Hellas Verona FC
·6 marzo 2025
Viste da vicino | Federica Anghileri

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·6 marzo 2025
Verona - Nuovo appuntamento con 'Viste da vicino' il format di interviste gialloblù in cui le protagoniste sono le ragazze della Prima squadra dell'Hellas Verona Women.
Decima puntata dedicata a Federica Anghileri, centrocampista lodigiana classe 2002, giovane 'veterana' dell'Hellas Verona Women. Federica, attraverso i suoi ricordi più belli, ci ha raccontato della sua passione per il calcio, del difficile momento vissuto a causa dell'infortunio al crociato, della grinta che le è servita per superarlo e del rapporto con le sue compagne di squadra.
Come hai iniziato a giocare a calcio? “Fa sempre molto ridere quando lo racconto. Prima di giocare a calcio ho giocato per un anno a basket, nonostante con mio padre Luigi andassi già spesso allo stadio. Ricordo poi che un pomeriggio, mentre ero al parco, ho detto a mia mamma Raffaella che volevo indossare le scarpe con i 'tacchini', una piccola storpiatura di 'tacchetti' (ride ndr). Da lì ho iniziato con il calcio. I miei genitori mi hanno accompagnata alla squadra dell'oratorio di Santa Maria Ausiliatrice a Lodi, dove ho iniziato a giocare con i maschi finché ho potuto, fino ai 13-14 anni. Ho giocato con i miei amici dell’oratorio per circa cinque anni prima di passare alla principale squadra di Lodi, il Fanfulla, dove sono rimasta due anni. Durante quei due anni, hanno iniziato a cercarmi alcune squadre, tra cui l’Inter e l’Atalanta Mozzanica, squadra che alla fine ho scelto e in cui ho giocato fino al mio esordio in Serie A, a 16 anni”.
E dopo? “Ho continuato a giocare ad Empoli. L’estate successiva al mio esordio in A il Mozzanica non si è più iscritto al campionato ed è stato acquisito dalla Juventus, che mi ha mandata in prestito in Toscana. Lì ho giocato nuovamente in Serie A, prima trasferirmi al Florentia San Gimignano, dove ho giocato un solo anno prima che la società venisse acquisita dalla Sampdoria. E alla fine eccomi a Verona, dove sono arrivata ormai quattro anni fa”.
Che emozioni hai provato quando hai saputo che saresti diventata una tesserata di una squadra come la Juventus? “È stata un'emozione forte. Ero al mare, ricordo di aver ricevuto la chiamata dalla Juventus, una delle squadre più forti in Italia e in Europa a livello femminile. È qualcosa che ti 'gasa', e senza pensarci due volte ho firmato”.
E poi sei arrivata a Verona… “Nel solito periodo estivo che precede la formazione delle squadre è arrivata l'opportunità di venire a Verona, una squadra di cui avevo sempre sentito parlare bene, un luogo in cui le giovane possono crescere al meglio. A 19 anni ho pensato, a ragione, che questo fosse il posto giusto per me, e visto che sono qui da ormai quattro anni direi che non mi sono trovata poi così male (ride ndr). A Verona sono passate parecchie giocatrici di un certo calibro, del resto. E poi, la città è molto bella. Quando sono arrivata qui venivo da un periodo in cui cambiavo città ogni anno; cercavo dentro di me quella stabilità, ma cercavo anche una dimensione più cittadina rispetto a Mozzanica, Empoli o San Gimignano, anche rispetto alla mia città natale, Lodi. A Verona mi sono trovata bene fin da subito: mi piace, mi ci trovo bene, anche perché non è una città dispersiva nonostante ci sia veramente tutto”.
E in tutto questo girare, cosa resta di casa? “Resta la famiglia. Ho lasciato e perso un po’ di rapporti tra la quarta e la quinta superiore, visto che ho dovuto anche cambiare scuola. È stato tosto, perché andavo a inserirmi in una classe già formata, con rapporti che erano costruiti da tempo. Non ero neanche chissà quanto autonoma: la patente ancora non ce l'avevo, ero vincolata alla scuola e agli allenamenti, e tra l’altro non erano neanche tutti luoghi vicinissimi rispetto a casa. Ho perso col tempo alcuni rapporti, però, con il senno di poi, sono riuscita a crearne altrettanti. Crescendo ho imparato a mantenere i contatti nonostante la distanza, ma di casa mia rimane solamente la famiglia e qualche rapporto, che conto sulle dita di una mano”.
Riprendendo una tua vecchia intervista, dicevi che le partite alla playstation con tuo fratello sono sempre state combattute… “Ho sempre avuto un bel rapporto con mio fratello Matteo, anche se la Playstation non la usiamo più (ride ndr). Lui ha quasi quattro anni in meno di me. Mi chiama e mi scrive spesso, crescendo è diventato sempre più affettuoso nei miei confronti. Abbiamo legato di più. Insieme a mio padre andiamo spesso allo stadio. Insomma, direi che il calcio è uno degli elementi principali della nostra famiglia”.
In campo ti reputi un punto di riferimento per le tue compagne? “In campo mi sento responsabile, soprattutto quest’anno con un gruppo molto giovane. Da quando sono rientrata dall’infortunio cerco di dare il massimo per la squadra. In realtà anche prima: dagli spalti cercavo di dare l’esempio, di infondere la mentalità dell'Hellas Verona alle ragazze più giovani e anche a quelle nuove. Sono contenta di essere rientrata e di poter essere più incisiva ora direttamente dal campo”.
La grinta che metti su ogni pallone possiamo dire che è la stessa che hai messo per recuperare dall'infortunio, non l'unico che hai subito in carriera... Com'è stato? “Bella domanda… Purtroppo, o per fortuna, ma direi soprattutto purtroppo, ho sempre dovuto affrontare infortuni piuttosto lunghi. Sono momenti che ti fanno crescere, vuoi o non vuoi. Ti fanno capire quanto sia importante allenarsi al massimo, ogni singolo giorno, perché il giorno dopo potrebbe succedere di tutto. Serve tanta determinazione. Non posso negarlo, ci sono anche momenti di down, di crisi, ma bisogna restare forti a livello mentale. Sta tutto lì, nel saper reagire a quello che succede. Rompersi il crociato e il menisco due volte non è facile. A sinistra e a destra. La prima volta ero davvero una ragazzina, ma paradossalmente sono riuscita a viverla meglio, con un po’ di sana incoscienza. La seconda, insomma… Ma adesso sono qui”.
La sintonia in campo con alcune compagne che ormai conosci da tempo cosa significa per te? “Nel tempo siamo riuscite a creare rapporti anche fuori dal campo, e quando conosci una persona anche fuori dal terreno di gioco viene più semplice intendersi anche in partita. Il calcio è un gioco di squadra, devi conoscere il più possibile le tue compagne per far sì che ci sia quella sintonia e quell'armonia lì”.
Negli anni il tuo raggio d'azione si è spostato un po' indietro, da prima punta a mezzala. Come interpreti oggi questo nuovo ruolo? “Sono sempre stata abbastanza offensiva come giocatrice e col tempo sono diventata una mezzala. Mi piace di più, sinceramente. Credo sia nelle mie caratteristiche, perché mi piace toccare palla e provare a gestirla il più possibile”.
Dal numero 18 al numero 11, come mai questa scelta? “Il 18, in realtà, è arrivato un po' per caso. I miei numeri preferiti sono sempre stati l'11, il 7 e il 22. Quando arrivi in una squadra nuova, non hai molta scelta. Prendi la lista e scegli quello che ti convince di più. Ecco, il 18 è arrivato proprio così. Non mi dispiaceva come numero. Ma alla fine sono riuscita a tornare al numero 11 (ride ndr)”.
Il tuo ricordo più bello vissuto nel calcio finora? “Uno singolo è difficile. Potrei dire l'esordio in Nazionale, in cui ho anche segnato. Era un'Italia-Slovenia Under 16, nel 2018. Direi anche però l'esordio in Serie A con il Mozzanica, anche lì avevo segnato. Era un Fiorentina-Atalanta Mozzanica, partita finita 6-1 ma, ehi, quel gol l’avevo fatto proprio io (ride ndr). Diciamo che ho un certo feeling con gli esordi. Un gol molto bello, che ricordo ancora ora, è stato in Italia-Olanda, torneo giovanile in Portogallo. Un gol in pallonetto di sinistro, uno dei gol più belli che abbia mai fatto”.
Chi è il tuo idolo calcistico? “Sicuramente Kakà, ma ultimamente mi piace molto anche Brahim Diaz. Piccolino, tecnico, lo prendo volentieri come esempio”.
E fuori dal campo, chi è Federica? “Sono una ragazza molto semplice. Mi piace stare in compagnia, ascolto musica, vado in giro, mi piace visitare le città, viaggiare non appena posso. Insomma, una ragazza solare, divertente, direi simpatica. Insomma, le altre persone ridono alle mie battute (ride ndr). Sto per laurearmi in Scienze Motorie, e sono ancora indecisa se andare avanti con la magistrale. Devo pensarci un po’, ve lo farò sapere al più presto (ride ndr)”.
Cosa significa il calcio per te? “È la mia vita. Ho dedicato tanto tempo al calcio, ho fatto sacrifici per giocare a pallone, ma è anche divertimento. Rispondere con una sola parola non è facile. Lo definirei passione, impegno, determinazione e gioia”.
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