Superlega, quel che resta del progetto due anni dopo | OneFootball

Superlega, quel che resta del progetto due anni dopo | OneFootball

Icon: Calcio e Finanza

Calcio e Finanza

·18 aprile 2023

Superlega, quel che resta del progetto due anni dopo

Immagine dell'articolo:Superlega, quel che resta del progetto due anni dopo

“Dodici prestigiosi club europei di calcio hanno annunciato oggi congiuntamente un accordo per costituire una nuova competizione calcistica infrasettimanale, la Super League, governata dai Club Fondatori”. Iniziava così il comunicato che, poco dopo la mezzanotte di lunedì 19 aprile 2021, annunciava ufficialmente la nascita della Superlega. Un comunicato che portò a 48 ore caldissime, tra accuse, minacce, proteste dei tifosi, prese di posizioni anche dalla politica fino al dietrofront di quasi tutti i dodici club inizialmente protagonisti. A combattere per i seguenti due anni sono rimaste Juventus, Barcellona e Real Madrid, portando lo scontro fino alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, passando anche dal rilancio del progetto con l’ingresso in campo della società A22 Sports Management che ha presentato il nuovo piano. Ma ora anche il fronte dei tre club che sembrava unito rischia di sgretolarsi.

D’altronde, in questi 730 giorni da quel 19 aprile ne è passata di acqua sotto i ponti per quasi tutti i dodici club. Anzi, probabilmente solo in tre non hanno ricevuto particolari scossoni né sono state protagoniste di situazioni particolari, ovverosia Arsenal, Tottenham e Atletico Madrid. Le altre, chi più e chi meno, ha vissuto due anni pieni di turbolenze, da passaggi di proprietà fino a casi giudiziari.


OneFootball Video


REAL MADRID

I principali sostenitori del progetto, in realtà, fino ad oggi sembravano aver passato i due anni migliori di tutti, in campo e fuori. Una eliminazione in semifinale di Champions nel 2021 seguita dal quattordicesimo trionfo nel 2022, il nuovo stadio Bernabeu in fase di costruzione, il solito potere di Florentino Perez in Spagna e a livello continentale nonostante tutto, fino alla speranza che la decisione della Corte UE potesse riaprire le porte alla Superlega. Eppure anche i blancos ora devono fare i conti con la rottura dell’asse principale, quello con il Barcellona: il caso Negreira ha portato a uno scontro frontale tra il Real e i blaugrana, terminato (per ora) con uno scambio di accuse su chi tra i due club sia stato più vicino a Franco nell’epoca della dittatura. E prospettive di rottura definitiva tra le due presidenze sulla Superlega.

BARCELLONA

Il caso Negreira sì, ma non solo. Perché lo scandalo legato ai pagamenti effettuati all’ex vicepresidente del comitato arbitrale spagnolo è arrivato solo dopo che il presidente Joan Laporta ha raddrizzato una situazione economica che il flop della Superlega aveva messo il club in serio pericolo. I blaugrana hanno chiuso il bilancio 2021 con un rosso record di 478 milioni di euro, per questo non hanno potuto trattenere Lionel Messi in Catalogna e hanno dovuto inventarsi la cessione dei diritti tv per i prossimi anni ad alcuni fondi e istituti finanziari per respirare. Il “trucchetto” ha permesso di chiudere il bilancio 2022 con un utile di 98 milioni che dovrebbe salire a oltre 270 nell’esercizio in corso, ma rischia di essere solo una cura momentanea perché i paletti della Liga in termini economici sono particolarmente stringenti.  A tutto questo, poi, si è aggiunto lo scandalo Negreira. I pagamenti al vicepresidente degli arbitri iberici non solo ha riaperto la frattura col Real Madrid, ma ha visto tutto il calcio spagnolo schierarsi contro i blaugrana. E se a livello sportivo il Barça non corre rischi in Spagna perché il caso è prescritto, la mannaia della UEFA sarebbe pronta a intervenire sui catalani. Con il pericolo di mandare a monte la rinascita sportiva sotto la guida di Xavi.

JUVENTUS

Anche la terza punta del tridente rimasto a lottare per la Superlega sta vivendo mesi complicati. Le indagini di Consob, Procura di Torino, Procura FIGC e UEFA sui conti del club bianconero ha portato lo scorso novembre alle dimissioni del presidente Andrea Agnelli (che all’epoca, lasciata l’ECA, era stato nominato vicepresidente della Superlega) e dell’intero CdA. Al centro delle indagini il tema plusvalenze ma anche le cosiddette “manovre stipendi (gli accordi tra la società e i calciatori per rinviare il pagamento degli stipendi durante il lockdown), i rapporti con altre società e quelli con gli agenti. Se per il lato penale servirà più tempo, la giustizia sportiva è intervenuta comminando un -15 in classifica ai bianconeri per il caso plusvalenze, ma domani andrà in scena l’udienza per il ricorso del club davanti al Collegio di Garanzia dello Sport del Coni: poi, nelle prossime settimane toccherà al caso legato a stipendi, agenti e rapporti con le altre società finire al centro di un processo a livello di giustizia FIGC. E sullo sfondo resta l’indagine aperta anche dalla UEFA.

INTER

La nascita della Superlega è stato uno dei due jolly giocati dal presidente nerazzurro Steven Zhang, insieme al progetto del nuovo stadio, per superare le difficoltà economiche che hanno caratterizzato le ultime stagioni del club milanese. Nell’aprile 2021 il numero uno interista era alla ricerca di liquidità per poter pagare gli stipendi ai giocatori (servirà poi il finanziamento da 275 milioni firmato con Oaktree con tassi al 12% per risolvere il problema) e la Superlega poteva sembrare la soluzione ideale. Così non è stato ed è servito appunto l’operazione con il fondo californiano per raddrizzare la situazione. Il cartello “vendesi”, però, rimane appeso alla società, tra smentite più che altro di rito. Anche perché l’Inter dopo due stagioni ha visto partire i suoi migliori giocatori per esigenze di cassa, arrivando ad avere comunque perdite corpose a bilancio anche per casi come quello legato al flop Digitalbits (zero euro visti su un contratto da 80 milioni per questa e le prossime due stagioni). Tra poco più di un anno Zhang dovrà ripagare oltre 300 milioni a Oaktree con il rischio altrimenti di perdere l’Inter a zero, mentre è inseguito dai creditori cinesi a Hong Kong, negli USA e anche a Milano per altri 300 milioni non ripagati in una operazione legata a Suning (a sua volta in crisi inpatria). E intanto nelle ultime settimane sono emersi nuovi soggetti interessati al club, dal fondo del Bahrein Investcorp all’italiano patron del Leeds Andrea Radrizzani.

MILAN

Situazione economica ben diversa sull’altra sponda del Naviglio, che potrebbe chiudere il bilancio 2023 addirittura vicino all’equilibrio. Negli ultimi due anni, tuttavia, non sono mancati gli scossoni in casa rossonera, considerando il fulmine a ciel sereno dell’aprile 2022 quando il fondo Elliott decise di aprire alla cessione del club (in piena lotta scudetto, poi vinto per il primo tricolore dalla stagione 2010/11): prima le trattative con Investcorp, poi la scelta di cedere alla RedBird di Gerald “Gerry” Cardinale, in una operazione in parte finanziata dallo stesso fondo dei Singer con un “vendor loan”. Affare finito nel mirino anche della giustizia italiana, dopo che Blue Skye, investitore di minoranza con Elliott quando acquisirono il Milan dopo il flop Yonghong Li, ha avviato azioni legali in Lussemburgo, USA e in Italia.

CHELSEA

Più che il flop Superlega (pochi mesi dopo vinse la Champions League), il club londinese ha pagato l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022. La guerra infatti ha portato il governo britannico a congelare tutti i beni del patron Roman Abramovich, obbligandolo inoltre a cedere il club. Una vendita forzata in cui la spuntò lo statunitense Todd Boehly, appoggiato dal fondo di private equity Clearlake Capital, in una operazione da 4,25 miliardi di sterline di cui 2,5 miliardi pagati per l’acquisto del club (e che sarebbero dovuti essere girati dal governo all’Ucraina) e 1,75 miliardi in investimenti per il Chelsea soprattutto a livello infrastrutturale. Con l’acquisto da parte di Boehly, i Blues hanno dato il via a una ingente trasformazione sul calciomercato, spendendo 280 milioni in estate e altri 330 milioni a gennaio, oltre a pagare 23 milioni per liberare Graham Potter dal Brighton dopo l’esonero di Thomas Tuchel. Oltre 600 milioni che non hanno portato risultati, visto che il Chelsea non si qualificherà in Champions nella prossima stagione e considerando che nelle scorse settimane è arrrivato anche l’esonero di Potter con il ritorno in panchina ad interim di Lampard.

MANCHESTER UNITED

Il cartello “vendesi” è stato appeso anche fuori da Old Trafford, ma non è detto che alla fine sarà ceduto davvero. A novembre infatti i Glazer hanno ufficialmente messo in vendita il club, mettendo un cartellino da 7 miliardi come valutazione per i Red Devils: da quel momento è partito un lungo processo che non si è ancora concluso, perché né il miliardario britannico Ratcliffe né lo sceicco qatarino Al-Thani, i due principali contendenti nella corsa allo United, si sono ancora avvicinati a quella cifra. E nelle ultime settimane si è fatto sempre più insistente la voce che alla fine i criticatissimi Glazer (dal 2005 quando acquisirono il club con una pesante operazione di leveraged buyout) possano rimanere alla guida trovando un socio di minoranza o un fondo che li possa finanziare: in corsa c’è anche il fondo Elliott.

MANCHESTER CITY

L’altro lato di Manchester, invece, non è alle prese con processi di vendita ma con il rischio di corposi processi da parte della Premier League. Lo scorso febbraio infatti la lega inglese ha annunciato di avere aperto un’indagine nei confronti del Manchester City per oltre 100 possibili violazioni delle norme del massimo campionato di calcio inglese con particolare riferimento alle regole economico-finanziarie. Le violazioni riguardano prevalentemente le stagioni dal 2009/10 al 2017/18. Una indagine nata nel dicembre del 2018 dopo che il sito tedesco Der Spiegel ha pubblicato dei documenti legati a Football Leaks, carte che sostenevano come il Manchester City avesse contratti di sponsorizzazione “gonfiati”, con un valore sopravvalutato rispetto a quello di mercato e con denaro versato direttamente dalla proprietà di Abu Dhabi invece che da sponsor legati agli Emirati Arabi Uniti. Inoltre, i documenti cercavano di dimostrare come lo stipendio dell’allora tecnico Roberto Mancini fosse in realtà raddoppiato sulla base di un contatto segreto con un club di Abu Dhabi. Inoltre, erano indicate irregolarità con riferimento all’acquisto di calciatori minorenni. Le tempistiche, però rischiano di andare per le lunghe (ma il rischio va dai punti di penalizzazione all’esclusione dalla Premier): intanto il City dopo oltre 1,5 miliardi spesi dagli Emiri sta ancora cercando il suo primo successo in Champions League.

LIVERPOOL

Altro club inglese alle prese con una possibile cessione, oltre che da una situazione particolare in campo. I Reds con grande probabilità rimarranno fuori dalla prossima Champions League, dopo i tanti anni di testa a testa con il City in vetta alla Premier League. Ma altrettanto particolare è la situazione legata alla proprietà: a novembre la Fenway Sports Group, la holding proprietaria dei Reds, aveva annunciato la volontà di passare la mano, con prezzo fissato a 4,5 miliardi. Salvo ritrattare pochi mesi dopo, anche alla luce di un interesse per il club non è stato così alto come ci si aspettava. Ma resta ancora l’ipotesi di una cessione di una minoranza, anche se per ora ancora nessun potenziale investitore sembra essersi avvicinato seriamente al Liverpool.

Visualizza l' imprint del creator