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·11 luglio 2025

Sabatini: «A Roma chiamavano Luis Enrique in questo modo. Ora è il migliore»

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Sabatini: «A Roma chiamavano Luis Enrique in questo modo. Ora è il migliore». Le parole dell’ex dirigente giallorosso sul tecnico del PSG

Fu lui, insieme a Franco Baldini, a portare a Roma un’utopia, l’idea di un calcio rivoluzionario che per una stagione accarezzò la Capitale. Walter Sabatini è l’uomo che nel 2011 scelse Luis Enrique, l’«hombre vertical», per guidare la prima Roma americana, un progetto tanto affascinante quanto incompreso da un ambiente che, come racconta lo stesso Sabatini, non lo trattò «decorosamente». Oggi, con quel tecnico sul tetto del mondo dopo aver demolito il Real Madrid e conquistato la finale del Mondiale per Club con il suo PSG, nessuno meglio dell’ex direttore sportivo può analizzare la trasformazione del tecnico spagnolo. In una lunga intervista a La Gazzetta dello Sport, Sabatini svela i retroscena di quell’annata romana e spiega perché lo stesso uomo, con la stessa filosofia, oggi è semplicemente il migliore.

SI RICORDA DI LUIS ENRIQUE – «Certo, ho affetto e stima profonda sia per l’uomo sia per l’allenatore. Me lo segnalò Dario Canovi, che era in contatto con il suo agente. Poi mandai Ricky Massara e Pasquale Sensibile a vedere un paio di partite del Barcellona B. E tornarono estasiati dal suo modo di giocare».


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LA CRESCITA DELL’UOMO – «È cresciuto e invecchiato. Ma soprattutto è passato da una tragedia immensa come la scomparsa di Xenia, la figlia. Ma Luis ha saputo reagire in modo superbo, con una dignità eccezionale: non vuole essere compianto, consolato. È come se avesse un patto segreto e intimo con la figlia, quasi come se si parlassero. È una questione di fede e credo che ogni sua vittoria o esultanza sia dedicata alla bambina».

IL PSG “INGIOCABILE” – «Oggi è la squadra più forte di tutte, guidata dal miglior allenatore del mondo. Giocano con un’autorità e un ottimismo incredibile. Pensano di riuscire a fare qualsiasi cosa perché poi con la palla fanno qualsiasi cosa. Contro ogni avversario. Hanno dei talenti incredibili, giocatori di uno spessore superiore. E Luis riesce a fargli giocare un calcio sublime e concreto: movimenti incessanti, cambi di posizione e di ruolo. I giocatori hanno una fede incrollabile in ciò che fanno e questo è sicuramente un merito dell’allenatore».

LA DIFFERENZA CON IL PSG DELLE STELLE – «Perché quelli erano giocatori straordinari, ma non disponibili al sacrificio. Guardate invece come gioca oggi Dembélé, con una generosità eccezionale. O Kvaratskhelia, che rincorre l’avversario per 60 metri… E poi Desire Doué, che è il più forte di tutti, ma è sempre pronto al sacrificio. Il Psg è una squadra piena di fede e orgoglio».

VINCERA’ IL MONDIALE – «Penso di sì. Anzi, senza il penso. Sì, lo vince. Luis Enrique lì è riuscito a realizzare il suo progetto calcistico, quello che voleva mettere in piedi anche a Roma. Ma sono contento di quanto sta facendo Maresca al Chelsea. È un allenatore bravo, giovane, uno che fa bene al calcio italiano».

PERCHÉ A ROMA NON FUNZIONÒ – «Semplice, l’ambiente non lo ha trattato decorosamente, c’è chi lo chiamava addirittura Stanlio. E lui di tutto ciò rimase dispiaciuto. Io, Baldini e Pallotta lo abbiamo supplicato di restare, ma non ne ha voluto sapere. Il Psg ha rinunciato alla propria strategia di acquisire giocatori, puntando tutto sui giovani. Ecco, se a Roma avesse trovato la stessa fiducia che ha trovato a Parigi allora sarebbe stato diverso».

LA SUA ROMA AVEVA GIOVANI DI LIVELLO – «Sì, ma ci sarebbe voluto un indirizzo comune e forse qualche errore l’abbiamo commesso anche noi con lui. Ma Luis era l’idolo dei giocatori, tranne due o tre. De Rossi era affascinato, veniva spesso nel mio ufficio per dirmi che gli sembrava la prima volta che giocava al calcio visto che Lucho chiedeva ai giocatori cose a loro sconosciute».

L’UOMO E L’ALLENATORE – «Le due cose coincidono, perché se sei un bravo psicologo ma un somaro sul campo i giocatori poi ti scoprono subito, immediatamente. Lui poi è una persona di spessore notevole, a livello umano ma anche intellettuale».

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