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·26 maggio 2025
Pato: «La fede mi ha sempre dato forza; io fragile? Non è vero; nessun rammarico, ma vorrei ancora giocare nel Milan»

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·26 maggio 2025
Alexandre Pato si racconta in una lunga intervista a la Gazzetta dello Sport: il brasiliano racconta i suoi anni al Milan tra ricordi felici e momenti difficili. Di seguito le parole dell’ex Rossonero.
LA FEDE COME FORZA – «È merito della fede. Tutto quello che succede dipende da Dio, che mi ha fatto superare gli infortuni, mi ha fatto maturare come uomo e realizzare i miei sogni. A 12 anni passai con la mia famiglia davanti a un palazzo bellissimo e dissi ai miei genitori che un giorno saremmo andati a vivere lì. E sei anni dopo comprai l’appartamento. Noi pensiamo di decidere, ma è sempre la Sua volontà. Con mia moglie Rebeca abbiamo provato a lungo ad avere un figlio, alcune gravidanze purtroppo si sono interrotte, non abbiamo smesso di sperare e di pregare e poi è arrivato Benjamin. Ecco perché non ho rimpianti, nemmeno l’esclusione dal Mondiale 2010 che pensavo di meritare, e prendo con serenità ogni momento della vita. In passato si è detto che fossi depresso, che facessi uso di alcool: tutte sciocchezze. La fede mi ha sempre fatto stare bene».
LA LOTTA AL TUMORE E L’INIZIO DELLA CARRIERA – «Certo. E la storia lo dimostra. La mia famiglia non aveva soldi e nemmeno un’assicurazione sanitaria. Papà mostrò un mio video in campo al dottor Paulo Roberto Mussi, che decise di operarmi gratis. Da lì sono andato velocemente. Non durò molto il provino all’Internacional: il tempo di uno stop di petto e un passaggio di prima. Preso. A 12 anni mi trovai da solo a Porto Alegre, non fu semplice. A 16 anni esordii e a 17 vincemmo il Mondiale per club a Yokohama: in semifinale segnai contro l’Ah-Ahli diventando il più giovane marcatore di un torneo Fifa. Il primato era di Pelé. Può immaginare cosa potesse significare per me… In finale battemmo il Barcellona di Ronaldinho, Xavi, Iniesta».
LA SCELTA DEL MILAN – «Avevo altre offerte, ma giocavo tanto alla playstation e i campioni che sceglievo facevano quasi tutti parte del Milan. Era come entrare nella playstation. Braida venne a trovarmi in Brasile, Ancelotti mi studiò dal vivo in Canada al Mondiale Under 20. Decisi in fretta. Poi ho dovuto pazientare qualche mese perché a fine mercato estivo ero ancora minorenne. E a gennaio esordii contro il Napoli: aspettavo tanto quel momento, lo aspettavano i tifosi. Segnai subito e l’urlo di San Siro lo porto ancora dentro di me. Mi manca San Siro, mi manca il Milan. Darei tutto per indossare ancora quella maglia: mi basterebbero sei mesi per restituire l’amore che ho sempre sentito e per aiutare il club».
LA CARRIERA DOPO IL MILAN – «L’ultima partita è del 21 settembre 2023, ma continuo ad allenarmi da solo. Tornerei solo per il Milan. Ho fatto tante esperienze nella mia carriera: alcune belle, altre deludenti. Ho gioito, ho sofferto, ho imparato. Sono cresciuto come uomo e non solo come calciatore. Adesso guardo le cose sotto un altro punto di vista, ma vorrei davvero indossare di nuovo la maglia del Milan e farlo con grandissimo impegno e serietà».
IL MOMENTO PIÙ BELLO AL MILAN – «La doppietta nel derby-scudetto del 2011. Quell’anno segnai 14 gol in 25 partite, con Ibra e Robinho mi trovavo benissimo. La sfida con l’Inter a pochi turni dalla fine era decisiva e, a proposito dell’urlo di San Siro, dopo i miei due gol lo stadio esplose».
GLI INFORTUNI SPIEGATI – «Non ero fragile, mi allenavo bene, curavo l’alimentazione, ero disciplinato. Nella mia famiglia tutti erano fisicamente forti. Probabilmente sono cresciuto velocemente e avrei avuto bisogno di fare esercizi specifici che mi aiutassero a non correre rischi. Ogni volta che mi fermavo perdevo forza e massa muscolare. Avevo una struttura particolare, che forse non è stata assecondanta abbastanza: in partita facevo numerosi scatti da 34-35 chilometri orari».
IL MANCATO TRASFERIMENTO AL PSG – «Non fui io a rifiutare e nemmeno Barbara a fare pressioni. Al Psg c’erano Ancelotti e Leonardo, che anni prima mi avevano consigliato al Milan. Mi proposero uno stipendio da 8 milioni netti. Io accettai e dissi al Psg di trovare un accordo con il Milan. All’improvviso mi telefonò Silvio Berlusconi: “Non accettare, sei la nostra stella, puntiamo su di te per la Champions”. Non potevo dirgli di no. Fu il presidente a decidere, non io e nemmeno Barbara. Poi la colpa fu data al più fragile, cioè io».
IL RAPPORTO CON BARBARA BERLUSCONI – «Non la sento da tanto tempo. Però ho un bellissimo ricordo della nostra storia: due ragazzi che stavano bene insieme senza farsi troppe domande».
ANSELOTTI E IL BRASILE – «Sono contentissimo e spero di incontrarlo. Ha una rosa di ottimi giocatori, ma gli servirà l’aiuto di tutti. Con Carlo abbiamo la speranza di vincere il prossimo Mondiale».
COSA FA OGGI PATO – «Investimenti in diversi campi. Ho una palestra con mio fratello, ho comprato da poco un club con otto campi da tennis su cui vorrei aiutare i bambini a diventare professionisti. Faccio diversi corsi di formazione e potrei anche investire nel Monza: un fondo si è interessato. E mi godo Rebeca e Benjamin».