Paolo Negro: "Col primo stipendio mi comprai un’auto, coi guadagni della conceria una tv" | OneFootball

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·07 de junho de 2025

Paolo Negro: "Col primo stipendio mi comprai un’auto, coi guadagni della conceria una tv"

Imagem do artigo:Paolo Negro: "Col primo stipendio mi comprai un’auto, coi guadagni della conceria una tv"

La Gazzetta dello Sport ha raccontato la storia di Paolo Negro: prima di arrivare a far parte della Lazio più vincente di sempre, dai 13 ai 16 anni ha lavorato in una conceria, per poi andare ad allenarsi… non ha mai perso la speranza e, con il tempo, tutti i sacrifici sono stati ripagati.

La sua intervista.


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Paolo Negro

Prima parte

Com’è finita con l’Uganda?

Mai andato: era un mercoledì, stavo guardando la Lazio, arriva una telefonata. “Ti vogliono come ct dell’Uganda”. Bene, mi dico, ma un paio di giorni dopo la federazione annuncia un altro allenatore. L’ennesima delusione di un mondo marcio.

Una volta disse: "Mi chiesero 50mila euro per allenare".

Confermo, volevano uno sponsor. A distanza di anni non è cambiato niente. Se avessero chiesto quei soldi a mio padre anni fa, di sicuro non avrei mai fatto il calciatore professionista. Vengo da una famiglia di operai, conosco il valore dei soldi.

Ha mai avuto un piano B?

Avrei lavorato in conceria. A Brescia facevo l'imbianchino e poi filavo al campo. Lì giocavo come centravanti. Nel Chiampo, la squadradelpaese,segnavo70 gol all’anno, ma se non mi avessero cambiato ruolo non avrei mai sfondato. A 16 lavoravo, mentre a 19, col Brescia, marcai Van Basten e Maradona in Serie A. Il salto della vita.

Il debutto tra i professionisti?

Settembre 1990, in Polonia, contro lo Zaglebie Lubin. Primo turno di Coppa Uefa. “Scoglio lancia uno sconosciuto”, scrissero. Col primo stipendio mi comprai un’auto, coi guadagni della conceria avevo preso una piccola tv.

E la Lazio come arrivò?

Dopo un Brescia-Lazio del 1993 giocato in campo neutro, a Trieste. La gara perfetta. Il mio agente mi aveva avvertito il giorno prima: “Vedi che devi fare... perché oggi dagli spalti ti guardano”. Signori non toccò un pallone per 90 minuti.

Album dei ricordi. Dino Zoff?

Quando arrivai mi chiese chi fossi. Ha preso un ragazzo timido e l’ha reso un uomo.

Un altro, Zdenek Zeman.

Se chiudo gli occhi sento ancora i “mortacci tua...” gridati da mezza squadra. Con lui non mangiavi, ti asciugavi e perdevi chili. Un martello.

Sven Goran Eriksson.

Impossibile arrabbiarsi con lui. Un uomo gentile. Che ha preso uno spogliatoio di matti e l’ha portato a vincere lo scudetto. Ancora oggi, quando penso a lui e a Sinisa, mi viene da piangere e non riesco a parlare. Mi mancano ogni giorno.

Diego Simeone e le partitelle.

Due squadre: giovani contro “anziani”. Niente ruoli. In palio i soldi, che a fine stagione finivano in beneficenza. Ho visto dozzine di risse: una volta Couto e Simeone si rincorsero con un coltello in mano e sfiorarono il danno. Dal giorno dopo, nello spogliatoio, misero le posate di plastica.

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