
Zerocinquantuno
·18 de abril de 2025
‘Pasqua di sangue’: storia di una fake news ante litteram

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·18 de abril de 2025
Sotto il ramo d’ulivo Bologna e Inter si sono già affrontate quattro volte, e quasi sempre per una posta altissima. Ma la più famosa sfida di Pasqua tra rossoblù e nerazzurri resterà quella del 29 marzo 1964, quando l’Inter s’impose 2-1 sotto le Due Torri ipotecando uno scudetto che il Bologna seppe poi togliergli di prepotenza e di giustizia, al prezzo della vita del presidente Renato Dall’Ara. Ai quasi ottuagenari di oggi quel giorno di 61 anni fa è rimasto nella memoria come la cosiddetta ‘Pasqua di sangue’, anche se poi, all’atto pratico, di sangue non se ne versò manco una goccia. Tutto nacque da una fake news ante litteram, o meglio, da un sontuoso travisamento. L’antefatto è noto: il Bologna, due punti sotto l’Inter per via dei tre di penalizzazione dovuti al presunto caso doping (servirono 45 giorni per dimostrare l’inconsistenza delle accuse), s’era visto privato anche del suo allenatore, squalificato fino al 1965 (!) e per questo costretto a guardarsi le partite dalla tribuna con l’aiuto di una ricetrasmittente collegata alla panchina. Un giornalista milanese aveva intervistato Bernardini pochi giorni prima dell’incontro e trasformò in un titolo ad effetto (‘Pasqua di sangue’) una banalissima frase secondo cui i nerazzurri non avrebbero superato la metà campo. Apriti cielo. I milanesi se la presero col tecnico romano e cercarono di soffiare sul fuoco accusando i felsinei di voler preparare un clima di guerra alla squadra di Herrera. Nonostante i presupposti poco concilianti, però, Bologna mantenne un equilibrio invidiabile: non solo non ci furono scontri tra tifosi (in un’epoca in cui le diverse bandiere si mischiavano con molta più facilità sugli spalti rispetto a oggi), ma nemmeno un’automobile targata Milano venne minimamente danneggiata. Il Comune e il BFC si erano profusi in un’inedita campagna di sensibilizzazione, tappezzando la città di manifesti che invitavano alla calma e al senso civico. Di quei giorni febbrili resta la solidarietà estrema tra la squadra e la sua gente, poiché tutta Bologna si era sentita assediata e minacciata dalle falsissime accuse di doping, come se un potere occulto si fosse coalizzato per battere i rossoblù con mezzi diversi da quelli agonistici. Tuttavia, la strenua difesa dei propri calciatori non servì a evitare gli insulti avversari. Prima ancora che il BFC potesse difendersi nelle sedi opportune, l’8 marzo 1964, alla prima partita che seguiva il caso doping, i felsinei furono accolti al Comunale da striscioni e cori dei sampdoriani: ‘drogati’ era la parola più gentile. Bulgarelli fu il primo a perdere il controllo, e reagì con una manata ad un fallo di Bergamaschi, che forse aveva insistito proprio su questo tema. Cinque minuti dopo anche Pascutti perse la testa e rifilò un pugno a Vincenzi sotto la Torre di Maratona. Il Bologna restò in nove e difese il gol di Haller come poté, alla fine vinse e uscì tra gli applausi. Ma quelli della Sampdoria non si davano per vinti: «Avete vinto perché siete drogati». «Ci droghiamo con albana e tagliatelle», replicarono allora alcuni tifosi rossoblù su un manifesto esibito in piazza Maggiore, durante uno dei tanti sit-in organizzati per protestare contro l’infamante accusa di doping. Tre mesi dopo finì tutto in festa, con la revoca della squalifica dei giocatori e la restituzione dei tre punti che erano stati tolti in classifica. È impossibile da dimostrare, ma senza quella reazione popolare, orgogliosa e ferma, forse quell’assurda penalizzazione sarebbe rimasta immutata. E il Bologna non si sarebbe laureato campione d’Italia per la settima volta.