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Riserva di Lusso

·21 settembre 2020

Suggestioni: you’re gonna be the one that saves me

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Nella sua lunga storia l’Inghilterra ha da sempre costituito il centro geograficamente sbilanciato dell’Europa. Dalla sua posizione apparentemente marginale, staccata dal resto del Vecchio Continente, ha invece dominato le vicende della storia occidentale sotto diversi punti di vista, da quello politico a quello culturale. Un ruolo trainante guadagnato proprio grazie a questa collocazione geografica, col dominio sull’Atlantico e la propria ombra gettata costantemente sulla vicina Francia. Una posizione di spicco assunta proprio in virtù di questo disequilibrio geografico. Lo squilibrio è ciò che ha caratterizzato con sempre maggiore ampiezza l’Inghilterra anche nel mondo del calcio, un universo decisamente sproporzionato rispetto ai corrispettivi europei. Un mondo che si regge su un flusso di denaro quantitativamente strabiliante, che garantisce al calcio inglese una stabilità e una visibilità irraggiungibile dagli altri concorrenti europei.

In uno dei punti dell’Inghilterra più vicini al resto d’Europa, la costa Sud sulla manica, nello specifico la cittadina di Brighton, si concretizza nel maggio 2019 una delle storie che testimonia maggiormente lo squilibrio del calcio inglese rispetto agli altri. Il 12 maggio 2019 è il giorno di Brighton-Manchester City, match che regala agli Sky Blues il secondo titolo consecutivo e che sancisce il punto più alto del percorso di una squadra che ha fatto dello squilibrio britannico il proprio trampolino di lancio per affermarsi nell’élite calcistica contemporanea.


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I don’t believe that anybody feels the way I do, about you now

Il match parte male per il City. Gli uomini di Pep Guardiola devono assolutamente vincere per evitare la beffa finale a favore dei rivali del Liverpool. Al termine di un testa a testa pauroso, gli Sky Blues sono in testa alla classifica, col minimo vantaggio da custodire sui Reds. Dopo 27’ minuti di gioco però è il Brighton a trovare il vantaggio con un gol di Glenn Murray: per un minuto riaffiorano i fantasmi di qualche anno prima, ma anche stavolta a scacciarli ci pensa l’uomo simbolo della Manchester blu, Sergio Agüero, che pareggia dopo appena un minuto e dà il via al trionfo del City. Laporte, Mahrez e Gündogan suggellano il successo, fissando il risultato sull’1-4 finale. Al triplice fischio il Manchester City è ancora una volta campione d’Inghilterra, per la seconda volta consecutiva, chiudendo il campionato con ben 98 punti. È l’apoteosi di una storia cominciata circa 11 anni prima e come tale va festeggiata.

La festa dal campo si sposta negli spogliatoi e diventa magica quando fa la sua comparsa nel luogo più intimo della squadra una persona speciale per i colori blue Sky del City. È una persona che rappresenta nel mondo la parte blu di Manchester e che è stato, insieme a suo fratello, la voce di una generazione intera. Viene accolto dai giocatori al suono di una di quelle canzoni che fanno ormai parte della cultura popolare, specialmente in Inghilterra, una melodia che i tifosi del City cantano ormai ad ogni partita come un inno. Noel Gallagher fa il suo ingresso nello spogliatoio del City, con moglie e figli, col cuore pieno di gioia per il trionfo della squadra che ama fin da bambino. I giocatori lo ricambiano cantando “Wonderwall”, non una canzone degli Oasis ma LA canzone, il timbro riconoscitivo di uno dei gruppi più importanti della storia della musica britannica. La festa impazza a dismisura, Noel e il City sono una cosa sola come lo sono stati per praticamente 40 anni. Negli occhi la maggior parte di noi ha il City ricco e vincente degli ultimi anni, ma nella mente di Noel Gallagher deve essere ben presente il City che negli anni ’80 annaspava nelle divisioni inferiori inglesi e che con fatica, piano piano, ha recuperato la Premier, perdendola ogni tanto di vista. Anche in quegli anni l’amore per il City non è mai venuto meno e lo strapotere portato dallo sceicco Mansur è la rivincita per quegli anni difficili e per quei tifosi, che, come Noel Gallagher, hanno dato al City un amore difficile da immaginare come quello cantato nell’inno d’adozione del Manchester.

Today is gonna be the day

La storia che raggiunge la sua apoteosi il 12 maggio 2019 ha inizio parecchi anni prima. Il 1 settembre 2008 è la data clou nella storia del Manchester City: il club viene acquistato dallo sceicco Mansur bin Zayd Al Nahyan, imprenditore e politico emiratino che dà il via a una vera e propria età dell’oro per la società. Subito la nuova proprietà inizia a far sentire la propria voce a suon di milioni, 42 sono quelli spesi per acquistare Robinho dal Real Madrid, il primo grande acquisto del nuovo City. La trasformazione del club è immediata, viene allestita una squadra che via via diventa sempre più importante, acquistando giocatori del calibro di Tevez, Adebayor e Kolo Touré. I soldi che ruotano intorno al City aumentano vertiginosamente, tra i ricchi proventi derivanti da Etihad e gli onerosi esborsi per rinforzare la squadra. Lo squilibrio di cui si parlava è il leitmotiv della storia recente del City, una società che nel giro di pochissimi anni si piazza nell’establishment del calcio britannico, si configura come una forza di fuoco praticamente inarrivabile e lo fa semplicemente grazie alla propria strabiliante potenza economica.

Il 1 settembre 2008 è la data cardine dunque, che fa seguito al giugno 2007, quando il City fu comprato dall’ex primo ministro thailandese Thaksin Shinawatra tramite la sua UK Sport Investment. Un personaggio ben posizionato all’interno del circolo dei potenti del proprio paese, con un passato da poliziotto e la svolta della vita come imprenditore. Dopo alcuni tentativi falliti nel mondo della seta e del cinema, Shinawatra trova il proprio el Dorado investendo nelle telecomunicazioni, intessendo rapporti col potere e diventando egli stesso parte di quel mondo che lo ha arricchito, quando nel 1994 accetta l’incarico di ministro degli Esteri. La sua carriera politica procede spedita quanto quella imprenditoriale, fino ad assume il ruolo di capo del governo nel 2001. Il suo spirito imprenditoriale lo ha portato all’acquisto del Manchester City nel 2007, ma l’avventura del nuovo proprietario si dovette fermare bruscamente per via di uno scandalo politico in Thailandia, che lo costrinse a cedere il club allo sceicco Mansur. L’ex primo ministro  fu condannato infatti nell’ottobre del 2008 a due anni di carcere per crimini collegati al conflitto d’interessi. È francamente impossibile dire se, senza queste vicissitudini extra-calcistiche, il City sarebbe diventato ciò che è diventato, con Shinawatra al posto di Mansur. Una domanda che per loro fortuna i tifosi del City non devono porsi, o di cui comunque non hanno bisogno di sapere la riposta. Il 1 settembre è diventato il giorno che ha dato inizio a tutto, con Mansur saldamente alla guida e pronto a lanciare miliardi di dollari per l’ascesa della sua squadra.

And all the roads we have to walk are winding

La strada che conduce il City al successo è a dir poco frenetica. Ai primi acquisti sul campo segue presto un innesto di lusso in panchina, che risulterà decisivo: Roberto Mancini. Il tecnico italiano succede a Hughes sulla panchina degli Sky Blues e riporta il City in Europa, centrando il quinto posto nella stagione 2009-2010. L’anno successivo arrivano il ritorno in Champions League, a 46 anni di distanza dall’ultima volta, e il primo trofeo della nuova gestione, interrompendo un digiuno che durava dal 1976. Il 14 maggio 2011 uno degli uomini simbolo del nuovo corso, Yaya Touré, regala al City la vittoria della FA Cup, piegando in finale lo Stoke City. Perno della squadra di Mancini, l’ivoriano è davvero tra gli uomini della svolta, tra i campioni che simboleggiano a pieno il nuovo potentissimo status symbol del Manchester City.

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L’uomo più rappresentativo però arriva l’anno dopo, è già immerso nel celeste venendo dall’Argentina e risponde al nome di Sergio Agüero. Il Kun è il giocatore per eccellenza del Manchester City, ha legato indissolubilmente il suo nome a quello del club, regalando ai tifosi momenti magici e indimenticabili. Su tutti, naturalmente, l’Agüero Moment, il culmine della stagione 2011-2012. Il City parte fortissimo quell’anno, 11 vittorie nelle prime 12 di campionato e un sorprendente 6-1 ai rivali dello United. Il rapporto tra le due parti di Manchester, la blu e la rossa, era fino a quel momento irrimediabilmente costituito all’insegna di un netto complesso di inferiorità del City nei confronti dello United. I Red Devils vivevano anni di gloria, con la storica gestione Ferguson che aveva regalato praticamente ogni titolo allo United. Il City dopo aver annaspato a lungo a suon di milioni cercava di colmare quel gap cittadino e quel 6-1, risultato storico perché è il più ampio con cui gli Sky Blues hanno mai vinto un derby, segna un punto di svolta nella storia di questa rivalità. Rosso e blu sono finalmente sullo stesso piano, anzi si sta preparando la strada per il clamoroso sorpasso. L’anno successivo lo United avrebbe vinto il titolo, ma è solo il canto del cigno visto che l’addio di Sir Alex Ferguson mette fine a un’era irripetibile di successi, dando il via a un incredibile ridimensionamento dei Red Devils, che coincide con l’exploit del City. Ad ogni modo, per la prima volta il 23 ottobre 2011 i Citytzens superano quello storico complesso di inferiorità rispetto ai coinquilini di Manchester, strapazzandoli con le doppiette di Balotelli e Dzeko e le reti di Silva e dell’immancabile Agüero.

La stagione procede apparentemente senza intoppi per il City, piano piano si afferma la consapevolezza di poter tornare veramente sul tetto d’Inghilterra e forse le gambe iniziano a tremare. Il City cala, lo United si fa sotto, e al giro finale le due squadre sono appaiate a pari punti. La squadra di Mancini è avanti per differenza reti e scontri diretti, basta una vittoria in casa col QPR per portare a casa il titolo. Nel frattempo lo United proverà a mettere pressione ospitando il Sunderland. È una sfida al cardiopalma: Rooney sblocca il match all’Old Trafford, lo stesso fa Zabaleta all’Etihad Stadium. Nel secondo tempo però la situazione precipita: il QPR pareggia con Cissé e passa addirittura in vantaggio con Mackie, nonostante l’inferiorità numerica. Lo United è saldamente in vantaggio, il City può solo vincere. Il tempo scorre, tanto, troppo velocemente, per i tifosi all’Etihad. Come una molla il City spinge, ma viene respinto indietro, sempre e costantemente. Arriva il 90′, un gol non basta. Il cuore dei tifosi allo stadio si stringe, sicuramente anche quello di Noel Gallagher che già pregustava il grande trionfo. In molti si rassegnano alla sconfitta, cedere il passo allo United è ormai un’abitudine, quanto potrà fare male. Molto, e infatti non tutti sono disposti ad accettare questo epilogo. Su tutti due, il gigante bosniaco e la trottola argentina. Al 92′ Dzeko pareggia, sarebbe un risultato ancora più beffardo. A questo punto tocca all’uomo in più del City, Sergio Agüero, che raccoglie il pallone in area, si allarga e trafigge Kenny. Il pallone è in rete, il City vince ed è sul tetto d’Inghilterra, nel modo più folle possibile.

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L’Agüero moment è il vero punto di svolta nella storia del City. Il primo campionato della nuova proprietà, vinto dopo un duello all’ultimo sangue con i rivali di sempre, con un gol all’ultimo secondo dell’ultima giornata di campionato. Emozioni pure. Dopo quell’anno però il City non continua a macinare successi, porta a casa una Community Shield e due Coppe di Lega, ma è troppo poco in relazione agli investimenti fatti. Ecco che quindi deve entra in scena un altro personaggio chiave nella storia recente del City: Pep Guardiola.

I punti di svolta in questa storia corrispondono all’arrivo di intrepidi condottieri, prima Mancini e ora Guardiola. Lo spagnolo arriva e ha il compito di riportare in alto il City, gli viene messo a disposizione tutto, la proprietà non bada a spese: i migliori giocatori per il migliore allenatore. Il connubio è destinato per forza di cose ad essere vincente: in quattro anni arrivano due Premier, due coppe di Lega, una FA Cup e due Community Shield. Il 2019 è l’anno che chiude in parte il cerchio col 2008: il City vince tutto ciò che può vincere in patria, Shield, Premier e le due coppe. Un treble domestico mai riuscito a nessuno. Gli Sky Blues sono i dominatori d’Inghilterra, a suon di milioni hanno costituito il proprio successo, la strada per arrivare in cima è stata a tratti tortuosa, ma per ogni ostacolo c’era un bonifico pronto per superarlo. E così è stato.

And after all, you’re my wonderwall

Il pomeriggio del 12 maggio 2019 Noel Gallagher è nello spogliatoio della sua squadra del cuore, canta con gli eroi che gli hanno regalato tanti successi la sua canzone più famosa. Tutto ciò è inebriante, il percorso fatto dal cantante da un Manchester City-Newcastle del 1974, primo match visto allo stadio, al pomeriggio di Brighton, è pazzesco. Da uno dei tanti tifosi a Maine Road a ospite d’onore all’Etihad. Dal cantare i cori della sua squadra a sentire cantate le proprie canzoni allo stadio. È una meraviglia, assoluta.

Quella del City è una storia apparentemente fatta solo di denaro. Un successo comprato, costruito grazie a ingenti spese, forse un po’ freddo se visto dall’esterno. Si tratta sostanzialmente di una squadra costruita a tavolino per vincere, con possibilità immense e con una strada appianata. È un po’ il riflesso del calcio inglese degli ultimi, una plutocrazia che però ha i suoi momenti di libertà. Basti pensare al Leicester. Ma di norma chi spende vince, è una legge valida ovunque e ancora di più in Inghilterra, dove le possibilità economiche sono maggiori. Però dietro a questa fredda e cinica plutocrazia c’è la parte intima del calcio, ci sono quei tifosi che non sono toccati minimamente da questo impero di denaro che determina lo sfogo della loro passione. I tifosi del City sono sempre gli stessi di quando non c’erano sceicchi, di quando la squadra era ben lontana dal tetto d’Inghilterra. Per loro non esiste un successo costruito a tavolino e questo exploit economico della propria squadra è un riscatto, è una salvezza. Forse l’idea che siano i soldi a poter comprare questa possibilità di salvezza fa un po’ storcere il naso, ma è il calcio del XXI secolo, è una cesura netta col passato e come tale va accettata. Il calcio, d’altronde, anche nelle più fredde storie di soldi sa regalare delle emozioni uniche, quelle di uno dei cantanti più famosi al mondo che in un caldo pomeriggio di maggio è solo un tifoso, emozionato per la vittoria della propria squadra, salvato dalle incombenze della vita quotidiana dal proprio tifo. Perfino in una storia di soldi, di squilibrio, di potere, è possibile è trovare il proprio muro delle meraviglie. È la magia del calcio.

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