L'Inter in finale non cancella gli enormi problemi del calcio italiano, che dalla Serie A alla C necessita di modifiche profonde | OneFootball

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·31 de maio de 2025

L'Inter in finale non cancella gli enormi problemi del calcio italiano, che dalla Serie A alla C necessita di modifiche profonde

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Il calcio italiano, dopo soli due anni dalla finale persa dall’Inter contro il Manchester City, torna protagonista dell’appuntamento più importante della stagione europea: la finale di Champions League che si disputerà questa sera all’Allianz Arena di Monaco di Baviera tra gli stessi nerazzurri e il Paris Saint-Germain.

Questa volta però, a differenza della stagione 2022/23, la rappresentante del nostro movimento si presenta non più quale sfavorita assoluta, ma con più o meno le stesse chance di vincere dei parigini. Due anni orsono i nerazzurri fecero il loro capolavoro  soprattutto nella fase iniziale quando riuscirono a qualificarsi nel gruppo di ferro che includeva Bayern Monaco, Barcellona, Viktoria Plzen. Di li in poi però il sorteggio fu benevolo ponendo tutte le grandi favorite nella parte alta del tabellone (tra queste Bayern Monaco, Manchester City e Real Madrid) e le potenziali outsider (tra queste le italiane Inter, Milan e Napoli) in quella inferiore.


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Quest’anno invece Lautaro e compagni non solo si sono classificati quarti su 36 nella graduatoria della fase iniziale incontrando anche avversari di spessore quali Arsenal, BayerLeverkusen  e Manchester City, accelerando poi nella fase a eliminazione diretta nella quale dopo avere superato il Feyenoord agli ottavi, l’Inter ha avuto la meglio di due veri e propri pesi massimi della competizione quali il Bayern Monaco e il Barcellona. Di qui il maggiore grado di consapevolezza tra i nerazzurri che sta caratterizzando questa vigilia nei confronti di quella del 2023.

Inoltre, l’esaltante percorso di Champions League, grazie anche al nuovo format più redditizio, sta portando notevolissime risorse economiche alle casse societarie. Tanto che l’Inter per la prima volta nella sua storia potrebbe superare i 500 milioni di entrate al termine di questa stagione (che si chiude al 30 giugno) e soprattutto vedere il primo vero utileda decenni a questa parte (al netto di eventuali spese nel mercato di giugno aperto dal 1° al 10 del mese per il Mondiale per Club). In verità nel 2013/14 c’era stato un utile di 33,2 milioni ma si trattava di un risultato meramente contabile derivante dal conferimento dei rami d’azienda “Inter Brand” e “sponsor” nella società Inter Media and Communication. E per eventuali altri dettagli sul bilancio nerazzurro si può leggere l’editoriale già pubblicato sempre in questo spazio dal titolo “La squadra di Inzaghi spinge i conti nerazzurri: l’Inter vede il primo utile della sua storia recente”.

TRA SPETTATORI E SPAREGGIO: LUCI E OMBRE DELLA SERIE A

La finale di Champions League però segna anche la conclusione della stagione europea (anche se quest’anno vi sarà l’appendice prestigiosa del Mondiale per Club). Ed è quindi logico tirare le somme di un’annata che, non si può nascondere, ha mostrato numerose ombre in tutte le categorie del calcio professionistico italiano.

Partendo dalla Serie A, tra le note positive va notato che quest’anno il campionato ha avuto un finale elettrizzante sino all’ultima giornata. Turno che è stata decisivo per la gran parte degli obiettivi sportivi da assegnare: dal titolo nazionale ai posti validi per la qualificazione alle coppe europee sino alla lotta per non retrocedere. E di questo ovviamente si è giovato il numero di presenze allo stadio.

In particolare, la Serie A h chiuso la stagione 2024/25 con oltre 30mila spettatori di media per la seconda stagione consecutiva: non succedeva da fine anni ‘90, quando furono addirittura tre le annate chiuse oltre i 30mila spettatori (media di 31.223 spettatori nel 1997/98, 30.762 nel 1998/99 e 30.025 nel 1999/2000).

Questo però non deve nascondere i non pochi errori commessi in questa stagione. In tempi non sospetti questa testata aveva evidenziato che proprio la combinazione tra il testa a testa in campionato e l’Inter che si sarebbe potuta qualificare per la finale di Champions League sarebbe andata a ingolfare il calendario in maniera tale da costringere la Lega a soluzioni raffazzonate per non dire casuali. E effettivamente così è stato tanto che se il Cagliari (avversario del Napoli nell’ultimo turno) non si fosse salvato alla penultima giornata sarebbe stato quasi impossibile trovare un buco in calendario nel quale inserire lo spareggio garantendo da un lato all’Inter i giorni necessari per preparare al meglio la finale di Champions e nello stesso tempo la contemporaneità delle partite che vedevano coinvolte le squadre che lottavano per gli stessi obiettivi. Non a caso, da quanto trapela da via Rosellini, non sono stati giorni semplici quelli che hanno preceduto gli ultimi turni della Serie A con i vari portatori di interesse (presidenti delle squadre, manager della Lega e delle televisioni) impegnati a trovare una soluzione alla questione.

E d’altronde le parole del presidente Ezio Simonelli nel giorno dell’ufficializzazione di venerdì 23 come il giorno dell’ultimo turno di Inter e Napoli sono suonate come una conferma di quel grande caos. «Peccato che quest’anno questa bella idea (lo spareggio, ndr) si sia scontrata con un calendario super intenso e con una squadra come l’Inter che si gioca la finale di Champions League. Il 6 giugno ci sarà un’assemblea per discuterne, ma a mio modo di vedere lo spareggio va mantenuto. È una cosa bella», ha spiegato il massimo dirigente della Lega in quei giorni, non prima di aggiungere una postilla che spiega tutta la confusione: «Metterei una regola: se una delle due squadre coinvolte nello spareggio è finalista in Champions League, allora si torna alla vecchia regola della classifica avulsa o della differenza reti. Così si salvaguarda la competitività del campionato senza penalizzare chi si gioca un trofeo europeo. Se capita un caso eccezionale come quest’anno, vince la squadra che avrebbe vinto secondo il vecchio criterio».

C’è da dire, a testimonianza della sempre presente litigiosità in seno alla Lega Serie A, che anche i presidenti delle squadre non hanno agevolato la soluzione del problema. Per esempio, sempre secondo indiscrezioni mai smentite sinora, nel primo vertice sul tema i dirigenti del Napoli avrebbero chiesto di giocare l’ultimo turno di campionato nella sede naturale del weekend tra 24 e 25 maggio ed eventualmente giocare lo spareggio mercoledì 28. Ovvero a tre giorni dalla finale di Champions League.

I DISASTRI ECONOMICI DI SERIE B E SERIE C, TRA PENALITA’ ED ESCLUSIONI

Le cose però si fanno ancora più confusionarie e anche inquietanti quando si scende nelle serie inferiori. In Serie B non appena terminate le 38 giornate canoniche è scoppiato il caso Brescia. A causa di violazioni amministrative, il Tribunale Federale Nazionale ha penalizzato il club lombardo di quattro punti per la stagione 2024/25 (e ulteriori quattro punti da scontare nel 2025/26) condannando così la società di Massimo Cellino alla retrocessione in Serie C. In attesa dell’udienza davanti alla Corte d’Appello prevista per il 12 giugno, i playout di categoria si giocheranno fra Salernitana e Sampdoria con la gara di andata fissata per il 15 giugno.

La vicenda che ha portato al deferimento e alla penalizzazione del Brescia in campionato è di natura economica e nasce nel febbraio 2025, quando in vista delle scadenze imposte dalla federazione, il club ha provveduto a pagare gli stipendi netti relativi ai mesi di novembre 2024, dicembre 2024 e gennaio 2025. Tuttavia, non disponendo delle risorse finanziarie necessarie per coprire anche gli importi lordi, cioè i contributi fiscali e previdenziali (IRPEF e INPS), ha deciso di ricorrere a un credito d’imposta — uno strumento legale utilizzato anche da molte altre imprese — acquisito dalla società milanese Alfieri.

L’operazione aveva un valore complessivo di 2,4 milioni di euro, pagando circa 2 milioni. E, utilizzando questi crediti, sono stati predisposti i modelli F24 per coprire i debiti fiscali e contributivi: 1.439.676 euro per le scadenze di febbraio e 445.485 euro per quelle di aprile. Tuttavia, il 28 febbraio, la Covisoc ha inviato una comunicazione all’Agenzia delle Entrate segnalando una possibile irregolarità. La risposta è arrivata solo 77 giorni dopo: secondo l’Agenzia, il Brescia non ha mai effettuato il pagamento dei contributi. Le norme e i precedenti (in particolare di Ternana e Cosenza), in tal senso, parlano chiaro: il mancato pagamento dei contributi in questione porta a 4 punti di penalizzazione (due per l’IRPEF e due per l’INPS) da scontare nella stagione in corso, visto che da regolamento solo gli inadempimenti su scadenze successive al 16 marzo portano a sanzioni per l’annata seguente (cosa che avverrà, visto che il Brescia ha saltato anche le scadenze di aprile e quindi, nel caso in cui dovesse riuscire ad iscriversi in Serie C, partirà da -4).

E probabilmente ancora peggio è andata in Serie C, dove sono state 10 in totale le società colpite da penalizzazioni da parte del Tribunale federale nazionale (11 considerando anche la prossima stagione), con due di queste escluse dal campionato 2024/25 (Turris e Taranto) e una che è stata dichiarata fallita dal Tribunale al termine della competizione, la Lucchese: la società toscana può ancora salvarsi trovando un acquirente, ma i tempi per la presentazione della documentazione necessaria all’iscrizione alla prossima Serie C sono strettissimi.

Andando in ordine per girone, tra i club del girone A sono arrivate penalizzazioni per Novara (-2) e Triestina (-5, oltre a un’ulteriore penalizzazione di 14 punti da scontare nella stagione 2025/26) a seguito di violazioni di natura amministrativa, tra cui tra cui il mancato versamento di contributi fiscali e previdenziali. Passando al girone B, penalizzazioni sono arrivate per Spal (-3), Ternana (-2) e Rimini (-2), a causa di ritardi nei pagamenti delle ritenute IRPEF e INPS. Penalizzata anche la Lucchese (-6 punti in classifica) che, come detto in precedenza, ha dichiarato fallimento a fine stagione. Infine, il girone C: qui le penalizzazioni sono arrivate per Catania (-1) e Messina (-4 nella stagione 2024/25 e ulteriori 14 punti da scontare nella prossima stagione). Penalizzato anche il Trapani, ma i siciliani sconteranno gli 8 punti inflitti dal Tribunale nella stagione 2025/26. Chiusura dedicata infine a Turris e Taranto: entrambe le società sono state escluse dal campionato tra il 29° e il 30° turno a causa di violazioni amministrative, tra cui il mancato pagamento delle ritenute IRPEF e dei contributi INPS relativi ad alcune mensilità.

L’ITALIA E L’ECCESSO DI CLUB PROFESSIONISTICI

Insomma, una marea di problemi economici e organizzativi che partono dall’apice per scendere a tutte le categorie professionistiche. E questo non sarebbe niente se non fosse che il nostro Paese vanta un primato che, alla luce dei problemi economici appena elencati, appare alquanto strano. Secondo i documenti ufficiali della FIFA l’Italia è la nazione che tra le cinque maggiori federazioni europee vanta il maggior numero di squadre professionistiche, ovvero 100. Va notato che ogni federazione ha il diritto di stabilire il numero di campionati che considera professionistici. In Italia sono in totale tre (Serie A, B e C), come in Germania (Bundesliga, 2.Bundesliga e 3.Liga), mentre per esempio in Inghilterra sono quattro e in Francia e Spagna due. Questi sono i dettagli:

  • Italia – 100 club (20+20+60)
  • Inghilterra – 92 club (20+24+24+24) 
  • Germania – 56 club (18+18+20) 
  • Spagna – 42 club (20+22) 
  • Francia – 36 club (18+18) 

Ora la domanda è la seguente: lasciando perdere l’Inghilterra che grazie ai diritti tv esteri ha entrate non paragonabili agli altri Paesi, è mai possibile che l’Italia, terza economia di Eurolandia (dietro Germania e Francia) e quarta in Europa (alle spalle anche del Regno Unito), abbia praticamente il doppio di squadre professionistiche della Germania, maggiore economia del continente?

Perché una cosa è certa: per avere club sostenibili economicamente è necessario che questi abbiano delle entrate (ticketing, merchandising e così via) e perché vi siano queste entrate è necessario che la gente possa spendere dei soldi per seguire la propria squadra del cuore, sia questa in Serie A, B o C.

E in questo quadro siamo sicuri che l’economia italiana possa reggere il peso di 100 squadre professionistiche, ovvero un numero superiore a quello dell’Inghilterra (caso non paragonabile perché spinta dai ricavi super della Premier League che poi in parte discendono anche nelle serie inferiori), un numero praticamente quasi doppio di quello della Germania (maggiore economia del continente) e più del doppio di Spagna e Francia? Per alimentare il business del calcio è necessaria un’economia sottostante in grado di sostenerla.

GLI STIPENDI DEI CALCIATORI E LA REALTA’ DELL’INPS

Tutto questo è ancora più allarmante se non inquietante se si analizzano i dati dello studio dell’INPS sugli emolumenti dei calciatori professionistici italiani. Da questo emerge che, al di là del mondo dorato dei campioni supercelebrati, ben oltre il 50% dei calciatori delle prime tre divisioni italiane guadagna meno di 50mila euro lordi l’anno.

Nello specifico l’Osservatorio dell’INPS con le statistiche sui lavoratori appartenenti al Fondo Pensione Lavoratori dello Spettacolo (FPLS) e al Fondo Pensione Sportivi Professionisti (FPSP) ha spiegato come gli sportivi professionisti con almeno un contributo versato nel 2024 siano stati 13.144 (+24,3% rispetto all’anno precedente) e il 66,1% di questi è di aderenti alla FIGC. In questo quadro per quanto riguarda i calciatori, nel 2024 sono stati 4.148 gli atleti tesserati alla FIGC che hanno versato almeno un contributo (che viene versato anche dai giocatori stranieri) e secondo i dati resi noti dall’INPS, il 51,1% dei calciatori tesserati arriva ad avere una contribuzione lorda fino a 50mila euro. Nello specifico la categoria in cui rientrano più giocatori è quella con una retribuzione tra i 10mila e i 50mila euro (1.540 calciatori pari al 37,1%), mentre sono 580 (14%) quelli che arrivano sino a 10mila euro.

Salendo di categoria, chi guadagna tra i 50 e i 100mila euro (564 atleti) rappresenta il 13,6% degli atleti tesserati con la FIGC, mentre il 23,7% è invece riferito ai 982 che guadagnano tra i 100 e i 700mila euro. Infine, la fascia dei più ricchi: sono stati 482 i calciatori che nel 2024 hanno avuto una retribuzione oltre i 700mila euro, pari cioè all’11,6% sul totale.  Ora, alla luce di questi numeri, si potrà argomentare che nell’attuale stato dell’economia italiana un compenso di 50mila euro per un ragazzo tra i 20 e i 30 anni non è nemmeno così male. Però va anche notato che quello del calciatore è un mestiere atipico e se negli altri settori (quelli non sportivi) una persona che entra a bottega intorno ai 20 anni può ragionevolmente pensare di imparare un mestiere che gli dura una vita, nel calcio per limiti fisici questo non è possibile.

E con tali livelli di guadagni medi non si può immaginare di avere accumulato un capitale tale da potere vivere tranquillamente dopo il ritiro. È evidente quindi che vi sarà una massa di persone che dovrà sapere investire i denari eventualmente accumulati oppure inventarsi un nuovo lavoro dopo i 35 anni (gli staff tecnici degli allenatori non assorbono così tanto personale). E questo senza la minima preparazione se non quella di aver tirato calci a un pallone sino a quell’età.

In questo quadro, abbassando il numero di persone che hanno come professione quella di calciatore (e quindi riducendo il numero di squadre professionistiche) si inserirebbe nel sistema una selezione maggiore sin da subito di chi può vivere di calcio e chi no. Di qui probabilmente vi sarebbe un numero più elevato di persone che entrerebbe nel mercato del lavoro non sportivo in età più giovane. Quindi sarà minore il pericolo sociale di avere una massa di persone che dopo il ritiro (quando per molti calciatori si aprono interrogativi inquietanti sul proprio avvenire) deve inventarsi cosa farà da grande.

Si fa inoltre notare che un numero maggiore di persone che entrano presto nel mercato del lavoro non sportivo non farebbe che aumentare la massa di appassionati che da altri settori portano denari al calcio (acquistando i prodotti e i biglietti della squadra del cuore) introducendo nel movimento quei soldi aggiuntivi di cui sopra si è mostrata la necessità.

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