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·10 giugno 2019
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di Simone Balocco –
Quando si pensa al cognome “Herrera”, vengono in mente subito i Paesi di lingua spagnola. Il mondo del calcio ha visto tanti, di idioma ispanico, che hanno fatto la storia con quel cognome. Anche in Italia e stiamo parlando di due discreti ex calciatori (nulla più) che hanno scritto la storia della pedata negli anni Sessanta in Italia, in Europa e nel Mondo, dalla panchina: Helenio Herrera ed Heriberto Herrera.
Attenzione: i due non sono parenti, poiché il primo era argentino mentre il secondo paraguaiano, ma hanno avuto un tratto in comune: essere diventati due tecnici iconici.
I due erano inizialmente soprannominati HH1 e HH2, ma poi arrivò Gianni Brera (uno che nell’affibiare soprannomi aveva un talento), e li battezzò Accaccone e Accacchino. L’argentino, essendo uno che ha fatto della chiacchiera un’arma in carriera, veniva chiamato, già in tempi non sospetti, “HH” come “Habla Habla”, “parla parla”.
I due entrenadores hanno fatto la fortuna, rispettivamente, di Inter e Juventus.
Portati nel Belpaese rispettivamente da Angelo Moratti e Vittore Catella (su spinta di Umberto Agnelli), Helenio portò la Beneamata due volte di fila sul tetto d’Europa e del Mondo con una squadra passata alla storia come Grande Inter nel 1964 e nel 1965, mentre Heriberto allenò, tra 1964 ed il 1969, una delle Juventus tecnicamente più deboli di sempre portandola comunque al successo di una Coppa Italia e di uno scudetto proprio davanti all’Inter del suo omonimo. In campo europeo, Accacchino raggiunse una finale di Coppa delle Fiere (nella stagione 1964/1965, contro gli ungheresi del Ferencváros) e poi, nella stagione 1967/1968, la semifinale di Coppa dei Campioni persa contro il Benfica.
Erano molto diversi i due Herrera: simpatico e televisivo l’argentino, un sergente di ferro e senza grilli per la testa il secondo.
Helenio Herrera, nelle sue otto stagioni sotto la Madunina (1960-1968), scrisse una grande pagina di sport con una squadra che ancora oggi è recitata a mo’ di poesia (SartiBurgnichFacchettiBedinGuarneriPicchiJairMazzolaDomenghiniSuàrezCorso) e per il suo metodo di gioco, tanto da venire soprannominato (ancora?) il “mago”. Non perché fosse un innovatore, ma perché aveva trasformato una squadra media in una grande del calcio continentale e mondiale.
In sé, HH1 non era nulla di speciale, ma i suoi allenamenti, i suoi modi di fare, le scritte “invocative” sui muri di Appiano Gentile, gli schemi e le vittorie lo hanno messo tra gli immortali della panchina. Era carismatico quanto lo furono successivamente Giovanni Trapattoni e José Mourinho (per parlare di due tecnici interisti vincenti) ed è ancora oggi considerato un mito dalla parte nerazzurra del Naviglio.
Nato in Argentina nel 1910 da genitori molto poveri di origine spagnola, Helenio Herrera da bambino emigrò con la famiglia prima in Marocco (allora territorio francese), dove iniziò a giocare a calcio. Cresciuto, si trasferì poi in Francia e fece di tutto per sbarcare il lunario, facendo fatica a tirare a campare. Non era un fulmine di guerra in campo e infatti giocò poco, ma è come allenatore che scrisse grandi pagine e, ricordandosi da “dove era venuto”, quando capì di essere il miglior allenatore del Mondo, chiedeva sempre ingaggi altissimi che gli venivano sempre elargiti.
Allenò nell’Esagono (Stade Français e Nazionale), in Portogallo (Belenenses) ed in Spagna, tra cui Atletico Madrid (con cui vinse due titoli nazionali consecutivi) e Barcellona (due Liga consecutive, una Copa del Rey ed una Coppa delle Fiere).
Arrivò in Italia nell’estate 1960 ed iniziò a fare il demiurgo dopo due stagioni modeste, “parlando” in maniera diversa rispetto agli altri ed attirandosi le simpatie e le antipatie del caso.
Il futuro “mago” non ebbe rapporti felicissimi con alcuni giocatori interisti, in particolare Antonio Valentín Angelillo, Joaquín Peiró e “Mariolino” Corso: l’italo-argentino, vincitore della classifica marcatori record della stagione 1958/1959 (33 reti in trentaquattro partite), era un personaggio molto “forte”, una prima donna, e questo ad Herrera non piaceva tanto che fu ceduto alla Roma nell’estate 1961 con grande dispiacere del presidente Moratti; lo spagnolo veniva “usato” da Herrera solo se qualcuno non poteva giocare, mentre con l’inventore della punizione “alla foglia morta” i rapporti furono di reciproca sopportazione. Eppure nonostante questi due giocatori non si presero mai con il tecnico ispanico-argentino, quando giocavano erano sempre motivati dallo stesso HH1 alla stregua di tutti gli altri.
Ecco, un allenatore forse modesto, ma dotato di quella carica e di quel carisma che lo hanno poi portato a diventare uno dei migliori allenatori della storia, Helenio Herrera.
Era un grande motivatore e la sua Grande Inter era un concentrato di pressing, difesa a uomo e ripartenze. Vincendo lo scudetto nella stagione 1962-1963, la squadra meneghina partecipò per la prima volta nella sua storia alla Coppa dei Campioni nella stagione seguente, vincendo la finale di Vienna contro il Real Madrid. L’anno successivo l’undici milanese bissò il titolo continentale nella finale di “San Siro” contro il Benfica. In contemporanea, l’Inter di Herrera vinse anche due Coppe Intercontinentali consecutive entrambe contro gli argentini dell’Independiente Avellaneda.
I nerazzurri arrivarono primi in classifica anche nella stagione 1963/1964, ma a pari punti con il Bologna. Allora non era in vigore la classifica avulsa e le due squadre si affrontarono in un insolito “spareggio sciudetto”, dove prevalsero i felsinei. L’Inter vinse lo scudetto l’anno successivo e quello fu il decimo titolo che permise ai ragazzi del “mago”, la stagione successiva, di fregiarsi, come la Juventus, della stella sul petto.
Ma come tutte le belle favole, anche la “HH-Inter” arrivò al termine: nel 1968, dopo tredici anni, Angelo Moratti lasciò la presidenza interista ad Ivanoe Fraizzoli ed il “mago” si accasò alla Roma. In otto anni, sotto la gestione di Accaccone, l’Inter vinse tre scudetti, due Coppe dei Campioni, due Coppe Intercontinentali ed in campionato si piazzò tre volte seconda, una volta terza ed una volta quinta, perdendo anche una finale di Coppa Italia (nel 1965 contro la Juventus) ed una di Coppa dei Campioni, nella stagione 1966/1967, contro i Celtic Glasgow.
Dopo l’Inter, Helenio Herrera passò alla Roma dove rimase cinque stagioni (vincendo una Coppa Italia) ed ottenendo, come best position, un sesto posto nella stagione 1970/1971. Ci fu poi ancora una parentesi ancora all’Inter (4o posto nella stagione 1973/1974) e, dopo quattro anni di inattività, una stagione al Rimini in Serie B e gli ultimi due anni a Barcellona, dove vinse ancora una Copa del Rey. Allenò per 36 stagioni consecutive e, ritiratosi dal calcio, HH1 divenne un personaggio televisivo tra il serio ed il faceto, riscontrando ancora le simpatie del pubblico.
A differenza di Helenio Herrera, di Heriberto c’è “poco materiale” eppure HH2 ha fatto anche lui la storia del calcio italiano nei ’60: è stato il creatore del “movimiento”, un modo di giocare improntato sul pressing ma un pressing in cui nessuno aveva ruoli fissi in campo. E’ un azzardo (ma fino ad un certo punto): “movimento” come “calcio totale”, “movimiento” come “la zona di Sacchi”. E non è ancora un azzardo dire che la preparazione atletica della squadra sarà uguale a quella che Zeman adotterà negli anni Novanta-Duemila. Un precursore, questo HH2.
HH2 ebbe la “sfortuna” di allenare nella stessa epoca di Helenio Herrera e quindi non è ricordato come si dovrebbe, anche perché in quegli anni la nostra Serie A vide in panchina altri ottimi allenatori come Rocco (Milan), Bernardini (Bologna), Pesaola (Fiorentina) e Scopigno (Cagliari).
E pensare che Heriberto Herrera poteva essere allenato da…Helenio Herrera: era l’estate 1952 e HH1 lasciò i colchoneros dopo tre stagioni per andare ad allenare il Malaga, mentre HH2 approdò al club bianco-rosso-blu dai paraguaiani del Nacional Asuncion.
HH2 giocò sette stagioni (fino al 1959) e passò poi alla panchina. Arrivò in Italia nel 1964 dagli valenciani dell’Elche, squadra spagnola allora in Liga che in quella stagione si classificò al quinto posto, firmando con la Juventus. Lo portò in Serie A Vittore Catella su spinta di Umberto Agnelli perché era arrivata fino a noi la sua nomea di sergente di ferro e alla Juventus di quel periodo serviva un mister di quel tipo.
Non era uno che si perdeva in chiacchiere, Heriberto Herrera. Era uno inflessibile che badava al sodo e non voleva lasciare nulla al caso. Era burbero e un fanatico del mate, la tipica bevanda sudamericana, voleva che i giocatori andassero a letto presto e spesso venivano pesati a tradimento.
In quel quinquennio con HH2, i bianconeri vinsero la loro quinta Coppa Italia e raggiunsero una finale di Coppa delle Fiere ed una semifinale di Coppa dei Campioni, ma soprattutto vinsero un inaspettato scudetto nel 1966/1967 (il numero 13 della sua storia). E chi arrivò secondo ad un punto dietro di loro? Ca va sans dire, l’Inter dell’altro Herrera. Era da sei stagioni che nella Torino bianconera non arrivava più il tricolore e quella Juventus “operaia” c’era riuscita.
HH2 in bianconero rimase fino al 1969, passando poi all’Inter dove rimase una stagione e mezza: un secondo ed un primo posto che però non vide il paraguaino vincere il titolo, ma Invernizzi perché Herrera fu esonerato ad inizio novembre.
Dopo i nerazzurri, HH2 allenò Sampdoria (due stagioni) e Atalanta (due stagioni, in Serie B), per poi lasciare, nell’estate 1975 l’Italia per tornare in Spagna ad allenare Las Palmas (in due momenti diversi), Valencia, Espanyol, Elche e la Nazionale paraguaiana, già allenata per un periodo quando era mister della Juventus.
Rispetto ad Helenio Herrera, Heriberto Herrera è stato meno mediatico, ma allo stesso modo ha segnato una pagina importante del nostro calcio proprio nella sua prima golden age, gli anni Sessanta.
Heriberto Herrera era un allenatore che per i suoi metodi era un militare che voleva che i suoi uomini facessero una vita d’atleta. A differenza dell’altro Herrera, era taciturno, più introverso e meno…mago. Anche perché HH2 ha avuto la “sfortuna” di allenatore una delle Juventus meno dotate di tecnica della sua storia, vincendo in un decennio che ha consacrato al Mondo l’acume tecnico-tattico di Rocco e Herrera, quattro Coppe dei Campioni e tre Coppe Intercontinentali in due in sei anni.
I due Herrera si incontrarono in diciotto partite di campionato che, visti i cognomi, erano…dei derby. Lo score fu di sei vittorie HH1, cinque HH2 e otto pareggi, l’apice dei due modi di intendere il calcio dei due tecnici sudamericani: il “taca la bala” di Helenio contro il “movimiento” di Heriberto.
Se Helenio Herrera si coccolava la squadra (Corso a parte), Herrera 2 voleva che tutti gli ubbidissero e chi sgarrava, veniva mandato via. Tanto che Omar Sivori (non l’ultimo arrivato ma uno dei calciatori più forti degli anni Sessanta) si scontrò con lui e fu ceduto al Napoli dove, dopo tre stagioni (e la prime due da star), nel 1968), chiuse la carriera.
La differenza tra i due Herrera del calcio è stato il carattere e questo ha messo in cattiva luce il paraguaiano, contro lo spavaldo, loquace e carismatico Helenio.
Helenio Herrera come successi può essere paragonato a José Mourinho e non solo per il fatto che sono gli allenatori che hanno portato nella Milano nerazzurra le tre Coppe dei Campioni/Champions del club, ma perché hanno allenato due squadre forti, ben messe in campo e che giocavano bene a calcio. Heriberto Herrera, invece, purtroppo, non ha mai avuto una grande luce, anche perché vinse poco e non fu molto mediatico.
Helenio Herrera morì nella sua seconda città d’adozione, Venezia, il 9 novembre 1997, mentre Heriberto Herrera morì l’anno precedente, il 25 luglio 1996, a Asunción.