Inter Milan
·28 de maio de 2025
Il fortino nerazzurro: solo 16 minuti in svantaggio e una finale conquistata

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·28 de maio de 2025
C’è un dato che da solo racconta tutto. Un numero che pesa come un trofeo, che sussurra di solidità, determinazione, carattere: sedici minuti. In tutta la cavalcata europea dell’Inter, in 14 partite di Champions League, oltre 1260 minuti di gioco, la squadra di Simone Inzaghi è rimasta in svantaggio per appena sedici minuti. Un record che non grida, ma impone rispetto. Perché dietro c’è un’idea. Davanti, un muro. In mezzo, un’identità. È l’Inter che sa soffrire senza tremare, che sa aspettare senza arretrare, che sa colpire con la freddezza di chi non deve dimostrare nulla, ma vuole tutto. E a tenere insieme questo equilibrio sottile c’è la difesa nerazzurra, capace di blindare ogni attacco, spegnere ogni fiamma d'entusiasmo avversario, annullare ogni speranza nemica. Una linea costruita su certezze, scolpita da tempo, forgiata nel fuoco delle grandi notti europee.
Tra questi pilastri, c’è Alessandro Bastoni. Un difensore con l’anima del regista e il cuore da condottiero. Il suo assist contro lo Sparta Praga, un disegno perfetto per la corsa e la conclusione di Lautaro, è stato molto più di un passaggio: è stato il manifesto dell’eleganza che diventa decisiva. Una giocata che ha deciso una partita, indirizzato un percorso, messo la firma su un’altra notte da ricordare. E tutto parte da lui, da quel sinistro che accarezza e spacca, come solo i grandi sanno fare.
E poi c’è Rotterdam. Ottavi di finale. Contro il Feyenoord, Bastoni veste i panni dell’esterno puro, costruendosi quasi da solo l’azione del 2-0. Un affondo sulla sinistra, un dribbling e il passaggio al centro dove la palla dopo un batti e ribatti è finita in rete grazie alla zampata di Lautaro. Uno squillo in una serata in cui l’Inter ha saputo colpire con ferocia e precisione.
Il numero 95 ha illuminato anche l’andata dei quarti di finale sul campo del Bayern Monaco, partita in cui è stato nominato MVP: è lui a innescare sulla sinistra Carlos Augusto nell’azione dell’1-0, una trama scintillante conclusa dal colpo di tacco di Thuram per Lautaro. E all’81’, con l’area piena di insidie e il pallone buono sul piede di Muller, è sempre Bastoni a deviare un tiro a botta sicura, un intervento che vale quanto un gol. Come ha fatto al ritorno con Olise, con una deviazione miracolosa.
Nessun fortino regge senza un portiere che sappia sfidare la logica. Yann Sommer, con il suo profilo da uomo tranquillo e lo sguardo da scacchista, ha trasformato la porta dell’Inter in una zona proibita. Sempre presente, mai fuori posto, il portiere svizzero ha firmato interventi che hanno spostato il destino.
Contro il Bayern è stato plastico, puntuale, decisivo. Parate che hanno spento la foga bavarese. Sia all'andata sul tiro ravvicinato di Guerreiro che al ritorno su Olise. Decisivo anche nei mesi precedenti: nelle gare giocate contro il Manchester City, il Lipsia e lo Sparta Praga.
Le gare perfette sono state quelle in semifinale, giocate contro il Barcellona. All'andata devia il tiro di Lamine Yamal da distanza ravvicinata, con un riflesso felino. E neutralizza poi il tentativo di Dani Olmo. Al ritorno diventa mitologico: quando tutto sembra scivolare compie tre miracoli: prima con un volo disperato respinge la conclusione di Eric Garcia e poi vince ancora una volta la sfida contro Yamal disinnescando con due parate paradisiache le conclusioni a giro dal limite. Due parate che resteranno per sempre e che hanno tenuto viva la corsa nerazzurra, proteggendo il sogno.
Sommer non urla, non esulta, non reclama. Ma c’è. Sempre. Come una certezza silenziosa dietro l’ultima linea. E quando gli altri perdono il respiro, lui lo tiene. Con le mani ferme, il cuore caldo, la testa lucida.
Il dato dei 16 minuti di svantaggio racconta una costanza mentale rara, una tenuta fisica superiore, una compattezza da vera grande d’Europa. Solo tre i momenti di buio, subito dissolti: a Leverkusen nei minuti finali di una gara già scritta, a San Siro per sei minuti tra il gol di Kane e la risposta di Lautaro, e ancora contro il Barcellona per altri sei minuti prima del pareggio di Acerbi. Tre lampi nemici, subito spenti dalla reazione nerazzurra. In finale, ci va una squadra che non si scompone, non si arrende, non smette mai di crederci. E questa Inter lo ha fatto senza clamori, ma con una difesa che parla la lingua della concretezza e della solidità.
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