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·28 febbraio 2021

Gli assenti non spiegano da soli i limiti di questa Juve

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Poca qualitàscarsa personalità, carattere approssimativo: è una Juve da fine corsa quella vista a Verona e non tanto per la prestazione in sé che, per circa sessanta minuti è parsa anche buona, ma per quegli improvvisi black-out da cui non riesce a riprendersi e per quella incapacità di gestire il vantaggio, di stringere i denti e di non spegnere la luce nel momento più importante della partita.

Ha ragione Chiesa: le assenze non possono essere un alibi per la Juve. E, invece, i bianconeri si buttano via ancora una volta: sta diventando un fattore, una costante e un’abitudine su cui riflettere. Ma si perdono i punti, le occasioni e la classifica si fa sempre più complicata con la vetta sempre più lontana, il tempo a disposizione ridotto e le certezze che si logorano.


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D’accordo, le assenze però ci sono e bisogna farci i conti: nessuno nega che abbiano un peso. Ma l’emergenza non può essere l’unica spiegazione né trasformarsi nella scusa perfetta per non assumersi le responsabilità di una stagione piena di contraddizioni e d’incostanza: i problemi della Juve vanno oltre le lacune della rosa e la contabilità dell’infermeria.

Un po’ ci si lamentava dell’equilibrio, un’altra volta di un centrocampo poco dinamico, un’altra volta ancora di un attacco aggrappato solo ai gol di Ronaldo, poi della sterilità offensiva, delle punizioni sulla barriera di CR7, delle scelte di mercato, di Paratici, di Pirlo, di Agnelli, sino alla costruzione dal basso. Ci sono tanti presunti colpevoli dentro questa stagione precaria e c’è sempre una spiegazione momentanea che sembra venire buona, quasi in soccorso, per non riconoscere una verità più profonda: questa Juve ha dei limiti oggettivi, che sono tipici di una squadra ancora alla ricerca di se stessa e della chiave giusta.

Ma la stagione corre e non siamo più a ottobre, novembre o dicembre e nell’anomalia del momento, serve un cambio di passo che non arriva mai. E così si continua a fare riferimento ai giocatori che mancano, salvo poi criticarli quando ci sono (vedi DybalaMorata, Bonucci o Chiellini) o a chiedere i giovani in campo come soluzione (salvo poi addossare la colpa a loro quando non arrivano i risultati) o a processare i singoli (Bernardeschi su tutti). Intanto si collezionano pareggi e si perdono occasioni, di fatto compromettendo il cammino della Serie A 2020-21.

Dicevamo di Chiesa. Bene ha parlato Federico, il migliore in campo contro il Verona, che al termine della sfida del Bentegodi, ha chiarito ai microfoni di Dazn che: “Abbiamo giocatori importanti che non sono al meglio e devono recuperare, però siamo la Juve e questo non può essere un alibi. Punto”.

Ecco, la missione di chi fa parte di una squadra come la Juve è questa: gettare il cuore e i muscoli oltre l’ostacolo, trasformare le proprie debolezze in forza. Perché l’emergenza non può scusare il doppio pareggio contro il Verona, quello all’andata col Crotone, quello al 95’ contro la Lazio e quello a Benevento. O la sconfitta contro un Napoli decimato e impalpabile. E le assenze non sono sufficienti a scusare le due reti subite a Oporto. Michelangelo Rampulla a Casa Juventibus aveva parlato di “squadra senza anima”.

Ci sono momenti in cui serve “anima” e sfide che la Juve ha l’obbligo di vincere a prescindere, con prestazioni più generose e meno supponenti. Si finisce, invece, a cullarsi sugli errori fatti e sulla volontà generica di recuperare a parole la classifica, volontà puntualmente tradita nei fatti: questa assenza di “anima” ha portato il campionato verso una china pericolosa, dove è un attimo ritrovarsi non solo distanti dalla vetta ma anche coinvolti nella lotta meno nobile, ovvero quella per il quarto posto.

La verità scomoda è che per anni abbiamo ironizzato su squadre che avevano questa incostanza di rendimento: oggi, volenti o nolenti, quell’attitudine negativa è diventata roba nostra. È difficile ammetterlo. Proprio per questo è inaccettabile. Direbbe Chiesa: “Punto”.

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