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Riserva di Lusso

·17 ottobre 2020

Vie del Calcio: Bergamo

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Immaginate di vivere su due piani, ma casa vostra è una città da circa 120.000 abitanti. Le scale ci sono, sì, ma i gradini sono ben di più del previsto. La vista al secondo piano, però, vale il prezzo del biglietto, in questo caso una scarpinata su una terrazza panoramica fatta di borghi antichi e vie intrise di storia e tradizioni: Bergamo è questa, la solita da anni. O forse no.

Quando gli Orobi hanno fatto ingresso nelle valli bergamasche, non vi era neanche l’ombra di una distinzione tra Città Alta e Città Bassa, lontana anni luce dall’età del ferro. A dire il vero, una qualche traccia poteva pur apparire nei discorsi di questa popolazione di Celto-Liguri: “bherg”, infatti, non voleva dire altro che “alto”.


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Forse, però, il nome cittadino deriva da una base prelatina, quel “barga” che richiama il concetto di capanna, unico stabile abitativo concesso all’epoca. Qualunque sia l’ipotesi corretta, nella tradizione etimologica del nome della città, possiamo dire che entrambe protraggano con sé elementi riconducibili all’essenza di Bergamo: non vi è luogo più accogliente di una capanna, non c’è città dove i pensieri viaggino più in alto di questa, se escludiamo dal conto le varie Trento, Bolzano ed Aosta.

E se dall’etimologia e dai precetti scritti di Plinio Il Vecchio, il quale ha riportato un’opera di Catone andata dispersa, ci spostassimo alla leggenda?

Fara

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È qui che inizia la nostra camminata per le vie di Bergamo. Un manto erboso apparentemente ordinario, con due porte da calcio a far da cornice ad un quadro dalle atmosfere gioiose e festose. Il mito della Fara, però, va ben oltre un’improvvisata sfida tra 22 uomini in un prato verde.

Quest’appezzamento, infatti, si crede possa essere il luogo dove, per la prima volta, qualcuno si sia insediato dando il via alla nascita della città: tracciato un semplice quadrato sul terreno, ha preso il via una storia millenaria, destinata a perseguire per diverso tempo.

Come detto, però, ai giorni nostri la Fara non è più soltanto un piccolo quadrato dal quale poter intraprendere il percorso evolutivo di un agglomerato urbano. Oggi è specialmente un punto di ritrovo per i cittadini, luogo di festa ed assembramenti, al momento, purtroppo, inconcepibili. Un luogo di spensieratezza, che interrompe lo scorrere del tempo per dar spazio ad iniziative fuori dall’ordinario. Un esempio? Le ore alla vigilia di Atalanta-Eintracht Francoforte, amichevole organizzata nel 2016 per consolidare una sintonia che va oltre l’amicizia.

Se il palcoscenico della sfida tra le due compagini non poteva che essere l’allora Atleti Azzurri d’Italia, bisognava trovare un proscenio adatto anche per il confronto in campo tra i tifosi di bianconeri tedeschi e nerazzurri nostrani: beh, c’è la Fara. Senza strisce, regolamento né soluzioni tecnico-tattiche: solo puro divertimento, ingrediente essenziale alla vigilia di una sfida che sancisce il gemellaggio tra le due squadre.

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È dalla Fara che, forse, è nata Bergamo, dunque non si può che avere una vista privilegiata sul piano inferiore della città se avvolti dai fili d’erba di questo storico prato. Lo stesso vale per l’arena casalinga dell’Atalanta, il rinnovato Gewiss Stadium, che avremo modo di analizzare al termine della nostra camminata per le vie cittadine: il 1907 della Curva Nord, infatti, è stato appositamente concepito (tramite la disposizione dei seggiolini) in modo e maniera da poter essere osservato direttamente da qui.

Così come la storia della città, la nostra passeggiata per i vicoli è partita dal manto erboso più riconoscibile (e riconosciuto) dai bergamaschi, grandi e piccini che siano. Per arrivare al centro nevralgico di Città Alta, tagliamo tramite via della Porta Dipinta, fino ad incontrare la cosiddetta piazza del Mercato delle Scarpe: da qui inizia la celeberrima Corsarola, via privilegiata da turisti e cittadini per percorrere il borgo storico.

Fino a circa tre secoli fa, non vi erano passaggi preferiti o meno per accedere alla città: Via Sant’Alessandro e Via Pignolo, che culminavano rispettivamente nelle Porte di San Giacomo e Sant’Agostino. Ma questa è un’altra storia, fatta di dominazione veneta e paesaggi incontaminati che non avevano ancora lasciato spazio alle costruzioni dell’uomo.

Piazza Vecchia

Le piazze sono da sempre il centro nevralgico del pensiero e delle azioni di una determinata popolazione, e quella bergamasca non fa di certo eccezioni. Come Piazza Duomo a Milano o Piazza San Marco a Venezia, Piazza Vecchia è l’epicentro di Bergamo, una tappa obbligata per chi passa per i suoi vicoli dal sapore medievale.

Non si può più toccare neppure una pietra, sarebbe un delitto.

Le parole sono di Charles-Édouard Jeanneret-Gris, per tutti Le Corbusier, famoso architetto e fautore di svariati restauri in giro per l’Europa. In effetti, passeggiando per i ciottoli di Piazza Vecchia, non è scontato effettuare un triplo carpiato nel suo passato: lo testimoniano la presenza di edifici antichi, ma ancora parte integrante del vivere quotidiano, com’è giusto che sia.

Ospita la Basilica di Santa Maria Maggiore, la fontana Contarini (dall’omonimo podestà e doge di Venezia) con i leoni della Repubblica di Venezia e la Cappella Colleoni, capolavoro del Rinascimento italiano. Come dimenticare, però, il Campanone? La Torre Civica che si affaccia su Piazza Vecchia, infatti, è un vero e proprio simbolo per Bergamo ed i suoi cittadini: grazie ad essa, con i 100 rintocchi che partivano (e partono tutt’ora) dalle 22, si poteva accedere in tempo alla Città Alta.

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Probabilmente, considerata la sua importanza anche attuale nell’essere uno dei punti di riferimento per i giorni in avvicinamento alle gare casalinghe della Dea, Piazza Vecchia non è stata solamente epicentro politico, economico e sociale della città. Avremo modo di parlare del filo consistente che lega Bergamo ai colori nerazzurri, al di là dei trofei custoditi in bacheca, ma se ci fermiamo a quest’ultimo aspetto, la narrazione non può che incontrare l’unica (finora) conquista da parte dell’Atalanta: la Coppa Italia 1962/1963.

Piazza Vecchia si sarà addobbata a festa in quella domenica 2 giugno, e non solo per le celebrazioni della Festa della Repubblica: a San Siro, i nerazzurri conquistavano il primo trofeo nazionale della sua storia: una tripletta di Domenghini abbatteva la retroguardia del Torino, che vantava un certo Bearzot tra le proprie fila. Il gol bandiera di Ferrini fu alquanto ininfluente all’esito del match. Un bis sarebbe potuto arrivare due anni fa, ma la Lazio di Simone Inzaghi ostacolò la conquista della seconda Coppa Italia nella storia orobica, a più di cinquant’anni dalla prima.

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Mura venete

Abbiamo intrapreso questo viaggio lungo le strade di Bergamo con un primo dato di fatto, che la rende unica nel suo genere: la città orobica, infatti, è suddivisa su due piani, meglio noti come Città Alta e Città Bassa. Ma a cos’è dovuta questa distinzione?

Beh, per comprenderlo appieno bisogna fare un passo indietro al dominio della Serenissima di Venezia, che ha iniziato ad avere il controllo sulle sorti della città dal maggio 1428. Nonostante la supervisione di un reggente, non le viene privata alcuna autonomia, ma circa un secolo  e mezzo dopo l’arrivo dell’influenza veneziana, dev’essere apportata una modifica alla struttura della città: i tentativi d’invasione da parte di francesi e spagnoli, infatti, portano alla costruzione delle cosiddette Mura venete.

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Un apporto che cambia radicalmente lo sviluppo e la storia di Bergamo, che ora è una vera e propria roccaforte pronta ad essere difesa. Quando in città iniziano a circolare le voci che arrivano dalla Francia circa le vicende che si stanno materializzando oltralpe, la Serenissima non può far altro che arrendersi di fronte ad una delle tante emulazioni della Rivoluzione Francese: Bergamo vuole l’indipendenza, che arriverà a qualche decennio dalla dipartita di Venezia, avvenuta nel 1797.

Nonostante l’evoluzione ricca e variegata dei padroni cittadini, le Mura sono permaste, simbolo chiave e caratteristica peculiare della città di Bergamo anche ai giorni nostri. L’esempio lampante di quanto possano essere importanti per i bergamaschi giunge, ancora una volta, dal pallone.

Nel anno in cui l’Atalanta ha spento 100 candeline, il 2007, le mura hanno fatto da cornice ad un quadro immenso dalle tinte nerazzurre. Nel 2016/2017, invece, in occasione dei 27 anni dall’ultima partecipazione in campo continentale della Dea, il baluardo cittadino si è infuocato grazie ad una lunghissima torciata.

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Trattoria da Giuliana

Prima di approdare al luogo culmine della passeggiata per le vie di Bergamo, ossia lo stadio, una tappa obbligata è dettata dall’appetito. E cosa mangiare, se non qualche piatto tipico? A tal proposito, non c’è luogo migliore della Trattoria D’Ambrosio, da Giuliana, una vera e propria istituzione in città.

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Oltre alla trasposizione ai giorni nostri di un concetto d’osteria tramandato nei secoli, fatto di convivialità, tradizioni e buon servizio dell’ospite, la storia di questa locanda si intreccia perfettamente con quella della squadra calcistica della città, l’Atalanta. Come in una sorta di rito propiziatorio, infatti, tutti i nuovi giocatori ingaggiati dalla società nerazzurra passano da queste parti, per farli immergere in quella che è una delle certezze bergamasche: la buona cucina, quella di una volta.

Non sappiamo se qui abbia preso ristoro anche Papa Giovanni XIII, colui che, secondo molti, avrebbe sventato una probabile Terza guerra mondiale, ma indubbiamente si tratta di un luogo da segnare sull’itinerario in caso di languorino. Cosa scegliere? Beh, il dito sul menù sembra incontrare necessariamente i casoncelli, ben più di un semplice primo piatto da queste parti.

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Sembrerà strano, ma un apparentemente semplice primo piatto rappresenta uno dei punti di collisione più rappresentativi in quella che è la rivalità tra Bergamo e Brescia, le nemiche allo specchio. Nella prima, la famosa pasta ripiena con burro e salvia viene accompagnata dalla pancetta, aggiunta che, per la seconda, è un vero e proprio sacrilegio. Di certo, però, la rivalità tra bergamaschi e bresciani non si limita alla tavola ed i suoi commensali.

La realtà dei fatti consegna una risposta tanto paradossale quanto affascinante: Bergamo e Brescia si odiano così tanto perché, sostanzialmente, sono uguali. I rispettivi cittadini hanno entrambi hanno uno spirito laborioso, fatto delle medesime abitudini quotidiane, vivono a 50 km di distanza ed hanno tradizioni e usanze pressappoco identiche.

Si parla di una rivalità antica, nata nell’età comunale, per una disputa riguardante la restituzione da parte di Federico Barbarossa di alcuni terreni bergamaschi alla città di Brescia: insomma, un pretesto banale, ma che apparentemente afferma il vero. Calcisticamente, però, tutto taceva fino al 1993, anno in cui la sfida tra Atalanta e Brescia è stata per la prima volta etichettata sul calendario con un bollino rosso.

Quella gara di fine campionato, apparentemente priva di fascino, si è trasformata in una vera e propria guerriglia, in campo e sugli spalti: prima lo scippo di uno striscione ai padroni di casa, poi la restituzione del favore ai danni delle allora Brigate Nerazzurre. Botte da orbi al Rigamonti, feriti ed arresti. Da lì, un odio innescato di stagione in stagione, con lotte continue per gli stessi obiettivi e gare rimaste impresse negli annali di questa rivalità: come dimenticare la mitica corsa di Carlo Mazzone o la rovesciata di Zampagna?

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Poi, dal 2006, il vuoto. Dopo la promozione dell’Atalanta nell’anno del Mondiale in Germania, avvengono due circostanze che hanno dell’incredibile: nel 2009/2010, la Dea retrocede ed i biancoblù salgono, mentre nella stagione successiva avviene il contrario. Il ritorno al derby avviene, finalmente, nell’atipica stagione scorsa (0-3 a Brescia e 6-2 a Bergamo), dove però, per il match d’andata, si assiste ad uno dei tanti esempi di forte legame tra la Curva Nord ed il resto dei tifosi nerazzurri.

Costretti a disertare la trasferta perché privi della tessera del tifoso, gli Ultras hanno lanciato un appello: o tutti o nessuno, a quasi 15 anni di distanza dall’ultima (quasi) stracittadina. In effetti, i presenti nel settore ospiti del Rigamonti si limitavano a qualche decina. Per l’ennesima volta, Bergamo si dimostrava coesa: non è stata la prima, non sarà l’ultima.

Gewiss Stadium

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Vado all’Atalanta.

Non dovreste stupirvi nel sentire un’espressione del genere, se passate per le vie di Bergamo a poche ore dal fischio d’inizio di una gara casalinga, che essa sia infrasettimanale o nel weekend. Perché, infondo, non c’è Bergamo senza Atalanta, e viceversa.

Il legame che lega la città con la sua compagine calcistica si vede fin dalla denominazione della società, nata a metà ottobre 1907 dal volere di alcuni studenti liceali, che decidono di associare il nome di una famosa eroina greca (tanto importante da essere considerata, nella città orobica, una Dea) alla nuova squadra di calcio che avrebbe dominato il panorama cittadino. Atalanta B.C., infatti, prevede un Bergamasca Calcio: niente Associazione Calcistica o Sportiva, né Football Club. Bergamasca.

Non solo etimologia, però. Se avete l’occasione di atterrare all’Aeroporto di Bergamo, ad Orio al Serio, potete ammirare un messaggio d’accoglienza dalle sfumature nerazzurre:

Benvenuti a Bergamo, città dell’Atalanta.

Probabilmente c’è lo zampino dell’uomo del destino atalantino, capace di portare gli orobici in un decennio dalla Serie B ad un ruolo da protagonista nella massima serie del nostro calcio: Antonio Percassi, numero uno nella dirigenza della Dea e Babbo Natale per ogni bimbo che nasce nella provincia di Bergamo, il quale riceva la maglia dell’Atalanta poche ore dopo aver aperto gli occhi. Il momento in cui la passione nerazzurra raggiunge il livello massimo, però, arriva con la Festa della Dea.

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Una quattro giorni in cui si respira nerazzurro, organizzata per più di un mese dagli Ultras della Curva Nord (intitolata a Federico Pisani, giovane promessa del calcio italiano scomparsa per un incidente stradale nel febbrario 1997) all’interno del parcheggio dell’Orio Center, di proprietà della famiglia Percassi. La quantità di persone coinvolte, dagli spettatori (cittadini e non) agli organizzatori, fino agli ospiti, è a dir poco esorbitante, così come lo spettacolo offerto nelle varie serate.

L’Atalanta è parte integrante della routine quotidiana dei propri tifosi, che preparano la Festa della Dea nel minimo dei dettagli, ma non solo per la presentazione dei giocatori, che giungono nel più disparato dei modi: in mongolfiera, con un carro armato (come il celeberrimo dell’estate 2015, passato sopra a due macchine che rappresentavano Brescia e Roma).

Arrivano come ospiti sia ex calciatori (Denis, Bellini, Stromberg…), che figure apparentemente estranee al mondo calcistico, ma legate alla Curva Nord per le iniziative benefiche dei tifosi orobici: l’Aquila Rugby, gemellata con l’Atalanta dopo l’aiuto dei tifosi nel terremoto del 2009, la famiglia di Yara Gambirasio o il sindaco di Amatrice.

Il simbolo della Festa della Dea non può che essere Claudio Galimberti, noto ai più come Bocia. È lui il simbolo del supporto atalantino, colui che ha unificato sotto il nome di Bergamo una tifoseria divisa da motivi extra-calcistici: tutti sotto un unico nome, tutti sotto un’unica fede.

C’era nella campagna europea del 1983, con la semifinale di Coppa delle Coppe (nonostante fosse in Serie B), c’era nella gara contro il Merthyr Town, compagine gallese che ha giocato in una sola occasione in Europa, proprio contro l’Atalanta: da lì la Dea è diventata una sorta di mito per loro. Non c’era, però, negli ultimi anni: una serie di provvedimenti giudiziari nei suoi confronti lo stanno tenendo lontano dalla casa dell’Atalanta, da quel Gewiss Stadium rinnovato nell’ultima annata per il nuovo approdo in campo continentale della Dea.

Non c’è il Bocia, certo, ma non è il solo. Non ci sono più (e non in senso figurato, questa volta) migliaia di bergamaschi, migliaia di persone con l’Atalanta tra l’atrio ed il ventricolo. Abbiamo lasciato questa brutta pagina del romanzo della nostra storia contemporanea per la fine, per non contaminare la nostra passeggiata tra le vie orobiche. Ricordarli, però, è dovuto: l’Atalanta continuerà a volare, anche per quelli che, ora, potranno incontrare la Dea da un altro piano, più su di Città Alta.

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Un ringraziamento speciale a Pietro Canavesi

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