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Andrea Agostinelli·21 settembre 2018

Totti ricorda l'infortunio del 2006: "Il mio Mondiale cominciò così"

Immagine dell'articolo:Totti ricorda l'infortunio del 2006: "Il mio Mondiale cominciò così"

La Gazzetta dello Sport ha pubblicato in anteprima un capitolo di “Un capitano”, l’autobiografia di Francesco Totti scritta insieme a Paolo Condò.

Il capitolo in questione è quello relativo ai Mondiali del 2006 ma l’argomento centrale non è la vittoria sulla Francia oppure i festeggiamenti al Foro Italico ma i mesi che hanno preceduto tutto questo.


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Mesi in cui Francesco Totti ha dovuto lottare per recuperare dalla frattura al perone sinistro che aveva messo a rischio la sua presenza in Germania.


Crac. La scalata al titolo mondiale comincia così, con un perone che si spezza, domenica 19 febbraio 2006, pochi minuti dopo l’inizio di Roma-Empoli. […] È il primo anno di Spalletti, dopo un avvio un po’ stentato abbiamo preso velocità, siamo reduci da nove vittorie consecutive e nessuno pensa seriamente che loro possano fermarci, anche perché la settimana successiva c’è il derby e vogliamo arrivarci lanciati.

Mi marca Richard Vanigli, che non è un titolare abituale ma nemmeno un ragazzino, eppure gioca con la foga di chi deve conquistare il posto in squadra. Tre falli in cinque minuti, sollecito all’arbitro Messina un cartellino giallo; non perché siano violenti, ma se non metti uno stop non giochi più, ogni intervento è un fischio. Niente, si gira dall’altra parte. Immagino che l’ammonizione sia soltanto rimandata, devi prenderti un altro calcio, porta pazienza Francesco.

Un terrore indicibile, la sensazione precisa e raggelante che sia tutto finito

Va esattamente così, un minuto dopo: 6’ del primo tempo e quarto fallo, ammonizione, ma è troppo tardi. Vanigli mi ha colpito da dietro a metà campo. Sarebbe “soltanto” un altro livido se il piede sinistro non si piantasse nel terreno, restando lì mentre il corpo scivola in avanti passandogli sopra. Mi accorgo del disastro dalla “caduta” del piede e allora, per la prima volta nella mia vita, capisco cosa sia il panico. Un terrore indicibile, la sensazione precisa e raggelante che sia tutto finito.

La macchina si ferma con un ultimo sospiro metallico, le porte della sala si spalancano e Ilary è lì, sconvolta eppure calma. Ci eravamo salutati al telefono prima del riscaldamento, lei era in macchina con Cristian diretta a Fiumicino perché doveva raggiungere Sanremo per le prove del Festival, che avrebbe presentato di lì a una settimana. Adesso è qui che mi abbraccia, mi bacia e mi dice che Mariani è già arrivato e sta valutando le lastre. Restiamo lì cinque minuti, mano nella mano, con Cristian fra le braccia della tata.

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Provo a frenarmi, ma è il momento in cui pago tutto lo stress: scoppio a piangere, e piango senza ritegno, consolato da mia moglie. Riesco a ricompormi appena in tempo per l’ingresso in scena del professor Mariani, che senza nemmeno dire ciao agita le radiografie e sentenzia: «Dieci minuti e la sala è pronta, ti operiamo subito Francesco, io e Santucci».