Calcionews24
·28 de agosto de 2025
Franco Cordova: «Dimenticato dalla Roma. Nella Hall of Fame cani e porci. E quel passaggio alla Lazio mi ha condannato all’oblio. Ma c’era una ragione: non potevo lasciare la città per questo motivo»

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·28 de agosto de 2025
Un capitano “dimenticato”, un numero 10 che ha vissuto sulla sua pelle l’amore e l’odio di una città, prima di essere messo ai margini dalla sua stessa storia. Franco “Ciccio” Cordova non è stato solo un grande calciatore, ma un protagonista assoluto di un’epoca del calcio italiano fatta di passioni viscerali, presidenti-padroni e rivalità che andavano ben oltre il campo. Per nove stagioni è stato il faro della Roma, indossando la fascia e il numero 10 con una classe e una personalità che lo hanno reso un idolo. Poi, il tradimento, il passaggio alla Lazio, una scelta sofferta che, a suo dire, gli è costata un posto nella Hall of Fame e nel cuore di una parte del tifo. Oggi, a 81 anni, l’ex capitano giallorosso si racconta in una lunga e schietta intervista a La Gazzetta dello Sport, un dialogo senza filtri in cui ripercorre una vita da romanzo, tra amori da copertina, dolori privati e un legame, quello con la Roma, che nonostante tutto, non si è mai spezzato.
FRANCO O CICCIO – «Ma chiamatemi come vi pare, Franco è il mio nome, Ciccio quello scelto dai tifosi. Non ho mai capito bene perché, penso da Franco, Francesco…».
LA 10 DELLA ROMA – «Ho dato tanto. Al numero di maglia non pensavo, io volevo solo giocare. E non sono nemmeno uno che si andava a leggere le pagelle: una volta vidi un mio compagno regalare un prosciutto a un giornalista per farselo amico, ma non faccio nomi… Il 10 in ogni caso resta un numero affascinante, anche se l’ho visto addosso a gente poco adatta, tipo Capello. Oggi la Roma, dopo Totti, lo sta salvaguardando e fa bene, l’unico che potrebbe vestirlo è Dybala».
SEMPRE ROMANISTA – «Non potrebbe essere altrimenti. Vedo tutte le partite e l’esordio contro il Bologna mi è piaciuto, non era facile. Ferguson può fare benissimo, non ha nemmeno 21 anni… Koné invece l’avrei preso a botte: non si può sbagliare un gol così in una gara tanto importante! L’avrei venduto al 90°… L’impronta di Gasperini un po’ già si vede. Certo, non è un simpaticone, bisogna saperlo aspettare. Spero che chiarisca in fretta la situazione capitano: ho avuto la fascia per anni, deve indossarla qualcuno che gioca sempre, non so quanto El Shaarawy possa andare bene».
LA COREOGRAFIA DEI CAPITANI SENZA DI LUI – «E ci sono rimasto malissimo. È anche una gravissima colpa della Roma, che non mi ha difeso. Capisco che sono andato alla Lazio, ma sono tanti quelli che hanno scelto Milano, Firenze o Torino e vengono accreditati come grandi romanisti. Vedere tutte quelle facce in Curva e non la mia mi fece male. Del resto non sono neanche nella Hall of Fame della Roma, ci stanno cani e porci…».
DIMENTICATO – «Penso per il passaggio alla Lazio. Ma lì fu il presidente Anzalone a mettermi alle corde: “O vai là o smetti di giocare”. Istintivamente accettai. In quel momento non mi era proprio possibile lasciare sole a Roma Simona [Marchini] e sua figlia Roberta, la situazione era troppo delicata. Anzalone sapeva tutto, ma non mi permise di restare. Eppure l’anno prima, stagione 1974-75, ero stato determinante per far risalire la squadra dall’ultimo al terzo posto».
IL RAPPORTO CON SIMONA MARCHINI E IL DOLORE PRIVATO – «Quello con Simona è stato un grande amore, ma quegli anni erano stati devastanti: perse quattro figli al quinto mese. Li volevamo moltissimo, il nostro sistema nervoso non ha retto. Io dopo tutto quel dolore ero fuori di testa, ho fatto tremila cose e mi dispiace perché lei ha sofferto ancora di più. Il rapporto però è ancora vivo e forte, ci sentiamo sempre. Senza quei maledetti problemi di sicuro staremmo ancora insieme».
IL SUO GIUDIZIO SUL CAMPIONATO – «Milan o Juve. Il Napoli non lo metto perché ho una famiglia di napoletani e quando vince mi chiamano trenta volte, così come quando la Roma perde. E io, al di là di tutto sono e resterò sempre romanista».