Spalletti: «La nazionale una lunga salita, partendo dai campi in terra battuta; Totti un figlio, vorrei poter cenare con Vialli» | OneFootball

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·12 maggio 2025

Spalletti: «La nazionale una lunga salita, partendo dai campi in terra battuta; Totti un figlio, vorrei poter cenare con Vialli»

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Le parole di Luciano Spalletti, ct della nazionale italiana, in una lunga intervista rilasciata a Walter Veltroni sul Corriere della Sera

Luciano Spalletti ha rilasciato una lunga intervista a Walter Veltroni al Corriere della Sera. Il ct della nazionale italiana è uscito in queste settimane con la sua autobiografia ‘Il paradiso esiste… ma quanta fatica‘ e si è raccontato dagli inizi a oggi, parlando anche di Napoli e dello Scudetto vinto, di Totti e ricordando anche Vialli. Di seguito le sue parole.

NAZIONALE«È stata una salita lunga, per arrivare fino alla Nazionale. Quando parti da laggiù, dai campi di terra battuta, non dalle squadre blasonate, senza avere la struttura, senza conoscenze di un mondo che vedevi lontano, gli scalini sono sempre alti e scoscesi. Ogni volta che ne sali uno non sai cosa troverai, tutto è sconosciuto».


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GLI INIZI«Sono partito dai bambini dell’Avane, una zona di case popolari in periferia di Empoli. Poi mi notò la Fiorentina ma lì ci fu la prima delusione, quando mi dissero che non rientravo nei loro programmi. Dopo il verdetto dei viola avevo deciso che avrei giocato solo tra gli Amatori, ma poi un mio zio mi convinse a riprovare. Ho indossato le magliette di Volterrana, Castelfiorentino, Cuoiopelli, Entella Chiavari, Viareggio, Empoli. Dove ho finito la mia onesta carriera. Da giocatore o da allenatore sono entrato negli spogliatoi di tutte le categorie, dai pulcini alla Nazionale. Mi manca solo la prima categoria, magari un domani…».

FAMIGLIA UMILE«Mio padre lavorava in vetreria e poi ha fatto il guardiacaccia, il magazziniere, ne ha cambiati molti, di mestieri. Mia madre lavorava nelle confezioni. In casa c’erano loro, i due nonni, e poi io e mio fratello Marcello».

MARCELLO«Lui giocava bene, lui era il calciatore e mi ha insegnato molto. In primo luogo ad avere carattere. Per me è stato come un annaffiatore della fiducia in me stesso. Non ho mai avuto un procuratore e questo mi ha dato una grande libertà. Nessuno mi ha messo una mano sulla testa. Soltanto la mia famiglia. E Marcello, più di ogni altro. Prima di andarsene, minato dalla sofferenza, mi ha fatto delle raccomandazioni, alle quali sarò fedele».

SENZA PROCURATORE«Non vengo da cascate di diamanti ma dalla fatica dei calli sulle mani. So che i soldi sono importanti. Ma certe volte mi sembra incredibile che mi paghino per fare ciò che più mi appassiona e mi diverte. Al Napoli, per esempio, sono andato con l’idea di accettare quella sfida, più che di guadagnare soldi. E il Presidente ne è stato immediatamente consapevole…».

NAPOLI«Ho girato moltissime società, moltissime città, ma non ho mai visto un popolo che sappia essere così felice e così malinconico come quello napoletano. Io per questo sarò sempre grato a De Laurentiis. Poi è finita male e mi dispiace. Ho sofferto perché dopo lo scudetto il presidente non ha telefonato a nessuno di noi, non ci ha fatto gioire su un pullman scoperto insieme a quel meraviglioso popolo. Io amo Napoli e il Napoli».

PASSIONE NAPOLETANA«La passione che le persone mettono per la propria squadra spesso deborda. Ma forse è giusto così. Quando vedo le curve piene, le bandiere che sventolano, i ragazzi che coltivano una passione pura, penso che quel potenziale potrebbe essere indirizzato anche per fini sociali. Vorrei che alle centinaia di migliaia di sportivi fosse data la possibilità di vedere le partite in strutture moderne, civili».

LO SCUDETTO«In quei giorni ho provato la terribile felicità che si sente quando si regala felicità ad altri. Ma l’altro momento più bello sarà quando smetterò e non sentirò più questo peso, un peso scelto, ma che spesso mi toglie il fiato».

ORGOGLIO OPERAIO«Quei calli vengono dal lavoro, dalla fatica. La terra ti insegna che puoi fare tutto giusto ma poi arriva una gelata e ogni sforzo può essere inutile. Così è nel calcio. L’essenziale è non restare schiacciati. Tutto dipende da noi: affrontare con determinazione o lasciarci sopraffare».

TOTTI«Io gli voglio bene. Lui è il calcio, per me. Istinto, classe, intelligenza pura. Quando lo allenavo, mi rassicurava pensare che il mio futuro dipendesse da quei piedi lì. Ora che tutto è chiarito, mi piacerebbe pensare a qualche esperienza insieme, anche fuori dal calcio».

TOTTI E I FISCHI«Mi sono pesati. Non riesco, non sono mai riuscito, a farmi scivolare le cose addosso. Le vittorie più delle sconfitte. Ho molto amato quegli anni a Roma. L’emozione che provai quando Bruno Conti mi propose di allenare i giallorossi è indelebile».

EUROPEI E SVIZZERA«Ho capito di aver caricato i ragazzi di troppe responsabilità. Li ho messi al cospetto della storia dei campioni. E così hanno perso leggerezza. Ho sbagliato io, me ne sono assunto la responsabilità».

MONDIALI«Siamo tutti consapevoli dell’importanza delle qualificazioni. Ci è capitato un girone con una nazionale forte come la Norvegia ma io ho fiducia nei miei ragazzi».

SEMPLICITÀ DEL CALCIO«La semplicità nel calcio è un punto di arrivo, non di partenza. L’importante è impegnarsi, progettare, studiare, avere cura del talento. Comporre l’equilibrio tra tecnica e tattica è il lavoro degli allenatori. E non è semplice».

RISCHI PER I GIOVANI«La prima cosa da fare è liberarli dalla noia di essere benestanti. Il cellulare ti connette con chi è lontano e ti disconnette da chi è vicino. Ora dobbiamo stare attenti che l’intelligenza artificiale non sopprima l’intelligenza naturale. Le soluzioni ai problemi della vita non le deve trovare un apparato elettronico, ma la mente umana».

CENA CON UN CAMPIONE: CHI SCEGLIEREBBE«Luca Vialli. Grande giocatore e grande persona. Basta vedere come ha affrontato il male. Ci ho giocato contro una volta, in un Sampdoria-Spezia. Mi diede due brandate pesanti, ma poi mi aiutò subito a rialzarmi. Il suo modo di vivere, e di morire, ci aiuta a rialzarci, sempre».

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