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·7 dicembre 2023

Simonini, Bologna FC: «Calcio e sostenibilità? Attenzione al territorio e alla comunità»

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Un’attenzione costante al territorio che ospita il club che si declina nella cura della comunità che è fatta, ancor prima che di tifosi e appassionati, di persone. Questo il principio fondante che è anche il filo rosso che lega tutta la progettualità in ambito sostenibile del Bologna FC 1909. Un insieme di attività ramificate che assorbe l’impegno della società a 360° e che comporta una profusione di energie costante, senza la certezza del risultato: esattamente come fosse una sfida sul campo.

Ne abbiamo parlato con Clara Simonini, sustainability manager e football social responsability officer del club.


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Il Bologna ha avviato da tempo un percorso nell’ambito della sostenibilità, declinando il proprio impegno in numerose direzioni e attività. Come nasce questa esigenza? Qual è il punto di partenza?

Negli ultimi anni abbiamo tradotto la vicinanza verso la comunità che ci caratterizza da sempre in qualcosa di più capillare e strutturato. Questo anche grazie all’attenzione dei vertici societari, presidente e ad su tutti, che sono consapevoli che il calcio non è solo sport. Mi spiego: siamo un’azienda a 360° dove il calcio è sicuramente il nostro core ma non solo in termini di business. Il calcio è lo strumento per esprimere la capacità di portare valori e grazie alla sua pervasività è in grado di intercettare qualsiasi target, fascia d’eta ed estrazione sociale incidendo sui comportamenti e sui modi di vivere. Credo quindi che abbiamo delle responsabilità e che attraverso scelte strategiche possiamo generare un impatto positivo.

È corretto quindi affermare che la comunità è un po’ il fulcro sul quale si declina la vostra progettualità?

Sì, tocchiamo tantissimi temi che rientrano sotto il cappello della sostenibilità sociale. Collaboriamo con enti no profit del territorio grazie ai quali aiutiamo le famiglie bisognose, predisponiamo pacchi alimentari o diamo sostegno agli ospedali. Abbiamo un rapporto storico con realtà come Bimbo Tu, Ail e Admo. Qualche settimana fa abbiamo lanciato un’iniziativa con la Fondazione Sant’Orosla e la Fondazione Elisabetta Franchi per portare la pet terapy in pediatria, sottraendo dei levrieri al giro delle corse clandestine che, grazie all’addestramento di volontari, vengono poi uilizzati in terapia. Un altro progetto del quale siamo particolarmente orgogliosi è il Bologna for Community costruito con PMG Italia Società per l’impatto positivo, che si occupa di supportare persone con disabilità, portandoli allo stadio ma non solo: ci stiamo impegnando per far vivere il progetto anche durante la settimana, conducendoli verso attività ludiche, di svago, come visite culturali o pic nic ai Giardini Margherita. È l’insieme di iniziative, forse anche piccole, a dare valore a mio avviso.

Parlando invece di sostenibilità ambientale, quali progetti comportano benefici diretti per il territorio che ospita la società?

Tanta mobilità sostenibile, con car sharing e car pooling, impegno sulla raccolta differenziata e utilizzo di rinnovabili. Borracce e stoviglie in polpa di mais al posto di bottiglie al posto della plastica. Nel centro tecnico abbiamo un’isola ecologica, il bacino per il recupero delle acque piovane e i pannelli fotovoltaici. Ormai il 60-70% del fabbisogno energetico è soddisfatto dalle rinnovabili. È un percorso lento ma ci stiamo arrivando.

Infine, dalla stagione 2021/2022, in collaborazione con Macron, le maglie della prima squadra sono realizzate con plastica riciclata: con 13 bottigliette si realizza la maglia di un giocatore.

Negli ultimi anni molte realtà, di ogni settore, hanno avviato progetti di sostenibilità ma che, in molti casi si sono rivelati operazioni “di facciata”. Non basta “dare una mano di verde” a una parete per rendere un’azienda sostenibile. Come si combatte il cosiddetto greenwashing? Come ci si distingue per impegno e serietà?

Credo onestamente che il greenwashing sia sempre più diffuso. E nel calcio la sostenibilità è arrivata anche più tardi rispetto ad altri settori. Io penso che non bastano iniziative one shoot per dire sono green e socialmente responsabile. Nemmeno noi possiamo dire di essere “green” ma abbiamo intrapreso un percorso di piccoli passi, costruito day by day, con una progettualità pensata nel lungo periodo introducendo la sostenibilità in tutte le operatività quotidiane del club.

Cosa ne pensa della cornice normativa UEFA, mi riferisco al progetto “Football Sustanibility Strategy” per il 2030 finalizzato a rendere la football industry europea compliant con i criteri ESG?

In questo ultimo anno e mezzo le istituzioni, sia a livello europeo che nazionale, hanno cambiato passo. All’interno della UEFA sono entrati a pieno titolo i criteri sia di sostenibilità ambientale che e sociale e, dalla prossima stagione sportiva, andranno rispettati per ottenere la licenza UEFA e partecipare quindi alle competizioni europee.

A livello di club siamo particolarmente orgogliosi di essere entrati nell’Eca Sustainability Working Group: siamo uno dei 26 club presenti da tutta Europa. L’obiettivo, confrontandosi e discutendo le best practice di ogni club, è far avanzare la football industry a livello di sistema e, se siamo stati scelti, vuol dire che qualcosa di buono lo stiamo facendo.

È un rapporto molto positivo. La Lega ha pubblicato a settembre la propria sustenaibility strategy, frutto del lavoro di un anno. Hanno creato un ufficio dedicato con il quale i club hanno uno sharing continuo e molto dialogo: nessuna imposizione dall’alto ma confronto costruttivo.

E con gli altri club? Esiste un dialogo o permane un clima competitivo?

C’è meno competitività di quanto si possa pensare su queste tematiche. Certamente, finché i progetti non vengono lanciati non si condividono ma vale un po’ per tutto. Le best practice si condividono e si prende spunto: io spesos in trasferta voglio vedere cosa organizzano onsite il giorno della gara. Ad esempio sono rimasta colpita dal servizio di radiocronaca per gli ipovedenti di Milan e Inter e i colleghi mi hanno spiegato tutto nel dettaglio; oppure dalla Roma mi hanno chiesto tante informazioni sul Bologna for Community per creare qualcosa di analogo.

Quanto è difficile comunicare e cogliere l’interesse dei tifosi su questi progetti?

I tifosi sono il cuore pulsante del club, questo è imprescindibile. Per quanto possono sembrare dei temi staccati dal mondo calcio, quando comunichiamo qualcosa che viene fatto per la comunità scatta un moto d’orgoglio che porta la fanbase a dire sono fiero che la mia squadra si impegni su questo o quest’altro fronte.

E i calciatori come si pongono davanti alle iniziative? Possono diventare testimonial o comunque dei “veicoli” per aumentare il livello d’attenzione?

I calciatori sono veicoli fondamentali, rappresentano un asset molto importante per promuovere le buone pratiche. Sono sempre e comunque modelli da seguire e, soprattutto per i più giovani, se un qualcosa viene fatto dai giocatori c’è maggiore incentivo nel farlo a propria volta. Noi siamo fortunati perché nella prima squadra giocano ragazzi che mettono molta attenzione su questi temi: sono sempre disponibili e spesso proattivi.

Molti sponsor sono già parecchio attivi e ci tengono molto a questa tematiche, per cui cerchiamo di includerli progettualità valoriali, al netto della sponsorizzazione in sé. Spesso le aziende di grandi dimensioni hanno reparti dedicati, hanno progetti e vogliono collaborare ridando qualcosa al territorio. Abbiamo addirittura partner che si affiancano principalmente a progetti di valore e questo è un grande risultato.

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