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Mario De Zanet·24 maggio 2022

Perché questo Milan non sarà così facile da migliorare 🇮🇹

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Passano le ore, e non evapora l’entusiasmo diffusosi a Milano, sponda rossonera, tra fumogeni e cori che a volte vanno un poco oltre.

Il Milan stuzzica l’Inter, ma, indipendentemente da quanto si pensa sui cori e gli striscioni partiti dal pullman scoperto, i rossoneri hanno coltivato questo titolo con una magia interna che lo rende meritato.


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Per l’evoluzione di questo gruppo, per le innumerevoli risorse, per i mattoncini apposti da chiunque. La natura di questo successo è legata al collettivo, per quanto l’esplosione di determinati singoli sia stata determinante.

Il variegato contributo garantito da ogni singolo rende il calciomercato un’operazione delicata: questo Milan è assolutamente migliorabile, ma serve usare cautela, essendo vincente grazie ad un’alchimia di gruppo che sembra impeccabile.

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Gruppo non si intende solo retorica e spogliatoio, ma anche tattiche e peso in campo, con responsabilità distribuite, senza la presenza di alcuna stella nettamente superiore: l’unico, il totem, è Zlatan Ibrahimovic, un uomo dall’ego smisurato che ha saputo mettere la sua personalità straripante al servizio della squadra.

Sono quindi equilibri interni complessi da toccare, ad esempio sulla trequarti: serve davvero rinforzarla? O è bene affidarsi all’ulteriore crescita di Leao, senza qualcuno che possa ingombrarne un possibile salto di qualità, che significherebbe diventare un campionissimo?

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Questo Milan, evidentemente inferiore ad altre squadre per tasso tecnico, é paradossalmente più complicato da migliorare, proprio perché ha sopperito alle mancanze con altri aspetti, alcuni tangibili altri meno, che non devono essere spezzati.

In tal senso, la dirigenza del Milan ha dimostrato un anno fa di essere molto cauta: l’erede di Calhanoglu è stato a lungo cercato, ma nessuno dei profili disponibili per budget era stato ritenuto adatto. Così Maldini e Massara hanno proseguito dritti, assumendosi la responsabilità di affidarsi a colui che inizialmente non sembrava essere la prima scelta, Brahim Diaz.

Una scelta, alla lunga, determinante: lo spagnolo è calato nel corso della stagione, ma la filosofia ha pagato, con il cerchio chiuso nelle ultime 3 partite, in cui l’erede di Calhanoglu, con funzioni ovviamente diverse, è stato Rade Krunic.

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La filosofia rossonera non è cambiata: Origi, Botman e Renato Sanches, tutti destinati a vestire il rossonero (così pare) hanno quell’identità. Il Milan rifiuta l’idea di un colpo di berlusconiana memoria, e prosegue dritto nella strada che ha portato a non rimpiangere Calhanoglu e Donnarumma: una filosofia che paga, una filosofia che deve essere affiancata da una conoscenza profonda.

Una conoscenza necessaria a ritoccare senza strafare, a migliorare senza rompere: quando c’è di mezzo un sistema tanto oliato, con tanti pezzi ugualmente rilevanti, si tratta di un lavoro tutt’altro che facile.