Zanetti racconta: «Sono stato vicino al Real Madrid ma non potevo andare via, vi svelo come prendemmo Lautaro e come gestivo lo spogliatoio da capitano» | OneFootball

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·13 de maio de 2024

Zanetti racconta: «Sono stato vicino al Real Madrid ma non potevo andare via, vi svelo come prendemmo Lautaro e come gestivo lo spogliatoio da capitano»

Imagem do artigo:Zanetti racconta: «Sono stato vicino al Real Madrid ma non potevo andare via, vi svelo come prendemmo Lautaro e come gestivo lo spogliatoio da capitano»

Lo storico capitano dell’Inter, Javier Zanetti parla così del suo ruolo da vicepresidente nerazzurro e di molti altri temi

Arrivano delle nuove dichiarazioni rilasciate da Javier Zanetti, vicepresidente dell’Inter, al podcast BSMT di Gazzoli. Queste le sue parole sul suo ruolo da vicepresidente, su Moratti, Lautaro e molto altro.

VICEPRESIDENTE DELL’INTER, ME LO IMMAGINAVO? – «Quando ho deciso di smettere, volevo fare qualcosa legato al calcio e continuare il legame con l’Inter. Non nascondo che quando mi dice che avrei fatto il vicepresidente, ho provato grandissima allegria, contentissimo, ma allo stesso tempo grandissima responsabilità. Una delle squadre più importanti al mondo richiede grande preparazione».


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SE CI HO PENSATO? – «Ci ho pensato un po’. Poi conoscendomi ho detto ok, finisce la mia carriera come calciatore durata 41 anni e dopo tanti km corsi ho detto intraprendo questa carriera da manager. Ma inizio da manager e devo essere preparato. Non volevo essere un manager legato solo alla parte sportiva, voglio avere una visione a 360° e poi non volevo che per quanto fatto in campo mi venisse riconosciuto questo ruolo. Io devo essere giudicato per quello che faccio da dirigente. Mi sono iscritto alla Bocconi, sto facendo un percorso e spero a maggio di dare la tesi. Questo mi ha aiutato tantissimo perché sinceramente ho scoperto tantissime cose che facendo il calciatore non potevo conoscere. Mi sento molto utile in diverse aree della società».

IL RAPPORTO DEI CLUB CON LE PROPRIE BANDIERE – «Ringrazio l’Inter per tutti questi anni come calciatore. E poi quando mi hanno dato questo ruolo, ho ringraziato, ma avevo la necessità di prepararmi. Quando hanno visto questa mia voglia di impormi come manager anche loro mi hanno affiancato. È un percorso che facciamo insieme. Non è semplice prendere la decisione di smettere. Mi sono rotto il tendine d’Achille a 39 anni e non volevo smettere così. Ho detto: torno in campo, davanti ai miei tifosi, finisco la carriera da protagonista e poi inizio la nuova avventura. Sono tornato in campo che mancavano 15′ col Livorno. Finisce la partita vinciamo, mi sento bene, ero tornato bene, sono andato a fare la doccia e ho pensato che era la mia ultima stagione. Serve intelligenza e umiltà, è difficilissimo».

QUANDO MI È CAMBIATA LA CARRIERA – «Due momenti uno in Argentina. Giochiamo col Boca, io giocavo nel Banfield avevo 18 anni. Faccio benissimo, vinciamo 2-1. Il giorno dopo mi era cambiata la vita. Giornalisti fuori da casa mia, ancora non avevo la macchina. Sono uscito dallo stadio con mio padre e ho fatto la strada a piedi per andare al pullman, dopo la partita pullman pubblico pieno di gente. Tutti tifosi del Boca, tutti mi guardavano così. Lì mi sono reso conto che stava succedendo qualcosa. Nel 1995 il calcio italiano era al top: Maldini, Baresi, Tassotti, Donadoni nel mio primo derby. 90mila persone, impressionante. Questo è stato un altro momento per crescere».

SU MORATTI – «Per me è come un papà Moratti. Gentile Zhang quando lo ha invitato. Quando ho rivisto quella foto mi è venuto in mente quando ci vedeva a venire e giocavo ancheio. È stato un momento emozionante anche per lui, perché è tornato a casa sua e anche vedere questo presidente che rende felice anche lui. Grandissimo rispetto tra Moratti e Zhang. Moratti ha detto che è sempre stata la sua grande passione».

MI HA VOLUTO LUI ALL’INTER? – «L’Inter va a prendere Rambert. Giocavo con lui, fortuna vuole che feci bene con la Nazionale. C’erano le videocassette. C’erano Suarez e Mazzola in Argentina che guardavano queste partite. Prendono Rambert, ma quando mandano questa cassetta, Mazzola chiama Moratti che l’aveva vista col figlio Mao. Mazzola dice stiamo cercando di prendere un trequartista e Moratti dice: no voglio il numero 4. Comprate il numero 4, mi hanno comprato e inizia l’avventura con l’Inter».

LA PARTITA PIÙ BELLA GIOCATA – «La prima a San Siro mi viene in mente, l’esordio: era il compimento di un sogno per me. Giocavamo la domenica col Vicenza, il venerdì da Como dove abitavo siamo andati coi genitori vicino a San Siro e gli raccontavo dove avrei giocato. I primi tre anni loro si sono trasferiti con me, loro non avevano mai preso un aereo, gli ho cambiato la vita infatti. Erano felicissimi di accompagnarmi, i primi tre anni sono stati molto bene come emozioni e percorso di crescita. Io divido la mia storia con l’Inter in due tappe: i primi 10 anni dove abbiamo vinto la Uefa con Ronaldo e poi gli altri 10 in cui abbiamo vinto tutto. Moratti faceva grandissimi investimenti e i risultati non arrivavano, io gli dicevo che sarebbero arrivati: meno male che poi il tempo mi ha dato ragione. Aveva fatto grandi sforzi Moratti».

IL RUOLO DA CAPITANO – «Era Bergomi e dopo Pagliuca, mancavano entrambi e ho indossato la fascia, poi dal ’99 in poi sempre. Un momento di grande soddisfazione e onore, vedevo tutti quelli che lo avevano fatto prima di me, un ruolo di grande responsabilità. Io però credo che dipende anche dalla personalità di ognuno, a me piaceva essere da esempio, poche parole e tanti fatti. Non facevo nulla per interesse personale, ma per il bene comune. Penso che tutti i miei compagni mi hanno rispettato per questo durante la carriera. Io non sono cambiato da prima senza fascia a dopo. Io sono stato capitano di Ibrahimovic, Eto’o, Baggio, Simeone, Figo, grandissimi campioni che tranquillamente potevano essere capitani. Ho sempre avuto grande rispetto da loro».

I PIÙ DIFFICILI DA GESTIRE – «Devi guidare tante personalità, Ibra per esempio aveva un carattere duro, ma appena ci parlavi ti mettevi d’accordo, lui capiva tantissime cose. Con Balotelli che era giovane, un talento unico, ci sono stati momenti di difficoltà. Ma parlando una soluzione si trova, senza lasciare che passi il tempo e il problema diventi più grande. Litigare con qualcuno? Succede ed è giusto che sia così, ci si confronta e si parla, io dicevo sempre che il problema è da risolvere pensando al bene del gruppo».

RONALDO – «Prima che arrivasse dal Barcellona, era imprendibile: potenza, dribbling, freddezza davanti al portiere, era unico. Lo fermavi solo facendo fallo. Era un ragazzo solare, sempre divertente e positivo lui».

CON CHI AVREI VOLUTO GIOCARE DELL’INTER DI OGGI? – «Io vedo l’Inter come sta giocando e vorrei giocare con tutti loro, sono tutti forti. Con Lauti che è argentino sarebbe stato bello. C’è un rapporto bello perché tutto inizia quando l’abbiamo comprato. Ausilio, Marotta, Baccin, ci confrontiamo e decidiamo la strategia. Quando abbiamo preso Lautaro, lui era al 90% dell’Atletico, io conoscevo uno dei procuratori. Io parlo con Ausilio e lui mi dice peccato, perché erano molto avanti. Poi mi chiama questo amico dopo due settimane e mi chiede di parlare con noi. In due notti abbiamo chiuso per Lautaro, mancava l’accordo col Racing. Io avevo un grande rapporto perché c’era Milito, gli ho detto che sarebbe arrivato Ausilio per chiudere e loro lo aspettavano. Ausilio in Argentina chiude, con Lautaro avevamo chiuso, lui aveva 20 anni e pensavamo al futuro dunque, in 3 o 4 anni, non nell’immediato. Devi avere una visione al percorso a 360° e ricordo una sua partita in cui fece tripletta e lui a 20 anni dopo disse di essere contento dei 3 gol, ma non della prestazione, perché per lui non aveva giocato bene».

ANCORA SU LAUTARO – «Vedevamo questo Lautaro di ora, che cresce di anno in anno. È un punto fermo e siamo felicissimi. C’era questa empatia, rispetto, la voglia anche da parte sua. È un ragazzo umile, ascolta, si vuole migliorare e i risultati arrivano poi. Lautaro è il nostro capitano, un punto fermo, ha senso di appartenenza e siamo felicissimi. Oggi diventa molto più complicato, le nuove generazioni vogliono tutto subito, invece ci vuole un percorso. Per ottenere serve sacrificio, non è tutto dovuto. Bisogna lavorare, parlo anche da papà e cerco di trasmetterlo ai miei figli».

LASCIARE L’INTER? – «Ho avuto offerte importanti di club europei, ho sempre messo sulla bilancia tutto, anche il lato economico, ma soprattutto ho valutato come stavo bene ecco, nel posto in cui ero. Al Real Madrid sono stato molto vicino. Quando mi fecero la proposta era però un momento difficile per l’Inter e io volevo lasciare un segno all’Inter. Non potevo andarmene in quel momento di difficoltà. Sono cambiate le dinamiche oggi, è anche giusto sia così, cambiano i tempi, c’è più informazione, più consapevolezza, sono seguiti diversamente oggi i ragazzi. I valori devono restare sempre però, è la base. Studio io ancora adesso, mi confronto coi dirigenti e dico sempre che uno può avere più o meno competenze, ma la differenza la fanno i valori umani».

RIVALITÀ PRINCIPALE – «Derby e Juve, le più sentite per una questione di storia dei tre club. Giocare quel tipo di partite creava qualcosa di speciale. Ho sempre avuto grandissimo rispetto ad affrontare Paolo Maldini. Al di là della rivalità, era una cosa bella perché affronti un grandissimo campione dentro e fuori dal campo. Anche adesso che ci troviamo ci abbracciamo, c’è grande rispetto anche con Del Piero, Totti, Buffon. C’è anche questo nel calcio. Il calcio unisce. In campo ognuno difende la propria maglia, fuori c’è il rispetto che viene prima di tutto».

MOURINHO – «Quel momento rimarrà in eterno, siamo gli unici italiani ad aver fatto il Triplete. Ricordo a Madrid, quel momento era il coronamento di un sogno per tutti noi e per Mourinho, un’annata indimenticabile per tutti. Ho avuto e ho ancora un grandissimo rapporto con Mou, da calciatore e anche adesso quando ci troviamo. Era riuscito a creare una famiglia, oltre ad avere grandi campioni, era una squadra con grandi personalità dove tutti volevano fare quella cosa per l’Inter, in quel momento. Quella Champions è stata complicata per noi, a Kiev nel girone perdevamo 1-0, eravamo fuori dalla Champions. Lì tu senti che quella squadra ha qualcosa in più, Mourinho ha tolto due difensori all’intervallo e ha messo due punte. Vinciamo 2-1 e lì è stato il primo segnale che si poteva fare qualcosa di importante. Tutti poi ricordano il Barcellona, quella per me era la squadra migliore fatta di super campioni. Lì è stato lo spirito di squadra dopo il rosso di Motta, l’unione del gruppo di arrivare all’obiettivo che era la finale e ci è andata bene».

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