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·10 novembre 2020
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·10 novembre 2020
Al momento della firma di Sebastián Sosa non c’era troppo ottimismo in casa Independiente: dopo un’estate vissuta principalmente all’insegna delle partenze pesanti, affidare la porta lasciata vuota da un validissimo numero uno come Campaña, andato in Arabia Saudita, a un altro uruguaiano ma decisamente più stagionato, non sembrava la scelta più corretta.
Ma nonostante i 34 anni d’età e la lunga assenza dal calcio argentino, Sosa si è dimostrato un portiere di grande livello, capace di lasciare un segno già nelle prime quattro apparizioni con la maglia del Rojo. Personaggio sicuramente pittoresco, tanto da sfoggiare nel suo nuovo look rasato a zero un leone tatuato sulla nuca, è stato trascinatore nei primi risultati stagionali della squadra, a partire dalla doppia sfida con l’Atlético Tucumán di Copa Sudamericana in cui sono state più decisive le sue parate rispetto alla mole di gioco prodotta dai suoi compagni di squadra.
Ma poi, come se non bastasse, ha aggiunto anche un repertorio mistico al suo pedigree. D’altronde il personaggio è molto incline a questo tipo di bizzarrie, ma non ce lo saremmo aspettato nelle vesti dell’indovino: recentemente aveva detto in un’intervista a un media argentino che avrebbe parato sicuramente il prossimo rigore . “Non ho alcun dubbio, il prossimo rigore che mi tireranno lo parerò“.
E così contro il Colón le sua abilità premonitorie sono state messe alla prova, e alla fine ha vinto lui: perché sul rigore calciato da Emanuel Oliveira, che avrebbe potuto dare la vittoria al Sabalero visto il punteggio di 1-1, Sebastián Sosa ha intuito l’angolo e respinto il tiro. Lo scetticismo scacciato con la sua esperienza, ma soprattutto con la sua personalità: un portiere che fatica a non farsi notare, un po’ per il suo portamento, un po’ per le sue abilità. Il calcio argentino lo aveva dimenticato, lasciandolo in Messico per tanti anni nonostante un passato di assoluto rilievo con le maglie di Vélez e Boca Juniors, dove stato anche una serissima alternativa a un’istituzione come Orión. Era finito a giocare in una realtà modesta come il Mazatlán, e solo una situazione critica come quella dell’Independiente gli ha potuto dare una nuova chance nel paese che dopo l’Uruguay gli ha dato maggiormente in carriera.
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