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·8 gennaio 2020

Sadio Mane, l’arte di ricordare da dove si proviene

Immagine dell'articolo:Sadio Mane, l’arte di ricordare da dove si proviene

Si parla molto negli ultimi giorni di Sadio Mane. Intendiamoci, parliamo di uno dei giocatori più forti nel panorama mondiale. Un calciatore capace di ritagliarsi uno spazio fondamentale in un attacco stellare con due fenomeni in grado di conquistare qualsiasi copertina di giornale con una singola giocata. Un fiero capitano di una nazionale in cui gioca Kalidou Koulibaly, altro conoscitore del gioco del pallone a grandi livelli. Un uomo, e sembra quasi strano ricordarlo per quello che è lo stereotipo del calciatore moderno glamour e social, che non ha mai dimenticato da dove proviene.

Sédhiou e la sua prima partita

Sadio Mane nasce a Sédhiou, nel sud del Senegal. I chilometri di distanza dalla capitale Dakar sono 400, da percorrersi per un tratto sul suolo di quella lingua di terra che prende il nome da uno dei più importanti fiumi dell’Africa occidentale: il Gambia. Cresce scalzo, nascondendosi dai genitori che non vogliono vederlo mentre perde a causa del calcio tempo che potrebbe più proficuamente impegnare per lavorare o studiare. Nasce in una famiglia molto religiosa e questo lo accompagnerà per tutta la vita, persino ora, persino al Liverpool, dove la fede islamica di Mane e Salah sembra miscelarsi senza problemi con quella cristiana dei brasiliani.


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Ma torniamo al Senegal: nel 2007, a 15 anni, mente ai genitori e prende un bus per Dakar. Vuole fare un provino, ma ha delle scarpe praticamente di cartone e dei pantaloncini che non sembrano neanche adatti per giocare a calcio. «Sono venuto con quello che ho» dice ad un allenatore che lo guarda quasi irridendolo. Poi parla chiaramente il campo: quel folletto mingherlino di 1,70 deve rimanere nella capitale. Lo prende la Génération Foot, squadra di Dakar che, oltre a fungere da vivaio in Senegal del FC Metz, si impegna anche nel sociale assicurando un’educazione gratuita a tutti i propri tesserati.

Poi a 17 anni viene spedito proprio a Metz, nella Lorena. Da qui la sua storia è più o meno nota: un paio d’anni in prima squadra in Francia, poi Salisburgo, dove in due stagioni si mangia qualsiasi avversario. Nel 2014 la chiamata del Southampton, con la cui maglia realizza la tripletta più veloce nella storia della Premier League. Avversario l’Aston Villa, 2 minuti e 56 secondi, battuto il record di Robbie Fowler al Liverpool che resisteva da un ventennio.

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I rapporti al Liverpool

Proprio i Reds sono nel suo destino. Jurgen Klopp lo chiama nell’estate del 2016 spendendo £34 mln per prelevarlo senza ulteriori indugi, in un periodo storico in cui ad Anfield approdano molti calciatori dalla costa sud. L’arrivo di Mane in rosso si può sintetizzare con una frase passata alla storia qualche secolo fa: veni, vidi, vici. Alla prima partita Sadio Mane irride mezza difesa dell’Arsenal e piazza sotto l’incrocio un sinistro terrificante che dà alla propria squadra la certezza della vittoria.

Continua per tutto il 2016 a ritmi incessanti, ma dopo il giro di boa ha una flessione. A gennaio va in coppa d’Africa. Arrivano i quarti di finale contro il Camerun, arrivano i calci di rigore. Sadio si prende la responsabilità di tirare l’ultimo rigore, lo sbaglia e i leoni senegalesi vanno a casa. Torna nel Merseyside e dopo un paio di mesi si infortuna, ponendo fine alla propria stagione. Il nuovo campionato non parte al meglio: Sadio si sposta sulla fascia sinistra per lasciare spazio sulla destra ad un Mohamed Salah molto prolifico sin dal suo arrivo. Il suo rendimento non decolla, ma è tutto il Liverpool che fa fatica almeno fino all’arrivo di van Dijk.

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Il suo rapporto con gli altri calciatori non è male. Personaggio taciturno, quasi schivo, poco appariscente e che bada al sodo. Se fa una cavolata, se ne rende subito conto e chiede scusa. Come a Manchester nel 2017 contro il City, quando compie un intervento su Ederson che sembra più un tentato omicidio che un colpo proibito. Si prende un meritato rosso, va negli spogliatoi e nel post-partita chiede sinceramente scusa al proprio avversario, sia nel privato che sui social.

Parla piuttosto bene l’inglese ma non ha un vero e proprio amico del cuore: «he walks alone» dice una volta ridendo Salah sul canale YouTube del Liverpool in un’intervista. Poi nel 2018 arriva Keita e anche la questione amico del cuore trova un suo compimento. Entrambi dell’Africa occidentale, entrambi francofoni, ed entrambi fatti l’uno per l’altro visto che Keita passa la maggior parte del tempo a creare scherzi al suo amico e Mane tenta di vendicarsi quando l’altro meno se lo aspetta. Come se non bastasse, il guineano non si fida del proprio inglese mentre Mane se la cava piuttosto bene e lo aiuta.

Anche con Firmino sembra esserci un bel rapporto. E chi non ce l’ha con un mago di tale livello che aggiunge alle sue abilità anche una massiccia dose di altruismo? Solo che loro sembrano andare oltre. Il motivo è molto semplice: Mane non ha una sua esultanza, Firmino ne sfoggia tre o quattro nuove al mese. Allora il senegalese comincia a copiargliele, con il suo compagno che lo guarda divertito ogni volta che la palla va in fondo al sacco. Solo che, soprattutto nel 2019, il numero 10 la mette dentro tante volte: 22 gol in campionato lo scorso anno, 10 solo nella prima parte di questa stagione. Doppietta in Supercoppa Europea. Il tutto essendo dei tre davanti quello che chiaramente tocca meno palloni degli altri.

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Ricordarsi da dove si proviene

Ieri sera il giocatore senegalese ha ricevuto il premio come miglior giocatore africano del 2019. I concorrenti da battere non erano esattamente scarsi: Momo Salah e Riyad Mahrez. Ha vinto, ha ritirato il premio, ha esibito il suo miglior sorriso. Ci sovvengono le parole che ha pronunciato in un’intervista qualche mese fa, quando venne stuzzicato sul perché, con uno stipendio da £5 mln l’anno, non li spendesse in beni di lusso come molti suoi colleghi. Ha risposto nel modo più naturale possibile: «perché vorrei volere delle Ferrari, venti orologi di lusso, o due aerei privati? Cosa mi darebbero questi oggetti?». Poi ha proseguito: «da bambino avevo fame, ho lavorato nei campi. Ho vissuto tempi non facili, ho giocato a calcio scalzo e mi mancavano molte cose. Oggi grazie al calcio ho vinto e posso aiutare la mia gente».

Sadio Mane dona ogni giorno £70 sterline a persone in una piccola regione del Senegal particolarmente povera. Ha aiutato a costruire una moschea e uno stadio. La scorsa estate è tornato dalle sue parti per visionare lo stato dei lavori di costruzione di una scuola che sta contribuendo a costruire donando $300.000. Torna spesso a Bambali, il villaggio vicino Sédhiou da cui partì il suo viaggio per Dakar nel 2007. Perché Sadio Mane, come altri giocatori africani, non ha solo affrontato un lungo viaggio: non dimentica mai da dove viene.

di Daniele Calamia

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