Storia del Pallone d’oro: l’88, l’89 e il ’92, Marco Van Basten | OneFootball

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·30 aprile 2020

Storia del Pallone d’oro: l’88, l’89 e il ’92, Marco Van Basten

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La perfezione fatta a centravanti, bello, elegante, con le gambe lunghe e l’abilità nel dribbling stretto di un longilineo. Marcatore infallibile, incubo di ogni portiere e difensori e molto abile nel dialogo con i compagni. L’area di rigore era il suo habitat naturale ma non solo di gol da opportunista viveva Marco Van Basten. Da fuori area era in grado di segnare di potenza e di precisione e l’unico veramente in grado di fermarlo in carriera è stata la sua caviglia destra, quella maledetta caviglia destra che ha spezzato davvero troppo presto la meravigliosa favola del Cigno.Nacque a Utrecht nel 1964, figlio d’arte del padre Joop, difensore del Dos campione d’Olanda nel 1958, e fin da subito iniziò a farsi le ossa nelle varie squadre giovanili della città. All’UVV visse la maggior parte dei suoi anni, fino a quando nel 1981 non venne portato all’Ajax. Debuttò a poco più che diciassettenne verso la fine del 1982 subentrando al grande idolo d’infanzia Johan Cruijff. Un momento del genere avrebbe intimorito probabilmente chiunque, ma si iniziò a pensare al passaggio di consegne tra campioni quando poco dopo il suo ingresso svettò di testa trafiggendo il portiere del Nec Nijmegen Schellekens. Al debutto era subito riuscito ad andare in rete e con quell’apparizione potè vantare anche lui a fine anno la vittoria del primo titolo nazionale. Nella stagione seguente iniziò a entrare sempre di più all’interno della prima squadra creando un grosso affiatamento con il più famoso numero quattordici della storia. L’età avanzata del tre volte Pallone d’oro però lo obbligava a stare molto più statico in zona d’attacco e toccò quindi a Van Basten sacrificarsi in giro per la trequarti per prendere palloni e smistarli. Questo lo tenne più lontano dalla porta, ma i suoi nove gol finali contribuirono al successo dei Lancieri di un’altra Eredivisie e con l’addio di Cruijff potè definitivamente concentrarsi al gol. Johan passò agli eterni rivali del Feyenoord per svezzare l’altro nuovo fenomeno del calcio Oranje, quel Ruud Gullit che diventerà fondamentale nella carriera del Cigno di Utrecht. Nonostante a fine anno furono i biancorossi di Rotterdam a vincere il titolo, il numero nove ajacide andò a segno per ben ventotto volte il che lo portò a vincere per la prima volta il titolo di capocannoniere. Dal 1983 intanto si era conquistato la nazionale, ma gli Arancioni erano ancora nella difficile fase di transizione dai cicli d’oro degli anni ’70 e di fine anni ’80 e così la squadra mancò la qualificazione sia a Euro ’84 che al Mondiale dell’86.La vittoria della classifica marcatori divenne un abitudine per Van Basten che riconfermò il suo indiscutibile trono per altre tre Eredivisie consecutive. Nel 1985 lo vinse con il minor numero di reti, ventitre, ma bastarono per vincere il terzo campionato con l’Ajax e realizzare una delle sue reti più famose e belle perle in carriera. Contro il Volendam prese palla sulla trequarti scartò in maniera netta due difensori avversari e dal limite dell’area fece partire un pallonetto che si infilò all’incrocio dei pali rendendo così vano il volo del portiere Schilder. Una stella splendeva sempre più radiosa sul cielo di Amsterdam e in quella magnifica giornata Van Basten segnò ben quattro reti e a fine partita venne festeggiato il successo del titolo. Il passaggio di Gullit al Psv Eindhoven pose fine ai successi dei Lancieri per le due annate successive, ma non pose di certo fine alla voglia di segnare di Marco. Nel 1986 concluse il campionato realizzando il numero pazzesco di trentasette reti, record in carriera, e il risultato gli permise a fine anno di alzare la Scarpa d’oro come miglior cannoniere d’Europa. A fine anno arrivò la vittoria della Coppa d’Olanda ad alleggerire la delusione del secondo posto, ma per il Cigno di Utrecht iniziarono i primi guai fisici. A dicembre in una sfida contro il Groningen subì il primo grave infortunio alla caviglia che lo tenne fuori per tre mesi, ma nonostante questo riuscì a segnare ancora l’impressionante numero di trentuno reti. Visse lontano dal campo la volata finale per il titolo, ma fece in tempo per rientrare in campo per la finale di Coppa delle Coppe contro il Lokomotive Lipsia. Bastò un lampo, una sola rete per decidere la sfida di Atene e a segnare non poteva essere altro che il miglior giocatore in campo. Silooy se ne andò sulla destra e crossò al centro per Van Basten che di testa anticipò Lindner e battè sul primo palo Müller. Il succeso internazionale era l’unica cosa che gli mancava con gli ajacidi e ormai l’Eredivise gli stava stretta, per lui c’era l’ambizioso Milan di Silvio Berlusconi.

I rossoneri avevano vissuto anni molto difficili dopo lo scandalo del calcioscommesse e per tutti gli anni ’80 erano stati una realtà di centro classifica. Con l’arrivo alla presidenza del Cavaliere però le cose cambiarono e la svolta avvenne nell’estate 1987 quando, oltre a Marco, venne acquistato anche Gullit. La prima stagione però fu tutto tranne che semplice per l’ex Ajax perché la caviglia non riusciva proprio a dargli tregua. Iniziò subito segnando agli esordi in Coppa Italia con il Bari e in campionato contro il Pisa, ma in occasione della gara di Coppa Uefa contro l’Espanyol ecco la brutta ricaduta che lo tenne fuori per quasi tutta la stagione. Un duro colpo per lui e per il Milan che dopo l’iniziale smarrimento riuscì a riprendersi e Van Basten tornò in squadra proprio per l’ultima parte della Serie A quando il Diavolo era alla caccia disperata del primo posto del Napoli. Il rientro dall’infortunio arrivò in occasione di una gara a San Siro contro l’Empoli ferma sullo 0-0 e che proprio non voleva saperne di sbloccarsi. A fine primo tempo Sacchi tolse Virdis per inserire l’olandese e fu proprio lui a decidere la partita segnando il vittorioso 1-0. Con una splendida finta di corpo si liberò di Lucci e fece partire un fantastico destro all’incrocio da fuori area imparabile per Drago. Il tecnico romagnolo capì le sue difficoltà fisiche e così decise di sfruttarlo come prima riserva fino al termine del campionato e la sua terza rete arrivò nella gara più importante. Al San Paolo contro il Napoli ci si stava giocando lo Scudetto e a inizio ripresa, con il risultato fermo sull’1-1, il Cigno di Utrecht entrò al posto di Donadoni. Il vero mattatore della sfida fu Ruud Gullit che fu inarrestabile e, dopo il vantaggio di Virdis, fu proprio una devastante discesa del Tulipano nero a spaccare la difesa Azzurra e a dare al connazionale la facile palla dell’1-3. Il sorpasso era dunque avvenuto e due settimane dopo in quel di Como potè partire la festa per il tanto atteso Scudetto. Quell’estate però era anche quella dell’Europeo in Germania Ovest e il non aver vissuto da protagonista il successo italiano gli imponeva un torneo internazionale da urlo. La prima partita a Colonia fu però un disastro con l’Unione Sovietica che vinse 1-0 e mise l’Olanda a immediato rischio eliminazione. A Düsseldorf contro l’Inghilterra serviva un pronto riscatto e in quel pomeriggio venne fuori l’immensa classe del centravanti oranje. Sembrava un’altra giornata difficile per i Tulipani con i britannici molto vicini al gol in varie occasioni, ma a sbloccare la partita fu una magia. Da un cross di esterno di Gullit la palla arrivò a Van Basten che stoppò spalle alla porta, si girò repentinamente eludendo la marcatura di Adams e di sinistro incrociò per l’1-0. A inizio ripresa Robson però pareggiò e allora Marco salì nuovamente in cattedra. Prima incrociò di sinistro appena entrato in area e poi deviò con una mezza rovesciata un calcio d’angolo dalla destra e il 3-1 finale consegnò agli annali una delle più grandi prestazioni singole della storia della competizione. Nella terza partita contro l’Irlanda fu Kieft a trovare la rete della qualificazione che portò alla semifinale di Amburgo contro i padroni di casa della Germania Ovest. I rigori di Matthäus e Koeman erano stati fin lì decisivi e ormai ai supplementari mancava veramente poco. Wouters provò un filtrante per il suo centravanti che anticipò Kohler in scivolata e riuscì a dare forza e precisione alla palla che si infilò all’angolino. Una mazzata devastante per i padroni di casa, un sogno per tutti gli olandesi arrivati in trasferta. Dieci anni dopo l’ultima finale del Mondiale era tempo di provare a vincere qualcosa e a Monaco di Baviera ci sarebbe stata la rivincita contro l’Unione Sovietica. Questa volta niente e nessuno poteva fermare la corazzata di Rinus Michels e dopo la rete di Gullit nel primo tempo ecco il capolavoro nella ripresa. Da un cross sporco e a campanile di Mühren fu Van Basten a coordinarsi da posizione impossibile e lasciar partire un destro forte e dolce allo stesso tempo sul secondo palo trafiggendo così un incredulo Dasaev. L’Olanda era riuscita per la prima volta a laurearsi campione d’Europa e Marco fu il capocannoniere del torneo e autentico trascinatore degli Oranje. Le sue prestazioni in Germania Ovest fecero dimenticare alla giuria di France Football la lunga assenza per infortunio di quell’annata e a fine arrivò il primo Pallone d’oro. Il podio fu tutto degli olandesi del Milan con il centravanti che totalizzò centoventinove voti contro gli ottantotto di Gullit e i quarantacinque di Rijkaard.


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A ventitre anni era già stato considerato il miglior giocatore d’Europa ma l’idea di fermarsi non lo sfiorava nemmeno lontanamente. Nella stagione 1988-89 fu a pieno servizio di Sacchi e in campionato andò a segno per diciannove volte, ma i rossoneri non entrarono mai nella lotta Scudetto che riguardò Inter e Napoli. Fu in Europa che il Diavolo concentrò tutte le sue attenzioni perché la Coppa dei Campioni era un trofeo atteso da troppo tempo. Van Basten aveva solo fatto qualche apparizione sfortunata con l’Ajax qualche anno prima senza mai segnare. Di tutt’altra caratura fu invece il suo rapporto con questa Coppa con la maglia rossonera e nella trionfale cavalcata verso il successo segnò a tutte le squadre che si pararono di fronte. Dopo la tripletta al Levski Sofia segnò le preziosissime reti qualificazione contro Stella Rossa e Werder Brema, prima di compiere il capolavoro nella semifinale contro il Real Madrid. Hugo Sánchez aveva portato in vantaggio i bianchi di Spagna al Bernabéu, ma nella ripresa ecco il pareggio. Da un cross di Tassotti dalla destra il Cigno di Utrecht effettuò una torsione in tuffo di testa meravigliosa che colpì prima la traversa e poi la schiena di Buyo infilandosi in rete. L’1-1 garantiva un parziale ottimismo in vista del ritorno a San Siro che si rivelò un vero e proprio trionfo. Il Milan spazzò via i madridisti con un perentorio 5-0 mandando in gol cinque marcatori diversi tra cui, manco a dirlo, anche Marco. Si arrivò così alla finale contro la Steaua Bucarest e il Camp Nou di Barcellona si trasformò nel Meazza con novantamila cuori rossoneri arrivati per vedere sollevare il trofeo. I rumeni non riuscirono a resistere allo strapotere del Diavolo e fu una festa olandese. Gullit segnò il primo e il terzo gol mentre Van Basten il secondo e il quarto con un colpo di testa e un sinistro a incrociare. Con nove reti era diventato il capocannoniere del torneo e per la terza volta nella sua storia il Milan era diventato campione d’Europa. Il gioco espresso dai ragazzi di Sacchi in campo continentale fece dimenticare ai giudici di France Football qualche amnesia di troppo in Serie A e il podio fu ancora tutto rossonero. Il ragazzo di Utrecht diede il bis con centodiciannove voti, battendo così Franco Baresi fermo a ottanta e Frank Rijkaard a quarantatre.Il 1989-90 fu per certi versi simile all’annata precedente, anche se questa volta i ragazzi di Sacchi provarono fino all’ultimo a contendere il successo al Napoli. A fermare la volata con gli Azzurri però ci furono i problemi, questa volta al menisco, che fermarono il numero nove del Diavolo per due mesi e degli arbitraggi discutibili. Quello infatti venne per sempre ricordato come lo “Scudetto della monetina“, ovvero quella che colpì in testa il napoletano Alemão in una trasferta a Bergamo contro l’Atalanta. La vittoria a tavolino permise ai partenopei di agganciare il Diavolo in classifica e la turbolenta sconfitta di Verona, con Van Basten infuriato con l’arbitro Lo Bello, diede definitivamente il secondo titolo a Maradona e compagni. L’olandese si consolò con i suoi diciannove gol che gli valsero il titolo di miglior marcatore del campionato. In Coppa dei Campioni però le cose continuavano ad andare a gonfie vele, anche se Marco non fu così devastante come nella stagione precedente pur segnando reti preziose. Furono sue le decisive reti contro Mechelen e Bayern Monaco per poter approdare in finale e contro il Benfica una rete di Rijkaard confermò il Milan come squadra più forte d’Europa. Quell’estate era però quella del Mondiale in Italia e c’erano enormi aspettative sull’Olanda, ma dopo il trionfo in Germania Ovest accadde l’incredibile. Nel girone iniziale tra Cagliari e Palermo arrivarono tre pareggi contro Egitto, Inghilterra e Irlanda e solo la regola che permetteva alle migliori terze di approdare alla fase successiva garantì la qualificazione agli Oranje. Agli ottavi a Milano ci fu l’eterna sfida contro i tedeschi e questa volta il 2-1 permise la qualificazione al Mannschaft. I campioni d’Europa non erano stati in grado di vincere un singolo incontro e il miglior cannoniere del mondo era rimasta a bocca asciutta. L’enorme delusione sembrò aver scosso il Cigno e nella stagione seguente fu irriconoscibile. Segnò la miseria di undici reti e a fine anno andò da Berlusconi per chiedere la testa di Sacchi, esasperato dai suoi allenamenti. Il Presidente accolse la richiesta, causa anche una stagione senza successi, e dall’estate del 1991 fu Fabio Capello a prendere in mano le redini della squadra. Con il tecnico friulano le cose tornarono come prima, anzi forse anche meglio, dato che Van Basten iniziò a segnare come mai aveva fatto prima in Serie A. A suon di perle trascinò il Milan verso lo Scudetto e a fine anno realizzò ben venticinque marcature, il record personale in Italia, laureandosi per la seconda volta capocannoniere. Quello però era anche l’anno dell’Europeo da giocare in Svezia, ma per il secondo torneo internazionale consecutivo il Cigno di Utrecht non riuscì a segnare. Gli Oranje arrivarono fino alla semifinale contro la Danimarca e ai rigori calciò debolmente, dopo il suo classico saltino, facendosi parare la conclusione da Schmeichel. Questo però non influenzò più di tanto il giudizio sulla sua strepitosa annata e concluse l’anno solare con una delle sue più grandi partite di sempre. In Champions League era arrivato a San Siro il Göteborg e gli svedesi non potevano immaginare a cosa stavano andando incontro. L’olandese realizzò una spettacolare quaterna, tra cui una meravigliosa rovesciata all’angolino imparabile per Ravelli. Quella fu la ciliegina sulla torta che convinse definitivamente France Football a nominarlo per la terza volta miglior giocatore d’Europa e con novantotto voti riuscì a superare le ottanta preferenze di Stoichkov e le cinquantatre di Bergkamp.

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Con Capello in panchina tutto stava andando come meglio non avrebbe potuto, ma la caviglia tornò a creare problemi, questa volta in maniera molto più acuta del passato. In campionato non riuscì a giocare nemmeno metà delle partite, mantenendo comunque l’importante media di tredici reti in quindici partite, ma Capello lo preferì a Papin in occasione della finale di Coppa dei Campioni contro il Marsiglia. A Monaco di Baviera però si vedeva che non era più lui, non più uomo su ogni pallone, ma timoroso e impaurito da quella maledetta caviglia che poteva spezzarsi definitivamente da un momento all’altro. Alla fine furono i francesi a vincere la Coppa e i rossoneri dovettero accontentarsi dello Scudetto, ma nessuno sapeva cosa stava per accadere. Il problema divenne sempre più serio, tanto che anche gli interventi iniziarono a diventare inutili. Il Milan lo tenne sotto contratto ancora per due anni, ma non scese mai in campo e nel 1995 capì che non ci sarebbe stato più nulla da fare. Si ritirò quando aveva solo trent’anni e l’ultima partita la giocò quando ancora non aveva compiuto i ventotto. Una delle più grandi storie calcistiche compresse in un brevissimo lasso di tempo.Forza fisica, eleganza, classe, potenza, un campione di rara efficacia e di rara bellezza, probabilmente l’attaccante più completo di sempre. Un piacere vederlo giocare e chissà cosa avrebbe potuto fare senza quelle sue ossa di cristallo, perché quegli infortuni hanno fatto male a tutti togliendo al mondo dello sport il suo Cigno, Marco Van Basten.

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