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·21 de junio de 2025

Platini 70 anni: 70 motivi per celebrare la grandezza di Le Roi, leggenda della Juventus

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Platini 70 anni: 70 motivi che celebrano la grandezza di Le Roi, leggenda della Juventus nel giorno del suo compleanno

Oggi, 21 giugno 2025, Michel Platini compie 70 anni. “Le Roi”, il sovrano che ha trasformato il ruolo del numero 10, unendo un’eleganza mai vista alla concretezza del gol, la fantasia alla vittoria. Arrivò a Torino nell’estate del 1982, in una Juventus di campioni del mondo, e seppe diventare più di un campione: un simbolo, un’idea, il prolungamento in campo del pensiero dell’Avvocato Agnelli. Per celebrarlo, un viaggio in 70 lampi: definizioni, sue frasi taglienti, episodi che hanno scolpito la sua leggenda, frammenti di un’epoca che lo ha visto protagonista assoluto.

  • Le origini. Il nonno Francesco, muratore, era nato ad Agrate Conturbia, provincia di Novara. Il suo fu un “ritorno a casa”.
  • La scelta. «Avevo una montagna davanti a me! Ed ho scelto la Juventus, la migliore strada che potessi imboccare, il club europeo più prestigioso». (Maggio 1982)
  • La promessa.  «Ai tifosi bianconeri garantisco di segnare almeno dieci reti. Se avrò a disposizione dieci calci di rigore… Scherzi a parte, credo di poter fare dieci reti». Ne farà 16, vincendo la classifica cannonieri.
  • Primo gol non ufficiale. 12 agosto 1982, amichevole a Casale. Finisce 2-0 per la Juve, il primo gol è suo.
  • Primo gol a Torino. 22 agosto 1982, Juventus-Pescara 2-1. Segna al 7′ con un pallonetto di piatto destro che fa esplodere il Comunale.
  • Primo gol in Coppa dei Campioni. 15 settembre 1982, Hvidovre-Juventus 1-4. Firma il primo sigillo della cavalcata europea.
  • I primi mesi. «Sei mesi duri, i primi. Di adattamento, ambientamento, sofferenza, incomunicabilità, qualche invidia e gelosia»
  • L’Avvocato. Gianni Agnelli su di lui: «Lo abbiamo comprato per un pezzo di pane, lui ci ha spalmato sopra il foi gras»
  • La pubalgia. Giustificò le difficoltà iniziali con un problema fisico che lo tormentava. Anni dopo, consiglierà a Ian Rush, in difficoltà alla Juve, di inventarsene una.
  • L’intelligenza. Per Zico, era «il giocatore più intelligente che abbia mai indossato la maglia n.10»
  • La visione di gioco. Secondo Boninsegna, «aveva il lancio lungo di Suarez e il palleggio stretto di Sivori».
  • La completezza. Per Giovanni Trapattoni, l’allenatore con cui ebbe un rapporto complesso, una sola cosa contava: «Se uno ha Platini, molti discorsi tattici sono superflui».
  • L’essenza del suo calcio. «Per me il calcio è una cosa semplice: allegria se abbiamo la palla noi, coraggio se ce l’hanno gli altri. Fantasia mai, non so cos’è»
  • Il fisico. «Come atleta faccio ridere, non ho il fisico. Non corro più in fretta di un altro, non sono più atletico di un altro, non tiro più forte di un altro. È questione di testa».
  • L’esordio Bleu. In un’amichevole, Francia-Cecoslovacchia, al suo debutto, sposta il “vecchio” Henry Michel che sta per tirare una punizione. La tira lui. Segna.
  • Il Mundial mancato. Sognava la finale del 1982 contro l’Italia. «Farò un tifo sfrenato per l’Italia, spero nella vendetta degli azzurri contro la Germania».
  • Lo stile Juve. Lui stesso ha ammesso: «In Francia non avevo la mentalità per vincere, questo l’ho imparato da voi»
  • L’ironia. Dopo un derby vinto 2-1 con una sua doppietta nel 1984: «I soliti derby, duri, agonistici… Purtroppo abbiamo vinto noi»
  • L’artista concreto. La sintesi del giornalista Adalberto Bortolotti: «Combinò due arti difficilmente combinabili: decidere la partita con irresistibili conclusioni personali e gestire il gioco, con mirabile senso del collettivo»
  • Il capolavoro dimenticato. 31 dicembre 1983, Avellino. Raccoglie una respinta e segna di testa da fuori area. Paolo Garimberti lo definì «il gol di un genio, l’unica scelta possibile»
  • Il capolavoro assoluto. 10 aprile 1983, Juventus-Ascoli 5-0. Si autolancia di tacco, sombrero sull’avversario e supera il portiere con un tocco di punta. Inconcepibile.
  • La punizione-capolavoro. Derby, 26 febbraio 1984. Con un uomo sulla linea di porta, riesce a trovare la parabola perfetta tra la testa del difensore e la traversa.
  • Atene 1983. La sua prima grande delusione: la finale di Coppa dei Campioni persa contro l’Amburgo. Una ferita che lo motiverà per gli anni a venire.
  • Capocannoniere n°1. 1982-83. 16 gol. Un regista davanti a tutti gli attaccanti.
  • Capocannoniere n°2. 1983-84. 20 gol. Si supera, dominando la classifica e vincendo il suo primo scudetto.
  • Capocannoniere n°3. 1984-85. 18 gol. Eguaglia il record di Nordahl di tre titoli consecutivi. Impresa mai più riuscita a nessuno in Serie A.
  • Euro 1984. Trascina la Francia alla vittoria segnando 9 gol in 5 partite. Una performance dominante, forse la più grande di sempre in un torneo per nazionali.
  • La tripletta perfetta. Europei ’84, contro il Belgio segna tre gol: uno di destro, uno di sinistro, uno di testa.
  • Coppa delle Coppe 1984. Vince il suo primo trofeo europeo con la Juve, battendo il Porto a Basilea.
  • Supercoppa Europea 1985. Contro il Liverpool, a Torino, in una notte di neve, ispira i due gol di Boniek. Una delle partite più iconiche della coppia.
  • Bordeaux 1985. La semifinale di Coppa Campioni contro i suoi “fratelli” Giresse e Tigana. All’andata a Torino è una sinfonia: 3-0 e un suo gol.
  • L’amicizia con Boniek. «Ci siamo uniti per proteggerci a vicenda. Il campo è come la musica. Non hai bisogno di parlare per capirti»
  • L’Heysel. 29 maggio 1985. Segna su rigore la rete che assegna alla Juventus la Coppa dei Campioni più tragica.
  • Il giorno dopo. «In nome di Francesco Platini, muratore piemontese, mio nonno». Lo disse visitando i feriti a Bruxelles.
  • Il gol annullato. Tokyo, finale Intercontinentale 1985. Segna un gol di una bellezza irreale, annullato ingiustamente. La sua reazione è storia: si sdraia sull’erba, testa appoggiata sulla mano, in una posa di sovrana e ironica rassegnazione.
  • Il rigore decisivo. In quella stessa partita, calcia il rigore finale che consegna alla Juve il titolo di Campione del Mondo.
  • Pallone d’Oro 1983. Il primo della sua collezione.
  • Pallone d’Oro 1984. Il secondo, a coronamento di un anno perfetto.
  • Pallone d’Oro 1985. Il terzo consecutivo. Un’impresa riuscita prima solo a Johan Cruyff.
  • Legion d’Onore. 29 aprile 1985. Il presidente François Mitterrand gli consegna la massima onorificenza francese. «È stata la più bella giornata della mia vita»
  • Il rapporto con i giornalisti. Spesso conflittuale, sempre tagliente. «Voi siete pagati, dateli voi i voti»
  • La filosofia. «Il calcio non mi ha mai deluso».
  • Il duello con Maradona. A chi gli chiedeva le differenze: «Io so in che cosa siamo diversi, ma ve lo dirò a fine carriera»
  • La visione di Liedholm. «Ha ottime capacità tecniche e tattiche, anche se non mi sembra un vero e proprio leader».
  • La visione di Agroppi. «Il più grande di tutti è stato Rivera, più ancora di Platini. Ma Platini rompe ogni schema, oppure inventa gli schemi».
  • L’uomo derby. Francese di nascita, ma implacabile nelle stracittadine torinesi, che storicamente la Juve soffriva.
  • Il Mondiale 1986. Elimina l’Italia campione in carica agli ottavi, segnando il primo gol. L’allievo che supera i maestri.
  • La maledizione tedesca. Anche nel 1986, la sua Francia si ferma in semifinale contro la Germania.
  • Il rapporto con il gol. «Nel calcio il gol è tutto. Ma quando non arriva, non provo sensazioni di delusione».
  • La sua città. Alla domanda su cosa Torino potesse offrire a un fantasista: «È chiusa, fredda, proprio come me»
  • Differenze. «Quando fai un gol in Francia lo sanno solo i francesi, quando lo fai in Italia lo sanno in tutto il mondo»
  • Il duplice ruolo. Per Michel Hidalgo, suo mentore in nazionale, «il centrocampo è la prima linea offensiva e insieme la prima linea difensiva». Platini ne fu l’interprete perfetto.
  • Il ritiro. «A me piace giocare d’anticipo non solo sul campo»
  • Il futuro. “Certo è che non farò mai l’allenatore, il manager, il presidente”. Invece l’allenatore, per poco, lo farà guidando la Francia.
  • Il sogno. «Ho un sogno proibito, chiudere nel Nancy giocando da libero, ma resterà un sogno»
  • Il sistema calcio. «Sono inserito in un sistema e non posso estraniarmene. Quando ero in Francia e accettavo un milione al mese mi faceva piacere»
  • L’italo-francese. Gianni Mura: «Non è lui l’esempio di un mezzo italiano mai veramente accettato in Francia e di un mezzo francese mai veramente accettato qui?».
  • Il patron. “Non mi sono mai sentito patron. Non ci sono patron nella Juve”.
  • La completezza. Per Boniperti, ricordava Schiaffino: «Un asso completo che non tira mai indietro la gamba»
  • Sudore. Ancora Boniperti: «Non so se è mai uscito almeno una volta dal campo con la maglia sudata»
  • Il Concorde. Hidalgo, per zittire le voci di mercato: “Platini è come il Concorde. Quando si possiede un fenomeno, gli si permette di volare all’estero”.
  • La fine. «Sono “morto” a trentadue anni, il 17 maggio 1987». La data della sua ultima partita, Juventus-Brescia, è l’incipit della sua autobiografia.
  • Il motivo dell’addio. A chi gli chiedeva perché smettesse così presto: «Perché nessuno verrà mai a dirmi che è ora di smettere».
  • Il pensiero sull’Italia. «Da voi si pensa troppo al risultato e la gente invece vuole divertirsi»
  • Il marcatore. Secondo Franco Baresi, uno dei suoi più grandi avversari: «In campo parla, ti domanda come va a casa. Non provoca. Poi, all’improvviso, ti lascia lì»
  • L’immarcabile. Per il tecnico Castagner: «L’unico che se ne frega di qualunque tipo di marcatura è Platini, perché arretra e lancia, oppure parte da lontano e conclude, essendo freddissimo negli ultimi venti metri. È unico»
  • L’emigrante di lusso. A differenza di altri stranieri che si sono “italianizzati”, lui è sempre rimasto profondamente francese. Un vincente che ha costruito in Italia la sua leggenda e la sua ricchezza, ma con la valigia sempre pronta per tornare a casa.
  • Lo stile. Quando riceveva palla, non la guardava. Mai. Come se avesse una calamita, per poi indirizzarla 40 metri più in là, spesso dopo un’occhiata nella direzione opposta.
  • La sua unicità. Ha fatto sposare l’assoluto e la normalità, due termini antitetici. Rendendo facili le cose impossibili.
  • La dedica. Nella sua autobiografia, una frase che riassume tutto: «A tutti quelli che mi hanno aiutato a segnare un gol e ad essere quello che sono»
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