Viste da vicino | Alessia Pecchini | OneFootball

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·10 ottobre 2024

Viste da vicino | Alessia Pecchini

Immagine dell'articolo:Viste da vicino | Alessia Pecchini

Verona - Primo appuntamento con 'Viste da vicino' il nuovo format di interviste gialloblù in cui le protagoniste sono le ragazze della Prima squadra dell'Hellas Verona Women.

Puntata speciale dedicata all'ex difensore gialloblù Alessia Pecchini, che questa estate ha preso la difficile decisione di appendere gli scarpini al chiodo. Con Alessia abbiamo parlato dei suoi inizi nel mondo del calcio, della sua carriera e di quanto questo sport le abbia insegnato in più di 20 anni di attività.


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Una carriera solo in squadre femminili, anche da bambina, una particolarità nel calcio femminile... "Sì è vero. Ho avuto la fortuna di avere una squadra di calcio femminile a pochi chilometri da casa, la Fortitudo Mozzecane, che all'epoca era nata da pochi anni. Dopo un po' di resistenza da parte dei miei genitori sono riuscita a iniziare a giocare a 10 anni, nemmeno piccolissima, ma da lì poi non mi sono più fermata".

Una situazione che non tutte le bambine che vogliono giocare a calcio possono provare, ma che ad esempio è una bella opportunità che l'Hellas Verona offre: chi inizia qui inizia la carriera nel femminile con la prospettiva di arrivare fino in Prima squadra... "Esatto, qui si inizia subito nel femminile e lo si fa utilizzando le stesse strutture, competenze e possibilità che hanno i bambini, un fattore da non dare per scontato. Chi inizia a giocare a calcio nel maschile da bambina lo fa perché le squadre femminili sono poche e non sempre vicine a casa. Non tutti i genitori sono disposti o hanno la possibilità di fare tanti chilometri per portare agli allenamenti una bambina di 4, 5 o 6 anni. Penso però che ci siano anche tanti lati positivi nel fare sport, e nel fare calcio, con i bambini. Esistono anche tante scuole calcio integrate, dove maschi e femmine giocano insieme, personalmente credo sia solo una ricchezza. Io ho avuto la possibilità di giocare per tutta la mia carriera nel femminile, e sono stata molto contenta di farlo, ma per me già il fatto di giocare a calcio è stata una vittoria, avrei giocato ovunque. Ho fatto anche altri sport prima, il calcio non è stato il primo. Ho fatto sport come ginnastica artistica e pallavolo, ma io ho sempre saputo e voluto di voler giocare a calcio".

Perché? "Mi divertiva. Se l'ho fatto per così tanti anni nonostante gli infortuni e i sacrifici è perché mi ha sempre divertita. Da bambina mi piaceva giocare, correre, fare sport con la palla. Quando giocavo a pallavolo mi piaceva, ma dicevo a mia mamma che non era uno sport in cui si correva, e io volevo correre. Infatti poi ho giocato sulla fascia per anni. Ricordo come fosse ieri il mio primo allenamento: pioveva, era fine settembre, diluviava. Si stava giocando un'amichevole, ma io non avevo ancora mai fatto nemmeno un allenamento. Mi fecero entrare in campo gli ultimi minuti, fu amore a prima vista, l'allenamento più bello di sempre. Ricordo che tornata a casa dissi a mia mamma che avevo le idee chiarissime: volevo giocare a calcio".

Inizi a giocare a Mozzecane dove praticamente rimani per quasi tutta la tua carriera, prima di arrivare al Verona. Esiste un momento particolare che ti porti dentro di questi anni? "Nella Fortitudo Mozzecane ho fatto davvero una vita. Ogni anno per me è ricco di persone e momenti importanti; persone che sono sempre state al mio fianco e sono parte del divertimento e dell'amore che è stato per me il calcio. L'emozione più grande è stata quando come Fortitudo Mozzecane siamo arrivate in Serie A. Eravamo un paesino di 8.000 abitanti, e le stesse persone di Mozzecane non sapevano nemmeno quasi della nostra esistenza. Una realtà piccola che arrivava in Serie A con le sue forze, una squadra giovanissima, fatta tutta di ragazze cresciute lì. Una società che con poco ha fatto tanto: non avevamo niente ma avevamo tutto. Arrivare in Serie A è stata un'emozione fortissima. Eravamo un gruppo bellissimo, e tra l'altro l'allenatrice era Antonella Formisano, l'attuale Direttore Sportivo dell'Hellas Verona Women. Un gruppo fatto di persone: l'essere Fortitudo voleva dire essere tanto. Siamo state comunque felici del cambiamento in Chievo Women; anche quegli anni sono stati bellissimi".

Come arriva l'opportunità dell'Hellas Verona Women? "Arriva dopo un anno personale difficile. Fino a quel momento il calcio mi aveva dato tanto, ma stavo iniziando ad accorgermi che alcune situazioni che si erano create stavano iniziando a togliermi quell'energia, quella spinta che avevo sempre avuto. L'arrivo del Verona mi ha fatto capire che avevo ancora qualcosa da dare a questo sport, che potevo ancora mettermi in gioco. Per me è stato bello vedere come persone che mi conoscevano, come il DS Antonella Formisano o l'allenatrice dell'epoca, Veronica Brutti, credevano in me. Ho capito che avevo bisogno di cambiare e di intraprendere un'esperienza nuova. Non nego che l'essere l'Hellas Verona, una squadra che ha fatto la storia della mia città, mi ha spinta a maggior ragione ad accettare. Volevo provare a mettermi in gioco in una realtà di massimo livello com'è questa".

La possibilità di rappresentare in questo modo Verona cos'ha significato per te? "È stato un orgoglio. Ricordo ancora la prima volta che ho indossato questa maglia, ma sinceramente per me è un orgoglio tutt'ora indossarla. Qualche settimana fa sono stata in montagna, e indossavo una felpa del Verona. Il mio orgoglio è vedere la curiosità delle persone che mi incontrano e mi chiedono dell'Hellas, incontrare il loro sguardo fiero. Il Verona è una società che ha fatto la storia del calcio e anche quella della mia città, è stato assolutamente un privilegio per me vestire questi colori. Anche se sono stati due anni caratterizzati da un lungo infortunio, che non mi ha permesso di mettere in campo tutto quello che avrei voluto, per me sono stati due anni bellissimi. Si pensa sempre che le cose più importanti siano il campo, il risultato, il fare gol; tutto ciò conta sicuramente, ma per me l'Hellas è stato altro. Qui ho conosciuto persone speciali, dai ragazzi dello staff alle mie compagne, che sono state fantastiche, soprattutto nell'ultimo periodo di difficoltà mi hanno sempre fatta sentire parte del gruppo, della squadra, di quello che succedeva in campo e fuori".

Avresti voluto continuare? "Sì perché sono stati due anni davvero molto belli. Avrei voluto continuare, e il Verona mi aveva dato la possibilità di farlo, di continuare la riabilitazione e di tornare in campo. La scelta di smettere è stata unicamente mia. Purtroppo ho capito che dovevo sì continuare a curarmi, ma per tornare alla mia quotidianità, a riavere un ginocchio che nella vita di tutti i giorni stesse bene. Anche questo mi mancava. Pretendere da un ginocchio che fatica a salire le scale di allenarsi tutti i giorni era troppo, avrei messo a rischio anche tanto altro. Dolorosamente ho dovuto prendere questa decisione".

Cosa ti ha lasciato il calcio in più di 20 anni di carriera? "La prima cosa che mi viene da dire è che il calcio mi ha lasciato persone. È quello che mi ritrovo anche adesso, anche se magari non lo vivo più quotidianamente. Ci sono amiche che sento da 22 anni, da quando ho iniziato a giocare. Ho avuto la fortuna dal primo giorno di giocare con Rachele Peretti, e l'ho fatto finché ho potuto. È una persona che rimarrà nella mia vita, ma come tantissime altre. Mi sento ancora anche con i fisioterapisti e i preparatori che mi chiedono come sto. I legami restano anche oltre il campo, questo mi ha insegnato e lasciato il calcio. Così come mi ha donato anche l'esempio dei miei genitori, che mi hanno seguita sempre, venivano a vedere le partite della mia squadra anche quando ero fuori, e stanno continuando a venire a vedere quelle di quest'anno. Se penso al calcio sicuramente penso a tanti momenti di gioia e di unione, però poi quello che mi resta sono le persone".

Che consiglio daresti a chi gioca ancora? "Se posso darne uno direi alle ragazze che giocano ancora oggi di essere sempre sé stesse, di far conoscere agli altri chi sono veramente e di curare non solo quello che sembra in quel momento la cosa più importante, ovvero il campo, ma anche le relazioni con gli altri. Come dicevo prima, poi è quello ciò che ti resta".

Chi è Alessia ora fuori dal campo? "Più o meno è sempre la stessa persona di qualche mese fa. Adesso sicuramente c'è un bel vuoto, mi manca una la quotidianità che il calcio mi dava, ma ho anche voglia di dedicare tempo e energie a chi ne ho dedicato meno prima per ovvi motivi, famiglia, amici e altre passioni. Mi piace la montagna, la bicicletta, e ho anche altri hobby. Io mi sento comunque la stessa persona, e se un giorno ho voglia di andare al campo sento che non è cambiato niente. Se passa un mese senza che vada non ne percepisco la mancanza. Quello che ti dà il calcio resta. Oggi sono la persona che mi ha fatta diventare il calcio, e questa continuerò ad essere".

A chi va il ringraziamento di questi 20? "Sicuramente al calcio e a tutte le persone che sono state parte di questo viaggio".

Il calcio fa parte anche del tuo lavoro di tutti i giorni? "Sì, ho creduto di poter fare di questa mia passione un lavoro e oggi sono una Psicologa dello Sport. A me lo sport ha dato tanto e credo che possa essere uno strumento formativo fondamentale per la società, così come lo è la scuola e come lo sono tante altre istituzioni. Penso che lo sport possa essere uno strumento importante: personalmente tengo al fatto che venga praticato e che venga trasmesso nel modo migliore. Il mio lavoro fondamentalmente riguarda questo. Porto agli altri l'atleta e dell'allenatrice che sono stata. Mi sono allontanata dal campo con un ruolo, ma piano piano ci torno con un altro".

Quale futuro vedi per te nel calcio? "Ci ho già pensato, ma in questo momento per un anno ho deciso di staccare, di prendermi del tempo per rielaborare il cambiamento. Non penso di star abbondando il calcio, ma credo di star cambiando il modo in cui lo vivo. Sicuramente non sarà più come prima, ma che sia nel ruolo di psicologa o di allenatrice, per cui ho già fatto il patentino UEFA B, l'unica certezza che ho è il fatto che vivrò ancora questo sport dal campo. Proverò, sperimenterò e cercherò di capire qual sarà il modo in cui mi divertirà di più".

Come ultima cosa, che consiglio daresti alle tue ex compagne per questa nuova stagione? "Sicuramente quello che è appena iniziato sarà un anno complicato, ma credo che se ognuna di loro è lì è perché lo merita, sono state scelte per un motivo. Ogni volta che si indossa la maglia si deve dare il massimo che è nelle tue capacità, poi alla fine dell'anno si faranno i conti. Ci sono stagioni che partono male altre che partono bene, ma secondo me bisogna sempre avere fiducia nel lavoro che si fa. La domenica non si improvvisa nulla, è sempre tutto frutto dell'allenamento settimanale. Bisogna prepararsi bene e cercare di migliorarsi di allenamento in allenamento. Quando le cose si fanno difficili si rischia di perdere un po' di fiducia e se non c'è quella poi viene a mancare anche il resto. Penso che allenandosi e avendo fiducia in sé stesse i risultati arriveranno. Conosco mister Venturi, è un allenatore che lavora bene, che sa preparare le partite in settimana con attenzione. Quella di quest'anno è una squadra completamente nuova, con un allenatore nuovo e una squadra molto giovane. Le veterane che sono rimaste avranno un ruolo difficile e importante allo stesso tempo, dovranno trascinare la rosa. Penso sia normale che l'inizio sia stato difficile, ma attraverso il lavoro e con fiducia i risultati arriveranno".

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