Chamot: "La fede mi ha cambiato la vita. Maradona un poeta umile. A Coverciano con Pirlo, sogno di allenare in Italia" | OneFootball

Chamot: "La fede mi ha cambiato la vita. Maradona un poeta umile. A Coverciano con Pirlo, sogno di allenare in Italia" | OneFootball

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Il Posticipo

·8 gennaio 2021

Chamot: "La fede mi ha cambiato la vita. Maradona un poeta umile. A Coverciano con Pirlo, sogno di allenare in Italia"

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Passione, pazienza e soprattutto fede, in ciò che si fa e in quello che si crede. Oggi José Chamot ha 51 anni ed è ancora il ragazzo semplice di sempre: quello che in Argentina ha ricevuto la vita in regalo e la felicità in Italia, dove sogna di ritornare, questa volta in panchina.

Tra i banchi con Pirlo

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(Photo by Lucas Uebel/Getty Images)


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Lazio, Milan e Argentina. Zeman, Ancelotti e Bielsa. Calcio, pesca e canto. Il numero tre che ritorna, quello biblicamente perfetto che José Chamot ha portato sempre nel cuore e sulle spalle nel corso della sua carriera: al Pisa, alla Lazio, al Rosario Central e con la sua Argentina ovviamente. Il Mondiale vinto da Maradona nell’86’ lo ha spinto a fare il calciatore. La scoperta di Dio in un momento difficile della sua vita ha dato un senso a tutto e lo continua a dare. Oggi Chamot è un uomo felice con la sua numerosa famiglia e un credente in pace con se stesso che, nei lunghi pomeriggi sulle rive del fiume Paranà, pesca, canta e sogna di vivere un’altra avventura nel nostro Paese e nel nostro calcio. José aspetta solamente che arrivi il momento giusto, quello che dall’alto hanno già scelto per lui, come è già accaduto in passato.

José, lei ha intrapreso la carriera di allenatore: come va questo suo nuovo percorso? Noi ex calciatori non sappiamo fare altro che stare sul terreno di gioco. Io ho cominciato a giocare fin da piccolo e ho passato tutta la mia vita nel calcio. Purtroppo chi diventa giocatore spesso non finisce gli studi e allora dopo il ritiro bisogna reinventarsi. Io ho cercato di restare nel calcio. Ho finito la carriera in Argentina al Rosario Central e ho deciso di fare l’allenatore. Ho seguito il corso qui, poi ho fatto qualche viaggio in Italia per parlare con Ancelotti e Zeman. Qui a Rosario ho avuto il piacere di andare a trovare Bielsa a casa sua. Sono grandi persone e grandi allenatori, mi hanno dato tanto dal punto di vista umano.

Che cosa le ha insegnato Zeman? Ho conosciuto Zeman ai tempi del Foggia. Mi è piaciuto il suo modo di lavorare, la sua personalità, come comunicava ciò che voleva ai suoi giocatori. Ho dato tutto per Zeman. Alla Lazio ci è mancato qualcosa, siamo arrivati vicini all’obiettivo, ma non abbiamo vinto. Il mister ci faceva sudare in allenamento, ma in partita ci divertivamo. Quando si è ben allenati, giocare è un piacere. Mi è sempre piaciuto essere ben allenato: per questo motivo mi trovavo bene con Zeman. Oggi io e il mister siamo ancora grandi amici.

Che cosa ha apprezzato di Ancelotti invece? La sua sincerità e la sua mentalità, poi come studiava i calciatori. Carlo conosceva le qualità di ognuno di loro e sapeva metterle insieme. Così ha trovato la coppia Pirlo-Gattuso: schierare il primo davanti alla difesa al fianco del secondo è stata una mossa sorprendente, così entrambi hanno vinto il Mondiale. Purtroppo Ancelotti ha dovuto prendere alcune decisioni contro di me: negli ultimi tempi al Milan avevo problemi ai tendini e ho giocato poco, ma ho accettato le scelte del mister. Ancelotti è stato sincero con me. I calciatori sono tanti, non si possono dire bugie: un allenatore deve essere sincero e realista sempre.

Che allenatore è Bielsa? In che senso è ‘Loco’? È un insegnante di calcio che forma i suoi giocatori, mi piace la sua lealtà nei confronti della squadra. Mi ha fatto imparare tante cose a 34 anni. Abbiamo fatto insieme il Mondiale 2002: io non avevo giocato le qualificazioni al torneo perché avevo problemi coi tendini. Bielsa mi aveva consigliato di restare al Milan per recuperare dai problemi fisici e alla fine mi ha portato al Mondiale anche se avevo giocato poco. Se Bielsa dice ‘due’ intende ‘due’: né ‘uno’ né tre. È una persona molto rispettosa. Come tecnico ha le sue idee condivisibili o meno. A me piace come allena e come trasmette il suo pensiero ai suoi giocatori.

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Mandatory Credit: Michael Steele /Allsport

Che esperienze ha vissuto in panchina finora? Ho scelto di formarmi come allenatore. All’inizio ho fatto il secondo al Rosario Central e al River Plate con Matias Almeyda. Al Rosario Central sono stato anche responsabile del settore giovanile, ho allenato la Primavera e poi ho guidato anche la prima squadra. Ho accettato la proposta del Libertad in Paraguay ed è andata molto bene: abbiamo vinto la Coppa nazionale e siamo arrivati secondi in campionato. È stata un’esperienza molto speciale. Adesso aspetto un’altra opportunità. Voglio continuare ad allenare.

Le piacerebbe allenare in Italia? Lei ha studiato a Coverciano con Pirlo… È stato un corso molto interessante. Ho avuto ottimi compagni di banco, gente come Batistuta. C’era anche Andrea Pirlo. Ognuno deve restare se stesso: a me non piace somigliare a qualcuno. Io voglio essere José Chamot. È importante avere la propria identità. La strada è lunga e bisogna imparare tanto. Mi piacerebbe allenare in Italia, ma bisogna lavorare per arrivare a certi livelli. Se ci sarà la possibilità di farlo lo sa Dio: tutto è nelle sue mani. Bisogna pregare e aspettare i momenti di Dio per tutte le cose.

Pirlo ha cominciato ad allenare dalla Juve, subito dall’alto: che cosa ne pensa? Tanti hanno iniziato a fare gli allenatori subito dall’alto: anche Almeyda ha finito di giocare col River, poi ha preso in mano la prima squadra accettando una sfida molto grande. Sensini ha fatto lo stesso. Loro due hanno avuto subito la possibilità di allenare e hanno preso al volo l’occasione che gli è stata data.

Maradona, il Milan, la fede

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(Photo by Mark Sandten/Bongarts/Getty Images)

Nel 94′ lei ha giocato il Mondiale con l’Argentina di Maradona: che cosa ricorda? Nel 93′ ero col Pisa in Serie B: quell’anno mi ha comprato il Foggia neopromosso in A e abbiamo fatto un anno spettacolare. Poi Zeman è passato alla Lazio, mi ha chiesto di andare con lui e ho accettato. Poi il Ct Alfio Basile mi ha convocato in vista del playoff contro l’Australia per andare al Mondiale ’94: in caso di sconfitta saremmo rimasti fuori. Abbiamo vinto e ho giocato il Mondiale con Maradona: è stato un onore essere al fianco di un giocatore del genere. Mi piaceva la sua umiltà. Al di là di quello che è successo con la positività di Maradona, il Mondiale resta un’esperienza bellissima.

La squalifica di Maradona vi ha tagliato le gambe? Eravate tra i favori per vincere? Sicuramente ci ha tagliato le gambe. Funzionavamo bene come squadra, c’era una bella intesa tra tutti, c’erano grandi giocatori. Ci divertivamo sempre: era un piacere allenarsi e vincere in campo. Non ci piace parlare di quello che è successo a Diego. Purtroppo dopo due partite è cambiato tutto.

Che cosa ha lasciato Maradona a voi argentini? Papa Francesco lo ha definito “poeta in campo e uomo fragile”, che ne pensa? Diego non faceva pesare il suo talento e non sottolineava mai i difetti degli altri. Era sempre positivo, un leader che desiderava vincere sempre. Diego voleva la palla continuamente: in partita ci diceva sempre di dargliela. Sapeva quando accelerare e quando rallentare, era molto abile ad amministrare il gioco. Ci ha lasciato un grande vuoto. Diego ci faceva sentire tutti importanti. L’ho visto per l’ultima volta nella partita della pace organizzata da Javier Zanetti a Roma. Maradona è stato con me e con mio figlio, con Zanetti e Balbo. Siamo stati dal Papa. Dopo quella partita purtroppo non l’ho più visto. Per quanto riguarda la fragilità di Maradona fuori dal campo, penso che tutti noi abbiamo i nostri difetti.

Che cosa le ha dato la fede nella sua vita? La fede mi ha cambiato la vita, credo nella parola di Dio: l’ho cercato ovunque e sono stato sempre nella Chiesa cattolica. Quando passavo davanti a una chiesa sentivo sempre il bisogno di entrare, parlavo con Dio fin da piccolo. Quando sono arrivato in Italia ho passato momenti stressanti, soprattutto quando ero alla Lazio e giocavo anche in Nazionale. Un giorno ho seguito in televisione un canale dove si parlava di Gesù: in quel momento è cambiata la mia vita e ho iniziato a camminare con lui al mio fianco. Dio è vita, senza Dio è impossibile respirare. Per me prima di tutto viene Dio, dopo vengono la famiglia e il lavoro.

Che cosa ricorda dell’Italia? Mia moglie e i miei figli tornano sempre volentieri in Italia. Nel vostro Paese ho vissuto un’esperienza bellissima, è stata la cosa più bella che mi ha regalato Dio: giocare in Serie A è stato fantastico. Tante volte mi chiedono dove sono stato meglio: al Pisa o al Foggia, alla Lazio o al Milan. Ho trovato ovunque persone bellissime. Mi piace il calcio italiano: lo stile di gioco, la mentalità, come ci si allena in Serie A.

Com’è nato il suo trasferimento al Milan? Avevo ancora quattro anni di contratto con Lazio, nel ’98 però erano successe certe cose che mi avevano spinto ad andare via, la società però non mi permetteva di restare in Italia. Sono stato costretto ad andare all’estero: per questa ragione ho accettato l’Atletico Madrid, mi ci ha portato Arrigo Sacchi che apprezzavo molto per il modo di lavorare. Poi ho avuto la possibilità di passare dall’Atletico al Milan. Lo seguo ancora: è la squadra che mi è rimasta nel cuore. Fare il calciatore a quei livelli è stato bellissimo.

Il 28 maggio 2003 il Milan ha vinto la Champions: è stata una delle serate più belle della sua carriera? Sì! Ai tempi del Pisa, avevo chiesto a Dio di farmi arrivare al Milan: per qualcuno era impossibile, ma io sapevo che cosa dovevo fare giorno per giorno e ho centrato l’obiettivo. Dio mi ha regalato la gioia di giocare con una squadra piena di campioni. Quando ho visto da vicino Maldini e Costacurta ho capito perché erano campioni: si allenavano bene e ci mettevano sempre la faccia in tutto quello che facevano. Sono persone che hanno mantenuto la loro squadra del cuore in alto sempre: sono veri professionisti.

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Enrico LODI / GRAZIA NERI DIGITAL CAMERA Mandatory Credit: Grazia Neri/ALLSPORT

Lei ha sempre giocato a calcio da bambino? Sì, da piccolo andavo sempre nel campetto vicino casa. Ho iniziato a farlo per divertimento, passavo il tempo con gli amici ed ero felice. Ho deciso di voler fare il calciatore dopo il Mondiale dell’86: sono sceso per strada per festeggiare il successo di Diego. Dopo qualche giorno sono andato a fare un provino in una squadra di Rosario: ho giocato per due anni coi ragazzini e per altri due anni con la prima squadra. Nel giro di quattro anni mi sono ritrovato nello spogliatoio i campioni del mondo, poi sono arrivato in Italia.

Quali sono oggi i suoi amici nel mondo del calcio? Vicino a me vive Batistuta: siamo molto amici. Poi Sensini e Almeyda, il portiere Carlos Roa. Ho tanti amici anche in Italia: Maldini, Gattuso, Pirlo, alla Lazio ricordo Favalli e Negro. Avevo tanti amici anche a Pisa: ci siamo persi per la distanza, ma quando ritorno lì cerco sempre di vederli. Ricordo le famiglie conosciute portando i nostri figli a scuola: io e mia moglie eravamo giovani, io avevo 21 anni e lei 18.

Come passa il tempo quando non allena? Mi piace stare con la mia famiglia: è la cosa più bella del mondo. Ovunque vanno i miei figli portano con sé magliette di calcio: sono molto appassionati. Io però voglio che studino. Nostra figlia di 24 anni è già laureata. Kevin deve compiere 21 anni. Il più piccolo ha appena finito le scuole elementari. Quando non alleno adoro pescare. Per rilassarmi un po’ mi piace suonare la chitarra. Non lo faccio molto bene, ma la porto sempre con me lo stesso. Canto male, ma non importa: per me è bellissimo farlo.

Va a pescare vicino casa? Ha un posticino tutto suo? Sì, c’è il fiume Paranà, ci sono delle isole: vado sempre lì coi miei figli e con un paio di amici. Peschiamo quando si può e passiamo il tempo. Anche nella pesca serve pazienza, come nella vita. Mi piacciono quei momenti di tranquillità, la pace che trovi intorno: è un posto davvero differente da tutti gli altri.

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