🏆 Real-Dortmund, la finale del passato e del futuro: perché è speciale ✍️ | OneFootball

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Diego D'Avanzo·1 giugno 2024

🏆 Real-Dortmund, la finale del passato e del futuro: perché è speciale ✍️

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Probabilmente non sarà la finale che ci aspettavamo, non sarà quella dal tasso tecnico più alto ma sicuramente – e a sorpresa – sarà quella che evocherà i ricordi più lontani e darà uno squarcio netto sul futuro.

Real Madrid-Borussia Dortmund sarà una finale agrodolce da qualsiasi lato la si voglia guardare: la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova che si mescolano attraverso le scelte di chi questa epoca l’ha segnata e la sta segnando con le sue azioni. Ecco perché questa finale rappresenta il passato e il futuro.


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Due addii imperfetti: Kroos e Reus

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Toni Kroos ha rappresentato la capacità di scegliere il momento giusto per andarsene di casa e aspirare a mete più grandi: ha lasciato il Bayern Monaco nel 2014 prima che ne diventasse una bandiera, perché uno con la sua mentalità sarebbe potuto diventare soltanto il rappresentante del meglio assoluto, oltre che di sé stesso.

Fin da bambino non ha mai battuto ciglio davanti alle pressioni che tutti gli hanno sempre posto sulle spalle e ha saputo essere presente nei momenti e posti decisivi, ben visibile nonostante un ruolo che spesso porta a fare un “lavoro oscuro”. “Toni Kr8s” – come recita il suo nome Instagram – è stato il numero 8 della modernità e ha restituito perfettamente il senso di onnipresenza: dove si è fatta la storia, lui c’era. In Nazionale e nel Real Madrid.

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Marco Reus è stato l’opposto. Lui ha incarnato il vuoto che si prova quando fai tutto giusto ma perdi lo stesso e allora non ti resta che piangere come lui ha fatto, dopo quel pareggio imponderabile (e a posteriori ineluttabile) contro il Mainz dell’anno scorso. “Non sempre c’è una lezione, a volte fallisci e basta”, questo è stato il mantra dei momenti che dovevano essere apicali e invece sono stati abisso profondo, per Marco Reus.

Oltre alla sciagura col Mainz, quell’infortunio prima del Mondiale 2014 (in cui Kroos è stato MVP nel 7-1 al Brasile), 7 secondi posti in Bundesliga, zero Meisterschale e 9 finali perse è il bottino dei suoi rimpianti. In cambio Reus si è conquistato il legame con la sua gente che solo il dolore può rendere così stretto: “Io appartengo a Dortmund”, un sentimento che vale ben di più dei 5 titoli vinti, quasi palliativi, tra Coppe e Supercoppe di Germania.

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E le differenze tra i due si vedranno a prescindere dal risultato: Kroos continuerebbe nel percorso sempre battuto, con un’altra coppa alzata da quel profilo immacolato e quasi granitico. Per Reus sarebbe lo straordinario, una liberazione inedita, un consolidamento mai avvenuto che anche il suo fisico manifesta: magro, elegante e fragile come non avrebbe voluto essere.

Come finirà, sarà comunque un risultato che lascerà un senso d’imperfezione nell’immagine dell’altro.


Pallone d’Oro, la nuova era: Bellingham vs Vinicius

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Chi invece sembra uscito da un videogioco è Bellingham: alto, senza un’imperfezione, doppio fade ai capelli come fosse andato dal barbiere di GTA VI. Ma soprattutto talmente poliedrico da aver maxato qualsiasi statistica: tuttocampista, attaccante, Mamba-mentality, gol, sorriso smagliante, enfant prodige e una prima parte di stagione al Real Madrid come nessuno mai. Da Pallone d’Oro senza dubbio, se non fosse per il prosieguo dell’annata.

Nella seconda parte di stagione e nei momenti decisivi è calato ma il Real Madrid è arrivato comunque in finale di Champions alla sua folle maniera. Da protagonista ha sperimentato cosa vuol dire che “90 minuti en el Bernabeu son molto longo” e il miedo escenico l’ha subìto un po’ anche lui quando contava davvero. Ma in un solo anno ha riscritto il concetto di “completo” sul campo da calcio e una fetta del Pallone d’Oro se lo gioca nella finale di questa sera. L’avversario ce l’ha al suo fianco.

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Perché l’altro candidato a vincere dopo la definitiva conclusione dell’era Messi-CR7 (con le “intrusioni” di Benzema e Modric) è Vinicius Jr, ormai costantemente on fire e capopolo del fomento nei blancos. 23 gol stagionali e 11 assist per l’uomo che restituisce il senso di pericolosità più netto con la palla al piede, oggi al Mondo non c’è nessuno come lui.

Una prestazione da protagonista in finale lo avvicinerebbe sensibilmente al Pallone d’Oro che sarebbe il primo di un brasiliano dai tempi di Kakà, l’ultimo prima del duopolio. Il giudizio finale ce l’avranno gli Europei (in cui non è da escludere Foden) e la Copa America di ques’estate. La sfida però è tra loro due, lo ha detto pure Ancelotti: “Se la giocano”, e noi non aspettiamo altro.