante la frenesia, scelse alla perfezione ogni sua parola. Sapeva di cosa stesse parlando, sapeva cosa fossero le accuse di doping, la cocaina, la solitudine.
Lui non se n’è andato da solo, non è stato abbandonato dal mondo. Ha stretto i denti finché ha potuto e poi ha chiuso gli occhi lasciando che il mondo intero si fermasse a ricordarlo.
Ma il cielo è come lo immaginava Giorgio Terruzzi per il Pirata. È un cielo livido con la sua agonia da inverno, da pentimento, da letto sfatto dopo un amore finito. È un cielo scolorito, perché Dio è morto, ma prima di morire ci ha cambiato la vita.