Calcio e Finanza
·19 de julho de 2025
Tra prezzi degli abbonamenti, necessità di incassare e bufere giudiziarie San Siro snodo del calcio italiano

In partnership with
Yahoo sportsCalcio e Finanza
·19 de julho de 2025
Il lancio della campagna abbonamenti per la stagione 2025/26 di Inter e Milan, ovvero le due società che portano allo stadio il maggior numero di spettatori in Serie A, mai come quest’anno può essere visto come una sorta di cartina di tornasole sul modo di intendere del calcio dei prossimi anni.
E questo, va precisato sin da subito, al netto delle indagini della Procura di Milano che hanno portato a pene severe per svariati esponenti di entrambe le curve di San Siro a seguito di reati pesantissimi tra i quali anche due omicidi e due tentati omicidi.
Nello specifico i due club milanesi, dopo l’inchiesta che ha fatto emergere pesanti infiltrazioni malavitose nei settori più caldi delle due tifoserie, hanno giustamente seguito le indicazioni della Procura per quanto concerne i settori che tradizionalmente sono sede degli ultras dei due club: il secondo anello verde per l’Inter e il secondo anello blu per il Milan. Il giro di vite, in particolare, ha significato il blocco di diverse centinaia di rinnovi degli abbonamenti in questi due settori del Meazza, blocco che i club hanno potuto attuare in virtù del cosiddetto “codice di condotta” sottoscritto dai tifosi al momento dell’acquisto di biglietti o abbonamenti negli anni passati: regolamenti che prevedono la possibilità per le società di escludere dagli stadi i soggetti che non rispettano lo stesso codice di condotta. Il tutto senza dover passare da interventi delle forze dell’ordine e dei tribunali come il DASPO.
Ovviamente questo non ha mancato di creare non pochi mal di pancia tra i tifosi più caldi. Tanto che la Curva Nord interista in un comunicato ufficiale (la Sud milanista non si è ancora espressa in questo senso) ha palesemente stigmatizzato la condotta della società su questo tema minacciando anche azioni legali perché, secondo i legali degli ultras, il club avrebbe agito con discriminazione e violando il diritto di prelazione, motivo per cui dovrebbe partire le azioni civili e le conseguenti richieste di danni.
Come si chiuderà la questione si vedrà nel prosieguo della campagna abbonamenti, però è evidente che si sta parlando di un tema da trattare in punta di diritto e in questo senso è consigliabile lasciare ai legali delle due parti dirimere la questione.
Quello invece su cui si può discutere è la questione dei prezzi di entrata alla stadio, specificando sin da subito di non avere velleità di dare soluzioni a un tema spinoso e che probabilmente caratterizzerà il calcio dei prossimi anni.
Nel particolare per la campagna abbonamenti in corso, secondo quanto calcolato da questa testata, l’Inter, reduce da una stagione che l’ha vista in corsa sino all’ultimo sia in campionato sia in Champions League, ha maggiorato in maniera sensibile i prezzi, andando da un incremento percentuale del 10% nei settori più popolari a un aumento più sensibile (20%) per le zone più prestigiose dello stadio.
Il Milan invece, probabilmente anche a causa della stagione deludente, ha optato per mantenere invariati i prezzi dei tagliandi stagionali.
Allungando però il periodo è evidente come negli ultimi anni il prezzo di entrata a San Siro sia andato aumentando sensibilmente su entrambe le sponde del Naviglio. Secondo il nostro studio, analizzando i prezzi nelle ultime cinque stagioni in cui vi è stata la possibilità di abbonarsi, ovvero il 2019/20 (l’ultima pre-Covid) e le quattro dopo la fine della pandemia (2022/23, 2023/24, 2024/25 e 2025/26), si evince che entrambe abbiano aumentato notevolmente le cifre negli ultimi anni.
In particolare, analizzando la mediana dei dati (ovverosia il valore che si trova esattamente al centro di un insieme di numeri ordinati, che a differenza della media non è influenzata dai valori estremamente alti o bassi), emerge come l’Inter abbia intrapreso una politica di aumenti più marcata, con una mediana passata da 503 euro a 915 euro (+82%) in una crescita annua pari al 13%, mentre il Milan si è fermato a 745 euro, mantenendo così lo stesso valore del 2024/25 ma con un aumento del 51% rispetto al 2019 passando da 493 a 745 euro con una crescita annua del 9%.
Si dirà che questa tendenza non è una novità assoluta anche perché quantomeno allo Juventus Stadium questa dinamica è già in essere da tempo, almeno dalla metà del decennio 2010-2020 se non da subito dopo che il club si è trasferito nel nuovo impianto a partire dalla stagione 2011/12.
D’altro lato però è anche vero che la Juventus per la sua storia è un club sui generis in termini di spettatori: è nettamente la squadra più tifata d’Italia (secondo alcuni studi i suoi simpatizzanti nel Paese sono di più di quelli di Inter e Milan messi insieme), però i suoi appassionati sono per la maggioranza dislocati lungo tutta la penisola e non concentrati vicino alla città dove la squadra gioca. E questo la rende una sorta di unicum. Spesse volte non a caso, prima al vecchio Comunale e poi al Delle Alpi, si potevano notare grandi vuoti sugli spalti soprattutto quando la squadra non andava bene. E proprio questa specificità, come ha spiegato a questa testata il Facilities Management Director della Juventus Francesco Gianello nel video “Dentro l’Allianz Stadium” disponibile sul canale YouTube di Calcio e Finanza, fu uno dei motivi alla base della scelta del club bianconero di optare un impianto da 40mila posti pur avendo a disposizione la tifoseria numericamente più estesa d’Italia.
Inter e Milan, invece, sono più canoniche in questo senso e pur disponendo anch’esse di tifosi sull’intero territorio nazionale e non solo, hanno però la gran parte dei loro appassionati (almeno di quella che va a San Siro ogni domenica) concentrata nell’area della grande Milano, ovvero in quella zona, tra le più popolose d’Europa, non lontana dal capoluogo lombardo.
In questi termini sono meno specifiche della Juventus e possono maggiormente essere considerate quali possibili benchmark di tendenze generali per altri club, i quali tendenzialmente hanno tifoserie (almeno quella parte che si reca normalmente allo stadio) concentrate vicino alla città nella quale hanno sede.
Entrando nello specifico delle strategie economiche dei club milanesi, va notato che malgrado gli incrementi dei prezzi degli ultimi anni, i tifosi di entrambe le sponde non hanno mai mancato di fare sentire il loro appoggio bruciando con velocità quota massima degli abbonamenti (a cui entrambe le società negli ultimi anni hanno messo un tetto a circa 40mila posti, pari a circa il 55% della capienza di San Siro). E anche quest’anno, secondo quanto trapela sul lato Inter, le richieste della tifoseria nerazzurra sarebbero superiori del 20% nei confronti di quelle dell’anno scorso nonostante gli aumenti di prezzo di cui sopra.
In termini meramente economici, quindi nulla si può dire alle dirigenze dei due club che avendo sempre notevoli richieste per gli abbonamenti non hanno fatto altro che attuare la legge della domanda e dell’offerta aumentando i prezzi. Anzi, volendo spaccare il capello, paradossalmente se una critica a livello manageriale si può muovere è quella di non avere sfruttato appieno il potenziale inespresso della domanda aumentando i prezzi prima.
E questo anche perché per entrambi i club le dinamiche finanziarie sono importantissime se non vitali e quindi i soldi contano più che mai. In casa Inter, Oaktree sta compiendo passi da gigante nel risanare i conti del club (e nel contempo, per altro, il club ha già investito circa 70 milioni in questa campagna acquisti) ma seppur rifinanziato a un tasso inferiore (dal 6,75% al 4,5%), sebbene sia stato ridotto l’importo da 400 a 350 milioni e riscadenziato dal 2027 al 2030, il bond continua a pendere sul capo della società nerazzurra. E in casa Milan, per quanto la società calcistica in senso stretto non ha debiti preoccupanti, non va dimenticato che nella catena di controllo del club la RedBird di Gerry Cardinale ha in essere nei confronti di Elliott un vendor loan da 489 milioni in scadenza nel 2028.
Inoltre la bufera giudiziaria che sta sconvolgendo il settore immobiliare milanese non promette nulla di buono sul fronte del nuovo San Siro, il vero grande progetto delle proprietà di Inter e Milan. In un precedente appuntamento di questo editoriale si era anticipato come il percorso verso il nuovo impianto fosse ancora irto di ostacoli, e come previsto, i ricorsi e i problemi non solo si sono palesati ma addirittura ancora prima dei passaggi decisivi in Giunta e in Consiglio comunale che sono ancora da superare.
Soprattutto però l’offensiva giudiziaria scoppiata in questo giorni (e che vede indagato anche il sindaco Giuseppe Sala) sembra talmente vasta che d’ora in poi è plausibile che qualsiasi operazione immobiliare nel capoluogo lombardo sarà quantomeno vagliata con ancora maggior attenzione di quanto non fosse prima. Pertanto non sembra fuori luogo quantomeno ipotizzare un andamento più lento di qualsiasi procedura a progetti di real estate nel capoluogo. Tanto più che il nuovo San Siro, del valore di oltre un miliardo, è tra le più grosse operazioni immobiliari nella storia millenaria di Milano.
Avendo detto tutto questo e fatto salvo il sacrosanto diritto di ogni proprietà e imprenditore gestire le proprie aziende (e le politiche di prezzo sui tagliandi) nel modo che essi considerano migliore, è evidente che alzando il prezzo dei biglietti e degli abbonamenti si opera una segmentazione della clientela tifosa, nei fatti facilitando l’accesso allo stadio ai ceti più abbienti che sono poi quelli che nell’impianto spendono di più anche nei settori quali merchandising e beni di consumo aumentando più che proporzionalmente gli incassi del club.
In questo senso però si pone un tema di carattere generale che non è in capo a Oaktree, Redbird o alle altre proprietà di club, le quali giustamente operano per gestire al meglio le loro aziende cercando di massimizzarne l’utile. Ma va dritto a chi deve avere una responsabilità di natura più generale e di lungo termine del nostro ludus nazionale, che poi è un settore merceologico vitale per l’economia del Paese: ovvero il pericolo che i ceti più basso spendenti della popolazione vengano progressivamente esclusi dagli stadi erodendo via via il numero della base potenziale dei tifosi.
E questo pone non solo un problema sociale evidente visto che il calcio è il gioco nazionale per antonomasia, ma anche un nodo economico dato che la maggiore parte dei tifosi che oggi sono presenti negli stadi italiani si sono appassionati al calcio perché quando erano molto giovani un parente o un amico li hanno portati allo stadio. E una volta lì sono rimasti affascinati dall’atmosfera, dal gioco, dai colori degli spalti e non se ne sono più andati. E una volta cresciuti sono diventati non solo tifosi che vanno allo stadio ma anche clienti delle televisioni a pagamento.
Però, come si avvertiva in precedenza, il tema non è di facile soluzione e per questo in questa sede non si ha la pretesa di dare suggerimenti se non quello di aprire una questione: perché quand’anche vi fosse una sorta di regolatore nella politica dei prezzi il pericolo sarebbe quello di prestare il fianco a un problema più pesante, ovverosia quello di disincentivare gli investimenti esteri nel nostro calcio. Nel senso che inserire paletti alla libertà d’impresa non sarebbe certamente visto con piacere da quegli investitori e fondi stranieri che come si è visto in un precedente appuntamento di questo editoriale sono proprietari di 19 su 40 squadre tra Serie A e Serie B e che, piacciano o non piacciano, tengono in vita il calcio d’élite nazionale.