Pellissier e il suo grido d’allarme: «Il Chievo non ha un centro sportivo. Ecco come si è comportato Campedelli, sul marchio hanno fatto alzare il prezzo» | OneFootball

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·3 giugno 2025

Pellissier e il suo grido d’allarme: «Il Chievo non ha un centro sportivo. Ecco come si è comportato Campedelli, sul marchio hanno fatto alzare il prezzo»

Immagine dell'articolo:Pellissier e il suo grido d’allarme: «Il Chievo non ha un centro sportivo. Ecco come si è comportato Campedelli, sul marchio hanno fatto alzare il prezzo»

Le parole di Sergio Pellissier, leggenda e ora dirigente del Chievo Verona, con il sogno di riportare i clivensi in alto

Quando si parla di bandiere nel calcio italiano, di fedeltà incrollabile a una maglia e di un legame che trascende il campo, il nome di Sergio Pellissier emerge con la forza di un’icona. Per quasi due decenni, l’attaccante valdostano è stato il cuore pulsante, il capitano e il bomber implacabile del Chievo Verona, incarnando l’anima della “favola” di un piccolo quartiere capace di sfidare i giganti della Serie A. Le sue innumerevoli battaglie, i gol decisivi – oltre 100 nella massima serie con i clivensi – e le oltre 500 presenze lo hanno consacrato come leggenda indiscussa del club gialloblù, un simbolo di dedizione che ha scritto le pagine più gloriose della sua storia. Oggi, appese le scarpe al chiodo, quella passione e quell’attaccamento viscerale non si sono affatto spenti. Sergio Pellissier ha raccolto l’eredità spirituale del suo Chievo, trasformandosi in dirigente: di seguito le sue parole a la Gazzetta dello Sport.

VALDOSTANO – «Mio papà era il macellaio del paese. Da bambino ho praticato tutti gli sport della neve, slittino e bob inclusi. A 14 anni ho smesso perché il calcio stava diventando importante e non volevo rischiare un infortunio sugli sci o con altri mezzi. Da allora non ho più sciato, proprio mai».


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CAMPEDELLI – «Credo che Campedelli, a un certo punto, immaginasse di far salire il Chievo a un livello superiore. Dovevamo andare avanti con le persone che amavano il Chievo e lo consideravano una famiglia, ma quelle persone non c’erano più».

L’ASTA PER IL MARCHIO CHIEVO – «Campedelli non si è presentato, ma c’erano dei dirigenti del Vigasio (un club del Veronese, ndr) con cui Campedelli aveva rapporti. Si partiva da una base di 100mila euro e a furia di rilanci ci siamo aggiudicati il nome e il marchio a 330mila più Iva, quasi 400mila. Sapevamo che ci avrebbero potuto fare questo scherzetto. Ci hanno fatto impegnare dei soldi che avremmo potuto investire nella rinascita».

IL NUOVO CHIEVO IN SERIE D – «Abbiamo una base di 800 soci, con quote disparate, c’è chi ha messo 250 euro, ma sono entrati in consiglio due imprenditori che, con un aumento di capitale, hanno acquisito la maggioranza del club, Gigi Tavernise e Pietro Laterza, costruttori edili. Ora siamo solidi. Io ho la carica di presidente onorario e direttore sportivo, mi occupo del mercato».

L’OBIETTIVO – «Penso un passo alla volta. Penso alla Serie D, un campionato complicato. Penso che non abbiamo un centro sportivo (il Bottagisio, la vecchia casa del Chievo, se l’è aggiudicato il Verona all’asta, ndr)».

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