Cardinale svela: «Tra lo sport in America e quello in Europa c’è una grande differenza, vi spiego quale. Modello? Questa squadra è l’esempio da seguire». E non nomina mai il Milan | OneFootball

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·7 marzo 2025

Cardinale svela: «Tra lo sport in America e quello in Europa c’è una grande differenza, vi spiego quale. Modello? Questa squadra è l’esempio da seguire». E non nomina mai il Milan

Immagine dell'articolo:Cardinale svela: «Tra lo sport in America e quello in Europa c’è una grande differenza, vi spiego quale. Modello? Questa squadra è l’esempio da seguire». E non nomina mai il Milan

Cardinale, patron del Milan e numero uno di RedBird, è tornato a parlare della differenza fra lo sport in America e quello in Europa

Invitato alla “19th annual MIT Sloan Sports Analytics Conference”, presentata da ESPN e 42 Analytics, il numero uno di RedBird Gerry Cardinale, patron del Milan, è intervenuto nel panel “Costruire imperi sportivi con un taglio imprenditoriale”. Le sue dichiarazioni:

INGRESSO NELLO SPORT – «Investo nello sport e nell’entertainment da 25 anni. Ho il vantaggio di aver investito in questi settori prima che diventassero un “asset class”. Quello di cui ha bisogno lo sport non sono “asset manager” che finiscono nella loro struttura, ma imprenditori e uomini d’affari. Quando ho iniziato la mia carriera in Goldman Sachs ho avuto subito una prospettiva fondamentale: se Goldman Sachs si presenta con un capitale quei soldi non devono essere finanziabili ma devono avere valore. Aggiungere valore è difficile. Quando sono arrivato 25 anni fa dicevano che il valore aggiunto era presentarsi col capitale, ma io ho sempre avuto la visione che dovesse essere un qualcosa in più. La mia visione è che bisogna utilizzare i capitali, combinandoli con una struttura di business collaudata, che aiuti i right holders nello sport. Ho aiutato gli Yankees a costruire del business intorno alla loro proprietà intellettuale. Abbiamo avuto partnership con squadre e leghe e le abbiamo aiutate a costruire giri d’affari di valore intorno alle loro proprietà intellettuali. È una situazione win-win».


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DIMINUIRE I RISCHI – «Credo che lungo la mia carriera abbiamo generato oltre 20 miliardi di dollari per le aziende. Il valore in questo caso è nella proprietà intellettuale. Nello sport, dal punto di vista della monetizzazione e del consumo del contenuto quando vado a fare un investimento mi chiedo: perché questa cosa ha motivo di esistere? Qual è la sua “value proposition” (il motivo per cui scegliere X invece di Y, ndr)? Dal punto di vista del calcolare i rischi diciamo ai detentori di diritti di venderli su una scadenza a lungo termine, al resto ci pensiamo noi. Nel 2001 con YES Network, io ero un ragazzino di 33 anni, abbiamo firmato un accordo, il giorno prima dell’11 settembre, e tutto quello che ho dovuto fare è stato mostrare che possedevo il 40% di proprietà intellettuale dei New York Yankees. Ho ottenuto un accordo di 42 anni sui diritti media: allora è stato l’accordo di questo tipo più longevo ad essere mai sottoscritto. ESPN ad esempio si muoveva sui 4 o 5 anni».

DIFFERENZE TRA AMERICA ED EUROPA – «In America c’è un’accettazione maggiore per quanto riguarda argomenti come l’integrità dello sport e della competizione, o l’aspetto dell’entertainment sull’evento live. In Europa e a livello internazionale invece si dà molto più importanza alla performance sul campo che all’integrità dello sport. Sono più agguerriti su questo aspetto rispetto a quanto succede negli Stati Uniti. Quello che succede ora è che i soldi hanno “scoperto” lo sport: non è un caso che ci sia stato il caso Super League. Una lezione che possiamo trarne è che i diritti TV stanno salendo (di costo, ndr) ad una velocità così alta che i vari distributori vogliono trasmettere solo gli eventi migliori. Non vogliono le squadre minori, e questo è un problema. Non si può ignorare che ci sia un aspetto sociale nello sport. Quando pensi allo sport pensi all’universalità della competizione: la possibilità che una delle squadre sulla carta inferiori possa arrivare al livello di una big è fantastico, è quello che rende il tutto così appetibile e di valore. Quindi la domanda è: “Come rendi queste leghe e queste squadre più efficaci e autosufficienti per affrontare questo tipo di tendenza (sui diritti tv, ndr)?”. È un qualcosa che andrà a creare delle opportunità, ma dovrà essere regolato e modellato sulla mentalità degli europei e su quello che gli europei vogliono. Non ci può essere un’americanizzazione totale sul fenomeno, ma ci sarebbero comunque dei benefici. Possiamo aiutare gli europei a diventare più efficaci nel generare più capitale da reinvestire nuovamente così da essere più competitivi».

MODELLO LIVERPOOL – «C’è un ottimo esempio su come ci sia stata un’evoluzione anche in questo senso ed è il Liverpool. Il motivo per cui ho investito in Fenway Sports Group, ed è l’unica volta in cui non sono azionista di maggioranza ma di minoranza in un investimento legato allo sport, è perché ho davvero tanto rispetto per questa proprietà e dirigenza e quello che hanno fatto col Liverpool. La gente dovrebbe prendere nota sulla transizione che hanno affrontato, per non perdersi neanche uno step su come siano partiti da Klopp e come ora sono arrivati a Slot facendo funzionare le cose come hanno fatto loro. Sono riusciti a trovare un compromesso tra il lato sportivo, quello del business e quello della proprietà. Ed è proprio questo a cui si dovrebbe guardare e provare a replicare anche altrove».

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