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·31 maggio 2025
Viola: «Io ho sempre stimato la piazza di Cagliari. Vi racconto la mia carriera tra Reggina, Benevento, Bologna e…»

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·31 maggio 2025
Nicolas Viola è l’ospite della seconda puntata del podcast ufficiale della scoietà sarda, il quale è diretto dal cantante Alessandro Spedicati. Arrivato in Sardegna nell’estate del 2022, il trequartista del Cagliari ha parlato di diverse tematiche inerenti alla sua parentesi rossoblù (e non solo. Una lunga carriera tra Reggina, Benevento (di cui è stato capitano e leader), Ternana, Novara e Bologna, il giocatore classe 89′ si è raccontato. Le sue parole:
LE DICHIARAZIONI DI VIOLA (IN AGGIORNAMENTO)
TAURIANOVA – «Nasco a Oppido Mamertina ma cresco – anche calcisticamente – a Taurianova: anche mio padre giocava per cui io e mio fratello siamo cresciuto con la fissa del calcio. Tante cose accomunano Sardegna e Calabria, qui ci sono molti elementi che mi ricordano il posto in cui sono nato. Sono molto diverse per certi aspetti, ma devo dire che Cagliari a volte mi ricorda Reggio Calabria. Mi sono trovato subito a mio agio qui, quando sono arrivato mi sembrava di esserci da diversi anni».
INIZIO, PAPA’ E FRATELLO – «Ho iniziato a giocare a 4/5 anni, ho avuto la fortuna di avere mio fratello che giocava e che ha un anno in meno di me. Già quando eravamo bambini la passione per il calcio rappresentava tutto, ci siamo ritrovati più da grandi perché da piccoli avevamo compagnie di amici diverse. Siamo cresicuti con la voglia di giocare e arrivare in Serie A, la competizione tra fratelli nasce da subito per quanto tu possa voler bene a tuo fratello: è una rivalità positiva e la sua influenza mi ha aiutato molto. Lui giocava un po’ più avanti di me, era un attaccante. Io ho dovuto fare un percorso di crescita personale per capire meglio le mie emozioni».
REGGINA – «Sono arrivato anche prima e poi verso il 17/18 anni si sono resi conto del fatto che avevo qualcosa in più rispetto agli altri. Mi ero affacciato in prima squadra nel periodo in cui avevo ricevuto la prima convocazione in una nazionale giovanile. Serie A? Ho vissuto bellissimi anni lì, la Reggina mi ha fatto crescere tantissimo come uomo; l’esordio è stato bellissimo. Ricordo che giocai dal primo minuto e che poi mio fratello subentrò a me, ricordo questa esperienza con tantissima gioia anche se avrei voluto giocare assieme a lui. Uscire dal mondo del mio paesino, conoscendone poi uno nuovo, non dico che mi abbia spaventato; credo che mi abbia spinto a dover fare qualcosa in più. Mi sono dovuto conoscere tramite gli errori ed il senso di colpa che ne scaturiva!».
PALERMO – «E’ successo di tutto (esoneri ecc. n.d.r.), io ero arrivato come una promessa: sarei dovuto essere il sostituto di Liverani che poi ho ritrovato a Cagliari! Palermo è una grande piazza esigente che ai tempi dava già per scontata la Serie A, si puntava a fare qualcosa in più. E’ stato un anno fondamentale perché mi sono confrontato con giocatori forti, a quell’età però non potevo capire cosa mi avesso lasciato loro e i cinque allenatori avuti in quella stagione».
BENEVENTO – «Mi ha dato tantissimo, ho conosciuto persone che mi hanno cambiato: ero in piena maturità a 27/28 anni. Roberto De Zerbi mi ha dato tantissimo anche se si stava affacciando al mondo del calcio, non era ancora un allenatore molto conosciuto. Lui ha proposto qualcosa di differente che mi ha portato a dovermi mettere in discussione, dovevo capire a cosa mi avrebbe portato quella squadra. Ho dovuto mettermi in discussione, lui mi ha svoltato la carriera: siamo in costante crescita ma quello per me è stato un punto di svolta. All’inizio non giocavo e sono migliorato quando ho capito che non potevo attribuire la responsabilità di questo agli altri. Ho capito che tutto dipendeva da me!».
ALLENATORI E RETROCESSIONE – «Gasperini mi ha allenato per otto mesi, ma devo dire che quello non è stato un anno felicissimo per me. Prima pensavo che quella fosse una esperienza disastrosa, ma ora ho capito che mi ha fatto crescere, ho avuto Gasp che era un grande allenatore. Ho avuto anche Malesani che mi ha fatto giocare qalche partita, ma forse ho avuto dei problemi di comunicazione. Retrocessione Benevento dopo la partita con il Cagliari? In quell’occasione io ho parlato pochissimo, poteva succedere con il Cagliari come con il Milan o la Juventus. A prescindere da questo ci vuole rispetto quando si parla, io in quell’occasione ho avuto un po’ di rabbia».
ANNI IN SERIE B – «La B mi ha insegnato tanto perché ho sempre giocato per vincere, sono stati anni bellissimi però ero in una zona di comfort. Facevo i miei gol ed assist, ma mi ero reso conto che non ero felice e mi sono fatto tante domande come “perché gioco a calcio?”. Ho capito che agivo per ambizione, ma serviva qualcos’altro perchè poi non sei felice, come abbiamo visto nelle notizie degli ultimi anni. A quel punto ho capito che era l’amore per il calcio che mi portava avanti, non il riscatto sociale!».
BOLOGNA E MIHAJLOVIC – «Tutti mi hanno lasciato qualcosa, negli ultimi anni poi ho capito che devi accogliere le persone che siamo per quello che sono. Arrivano nel momento giusto, incontro Sinisa dopo un anno che per me è stato buono, nel quale però c’è stata la retrocessione con il Benevento. Non volevo rinnovare ed ero sicuro che avrei trovato squadra: quell’anno ho rifiutato offerte dall’Arabia e dalla Turchia e lo stesso in B, volevo giocare in Serie A! Mi allenavo da solo per essere pronto alla A, non arrivavano chiamate e poi mi ha conttato Bigon del Bologna. E’ stato un momento meraviglioso nel quale poi conoscevo un allenatore del quale ero innamorato calcisticamente: sinistro e che batteva le punizioni. E’ stato un anno difficile perché lui aveva dei problemi, ma capì che poteva darmi tanto. Quando ho saputo dei suoi problemi fisici, ho capito che si azzeravano quelli che potevano essere i fastidi per alcune cose. Non vedevo un allenatore, vedevo un uomo che stava lottando per qualcos’altro! Con Sinisa le emozioni sono diventate così tanto amplificate da diventare riconoscibili, per questo l’anno a Bologna è stato un anno importantissimo anche se ho giocato pochissimo».
L’ARRIVO A CAGLIARI – «Il mio procuratore mi aveva detto della possibilità di venire a Cagliari ed avevo visto la partita della retrocessione. Avevo visto la difficoltà di riuscire a raggiungere il risultato contro il Venezia, il quel momento mi sono immedesimato in quella sensazione di impotenza. Sono rimasto colpito dalla retrocessione perché ho sempre stimato la piazza di Cagliari, c’erano giocatori che ho sempre stimato come O’Neill. Lo ricordo anche se ero piccolissimo, ne ho proprio un ricordo nitido. Quando ho avuto la possibilità di venire a Cagliari, ero sicuro che sarei arrivato per vincere il campionato di Serie B».
AGGRESSIONE SUBITA – «Ricordo che dopo due mesi di ritiro sono uscito con Lapadula, era fine luglio o inizio agosto. Eravamo usciti a farci una passaggiata e sono arrivate delle persone a maifestarci il fatto che la retrocessione dell’anno prima era stata traumatica. Non ricordo se sono stati aggressivi o meno, mi sono soffermato solo sul messaggio che c’era dietro alle loro parole. Il messaggio era “Ragazzi, c’è da tornare in Serie A!” ed ho pensato solo a questo».
TATUAGGI, RAPPORTO CON IL PADRE E FARE FIGLI – «A me sono sempre piaciuti, anche quelli in faccia, non è una questione di piacere agli altri o meno; io la vedo come una forma d’arte. In psicoanalisi mi è tornata in mente la frase di mio papà che mi diceva “Sei bello senza tatuaggi”, in quel momento potevo avercela con lui perché non riuscivo a manifestare bene: ero ancora troppo attaccato al cordone ombelicale. Ho vissuto un tipo di adolescenza nel quale c’è stata della ribellione, non parlavo molto anche io e comunicavo meglio con le cose che mi scrivevo addosso. Diventare padre è stato come mettersi in gioco, non si nasce sapendo com’è essere padre. A quel punto le strade erano due dato che avevo avuto un infanzia un po’ travagliata: o imparare a capire o crescere i miei figli come ha fatto mio padre con me. Ho provato a studiare per rieducare me stesso, i bambini sono un libro bianco sul quale scrivi cose che rimangono per sempre. In questo modo è iniziato il mio percorso di studi in psicologia: facendo ciò ho imparato soprattutto delle cose su me stesso. Ho risolto delle cose che mi sono portato dietro per molti anni».
RANIERI – «Non mi aspettavo che mi definisse un leader del Cagliari, io ai tempi non giocavo perché ero infortunato e stavo risolvendo un mio infortunio. Quando è arrivato ha parlato con i più grandi e notavo che per me provava una certa stima, questo anche se come calciatore non mi conosceva tantissimo. Ero fuori e mi allenavo pochissimo, eppure notavo che con mister Ranieri c’era un rapporto fortissimo, da uomo a uomo! Lui è l’allenatore con il quale ho parlato di più, mi ascoltava, considero anche Nicola un tecnico con il quale puoi parlare tantissimo. Nel momento del suo arrivo (Ranieri n.d.r.) stavamo facendo fatica nonostante avessimo costruito una squadra per tornare in Serie A subito. Quando è arrivato ho capito che potevo crecere ancora, cercavo di rubargli più possibile anche quando non giocavo. Stiamo parlando di un allenatore che ha vinto tantissimo ed ha allenato dei veri campioni, anche lui si è messo in gioco. Penso che essendomi aperto tantissimo, lui abbia visto la mia disponibilità!».
ALLENATORE-FIGURA PATERNA – «Ho sempre visto i tecnici che ho avuto come se fossero delle figure paterne, ho sempre fatto benissimo nelle varie stagioni per poi avere dei crolli emotivi. C’è sempre stato questo su e giù, la vita mi ha sempre ripresentato queste dinamiche: sono cose che tornano se non le risolvi! Per anni la vita mi ha messo a dura prova ma i vari percorsi e lo studio mi hanno portato a vivere in un modo nuovo, questo togliendomi da dentro quello che mi portavo da quando ero piccolo. Così ho iniziato ad accettare le scelte degli altri e la sana “competizione” con gli altri anche se, come ti ho detto, questa è una parola che non mi piace».
RAPPORTO CON I TIFOSI DEL CAGLIARI – «Ricordo i dieci minuti che ho giocato nella finale di Bari, prima avevo giocato pochissimo, ero entrato sullo 0-2 del Parma. Lì il mister Ranieri mi ha spiazzato perché avevo fatto praticamente venti partite senza giocare: lui si gira e dice “entra Viola”. Io in quell’occasione ero tranquillissimo, sapevo che quella partita l’avremmo cambiata. Ricordo che abbiamo fatto un secondo tempo bellissimo nel quale Zito ha fatto due gol e poi uno Lapadula. In quel momento ho sentito non solo che potevo dare qualcosa, ma che potevo darlo in campo e che questo era il mio posto! In campo mi stava tornando tutto quello che avevo dato fuori mettendomi a disposizione, io penso sempre a dare e non al ricevere. Penso che il rapporto con i tifosi del Cagliari sia nato in quel momento! La partita contro il Parma è stato un punto di partenza, io penso sempre a giocare novanta minuti; se dopo l’allenatore decide di farmene giocare 5/10 allora io cerco di fare tutto, dentro di me poi io mi sento sempre un titolare».
AMAREZZA PER LA NAZIONALE – «Da piccolo il massimo per me era arrivare in Serie A perché dal mio paese non ci era mai riuscito nessuno. Ho fatto tanti sconti sui miei sogni e fare questo mi ha tolto tanto, è stato un rammarico per me: era l’unica cosa che mi spingeva ad arrivare da qualche altra parte. Come ti dicevo circa i tempi con De Zerbi – nei quali ho iniziato a vedere il calcio in maniera completamente differente – ho capito che ci sono stati due step nella mia carriera. Il primo è stato prima di incontrare De Zerbi, il secondo inizia da quando l’ho conosciuto. Sulla Nazionale posso dirti una cosa relativa a quando Pippo Inzaghi venne ad allenarmi a Benevento. La prima volta che mi vide mi disse che sarei stato uno dei suoi punti fermi, il tutto chiedendomi dov’è che volessi arrivare. Io gli dissi che per quanto fossimo in Serie B, il mio pensiero fisso era quello di arrivare in Nazionale. Lui rimase sconvolto ma vedendomi allenare capì questa mia esigenza, lui mi ha lasciato dei ricordi importantissimi: come muovermi in area e lo spirito vincente».
GIGI RIVA – «Io ho visto il film sulla vita di Gigi quando lu era ancora tra noi, già da lì si percepiva la sua grandezza e tutta la squadra ha capito quanto fosse importante per la Sardegna. Dopo aver visto il film ho sentito la necessità di buttare giù qualche riga e per questo ho scritto quella lettera a lui. Avevo dei sentimenti così tanto grandi da tirare fuori che all’inizio non era una lettera, era solo un mio modo di esprimermi con la scrittura (è una cosa che faccio spesso). Quando scrivi hai il braccio tra cuore e cervello, per cui inizi volendo scrivere una cosa e poi esce fuori altro: ti lasci andare. Gli ho scritto sapendo che lui era amico di De Andrè ed io sono un suo grande amante. Gli ho scritto manifestandogli quello che pensavo di lui, questo sapendo che lui non aveva più molta voglia di vedere le persone, era in casa ed usciva pochissimo. Avevo il sogno di stringergli la mano, lui disse che avrebbe voluto incontrarmi e mi regalò una sua maglia autografata! Purtroppo poi lui è morto, ce l’ho come rammarico quello di non averlo incontrato».
LA PAROLE: EMPATIA (ARGOMENTO TESI DI LAUREA VIOLA N.D.R.) – «Il calcio fin da piccolo ti insegna a competere, ti alleni a vincere, perdere e raggiungere risultati, penso che questo succeda non con i valori che ti dovrebbero essere insegnati. Se sai competere con te stesso riesci a vedere gli altri come una grande occasione di crescita, ho avuto compagni nel mio ruolo che erano empatici, persone con le quali si creava un rapporto importante! Il calcio è importante e se sai trovarti l’opportunità, c’è, questo anche se non c’è spazio per tutti. L’empatia ha un ruolo fondamentale nello spogliatoio, andrebbe ridiscussa anche partendo dalle giovanili. Laurea? L’ho fatto per i miei figli e per il percorso di genitore, dopo ho capito che più cresce la persona e più cresce anche il giocatore. Non so cosa succederà dopo, non ho sogni a lunga scadenza perché voglio fare qualcosa di importante a Cagliari, il tutto facendo il massimo – anche raggiungere degli obiettivi personali oltre che di squadra».
CALCIATORE “COLTO” – «Non so come funzioni perché il calcio è vario, c’è chi ha più talento e chi ha più forza fisica, io penso che possiamo essere uomini migliori perché noi dobbiamo dare l’esempio».
DOMANDE A RAFFICA PARTE UNO – «Se penso ad un numero dieci mi viene in mente Baggio. Nirvana o Pink Floyd? Sei cattivo (ride n.d.r.)… dico i secondi. Compagni più forti escludendo quelli del Cagliari? Miccoli, un giocatore veramente pazzesco; Dybala, Ilicic, Brienza – persona top e giocatore fantastico – e Emiliano Bonazzoli. Ho giocato anche con Sagna che arrivava dall’Arsenal, lo mettrei tra questi. Giocare all’estero? Ti dico “ni” perché volevo e voglio ancora dare tantissimo all’Italia. Fuori dal calcio non ho ancora obiettivi, per ora l’obiettivo è stare molto tempo con i miei bambini. Giorno più bello della mia vita? Non te lo saprei dire, non sono uno che si è goduto molto tutti i successi che ho avuto, posso dire che la nascita del primo figlio è stata tra le cose più belle in assoluto, cosa che vale anche per il secondo. Il giorno della mia laurea è stato qualcosa di meraviglioso e non l’avrei mai detto, il mio percorso di studi è stato difficile a livello di trovare il tempo per dare gli esami. Il giorno della discussione mi ha fatto provare un emozione abbastanza forte, questo pur avendo giocato in stadi strapieni di persone».
DOMANDE A RAFFICA PARTE DUE – «Tra dieci anni? Se me l’avessi chiesto due anni fa ti avrei detto che avrei fatto l’allenatore, da dopo Ranieri questo desiderio non mi è passato, ma ci h0 riflettuto. Lui mi ha aperto un mondo facendomi vedere il calcio diversamente da come lo vedevo io. Ranieri è una persona nei quali panni non sono mai riuscito a mettermi, è una cosa che mi ha tolto un’altra zona di comfort. Adesso non so cosa farò da grande, voglio dare tante soddifazioni ai nostri tifosi. Essendo che mi piace l’arte se non avessi fatto il calciatore mi sarebbe piaciuto dipingere. Dovevo scegliere tra l’artistico e fare il calciatore, il campo è una tela sulla quale disegnare. Futuro di mio figlio tra calciatore e cantante? Io quello che voglio per lui è che sia felice, non voglio indirizzarli verso qualcosa ma vorrei che inseguisse un sogno. Prossima vacanza? Egitto perché non ho mai visto le piramidi, voglio vederle per cui mi sento di fare un giro lì: ne sono sempre stato attratto fin da bambino. Poi c’è da dire che stando in Sardegna è come essere sempre in vacanza, da quando sono quì ho visto pochi posti di mare (fuori dall’isola n.d.r.). L’ultimo viaggio che ho fatto è stato a New York, è stata una bella scoperta per me e penso mi abbia dato qualcosa su cui lavorare».
SALUTO AI TIFOSI – «Saluto tutti quelli che ci hanno seguito e devo ringraziarli per tutta la stima che hanno avuto. Sento tanta fiducia e calore, non vedo l’ora di poterla ricambiare attraverso il campo, questo è ciò che voglio dire ai tifosi del Cagliari».