Calcio e Finanza
·31 maggio 2025
Operazione illecita e mancati controlli: perché il Brescia è stato penalizzato

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·31 maggio 2025
Dopo la decisione di sanzionare il Brescia con 8 punti di penalità (4 da scontare nel 2024/25 e 4 da scontare nel 2025/26), il Tribunale federale nazionale ha pubblicato anche le motivazioni che lo hanno portato a emettere la sentenza che, per il momento, condanna il club di Massimo Cellino alla retrocessione in Serie C.
Alla base del deferimento vi è una segnalazione trasmessa dalla Covisoc (Commissione di Vigilanza sulle Società di Calcio) in data 17 maggio 2025, con la quale si denunciava che il Brescia non aveva regolarmente versato, rispettivamente entro il 17 febbraio 2025 e il 16 aprile 2025, una quota parte delle ritenute IRPEF e dei contributi INPS dovuti per le mensilità di novembre e dicembre 2024, gennaio 2025 e febbraio 2025 (per un totale complessivo di circa 1.885.161 euro).
La Covisoc ha segnalato in particolare che, pur formalmente risultando quorum di pagamento, gli importi erano stati “coperti” non tramite bonifici o versamenti diretti, ma mediante l’impiego in compensazione di crediti di imposta acquistati da terzi, in particolare dalla società Gruppo Alfieri SPV.
Nel dettaglio, la Covisoc evidenziava che i cosiddetti “crediti di imposta” utilizzati dal Brescia risultavano inesistenti o non legittimamente compensabili, secondo quanto accertato dall’Agenzia delle Entrate. Di conseguenza, laCovisoc trasmetteva tali atti—compresi i modelli F24 impiegati per le compensazioni, i contratti di cessione dei crediti di imposta e la nota dell’Agenzia—alla Procura Federale.
Il 22 maggio 2025 il Procuratore Federale inviava formale atto di deferimento al Tribunale Federale Nazionale, contestando al Brescia Calcio e ai suoi rappresentanti (il Presidente Massimo Cellino e l’Amministratore Delegato Edoardo Cellino) la violazione degli articoli 4, 31 e 33 del Codice di Giustizia Sportiva, in combinato con l’articolo 85 delle NOIF (Norme Organizzative Interne della FIGC), così come:
Il difetto sostanziale, secondo l’accusa, non stava tanto nel non avere la liquidità necessaria (che pure veniva formalmente mostrata tramite quietanze), bensì nel modo illecito in cui il Brescia tentava di estinguere quei debiti: utilizzando crediti di imposta “orizzontali” acquisiti a prezzi stracciati da una società veicolo appena costituita e dal capitale sociale irrisorio, alla quale non risultava alcuna comprovata disponibilità di crediti effettivi e, soprattutto, che l’Agenzia delle Entrate avrebbe ritenuto di fatto “inesistenti” o “irregolari”.
Nel dettaglio, la motivazione della sanzione risiede innanzitutto nel mancato effettivo versamento degli oneri fiscali e previdenziali nonostante risultassero “formalmente” pagati. Dal momento che i crediti di imposta compensati si sono poi rivelati inesistenti o irregolari, i corrispondenti debiti IRPEF/INPS non sono stati mai estinti. Inoltre, l’uso di meccanismi di compensazione orizzontale in assenza dei requisiti previsti dall’art. 17 D.Lgs. 241/1997 rende illegittima l’operazione, come rilevato espressamente dall’Agenzia delle Entrate. L’articolo di cui sopra disciplina la “compensazione orizzontale”, permettendo al contribuente di estinguere, tramite crediti tributari (es. IVA) di cui è titolare, debiti di altra natura (es. IRPEF, INPS) nei confronti dello Stato e degli enti previdenziali. Tuttavia, ciò è consentito solo se il debitore e il titolare del credito coincidono: in sostanza, solo se la stessa persona fisica o giuridica può vantare quel credito “all’origine” (per esempio, se ha effettivamente prodotto un eccesso di IVA a credito).
Nel caso del Brescia, i “crediti IVA” non erano crediti maturati direttamente dalla società sportiva, bensì ceduti (al 77% del valore nominale) da una società terza (Gruppo Alfieri SPV), specializzata—almeno sulla carta—nella cartolarizzazione dei crediti.
La seconda motivazione della sanzione riguarda la gravità dell’illecito, perché i debiti fiscali e previdenziali di una società professionistica sono strettamente collegati alla sua stabilità economico-finanziaria e alla trasparenza di bilancio, elementi fondamentali per garantire la “parità di trattamento” nelle competizioni. Un club che non onora i propri obblighi verso l’Erario e l’INPS mette a rischio l’equilibrio del sistema sportivo, creando un vantaggio illecito rispetto a chi paga regolarmente.
Il Tribunale federale nazionale ha evidenziato inoltre la responsabilità diretta Brescia e dei suoi rappresentanti di vertice: Massimo ed Edoardo Cellino. È stata evidenziata la totale mancanza di diligenza nella scelta di un “fornitore fiscale” (Gruppo Alfieri SPV), che non risultava in possesso di crediti reali e aveva struttura finanziaria fragile. Nonostante i primi segnali di sospetto (cointeressamento della Covisoc e comunicazioni dell’Agenzia delle Entrate in merito a precedenti analoghe anomalie con il Trapani), i Cellino hanno continuato a rinnovare l’operazione, aggravando la loro posizione.
Hanno inoltre dimostrato – secondo il Tribunale – di non aver adottato alcun “piano B” (né alternative di pagamento diretto) né di aver sospeso i rapporti con quel fornitore non appena si è appresa l’esistenza di dubbi sulla genuinità dei crediti.
In considerazione del ruolo cruciale che quei debiti (di quasi 1,9 milioni di euro) rappresentavano rispetto alla tenuta economica di un club di Serie B, il Tribunale ha ritenuto inadeguata una “banale” penalizzazione di 2+2 punti, perché avrebbero potuto risultare ininfluenti ai fini della classifica finale.
La riduzione immediata di 4 punti ha colpito direttamente il Brescia nella fase decisiva dei playout, garantendo un impatto sportivo e finanziario proporzionato alla gravità (quantitativa e qualitativa) dell’illecito. I restanti 4 punti, posticipati al campionato 2025/2026, assicureranno un’ulteriore sanzione economica/sportiva anche nella stagione successiva.
Per quanto riguarda invece l’inibizione dei dirigenti, il Tribunale he ritenuto che, pur non essendovi un dolo esplicito, la condotta di omissione di controlli e di vigilanza abbia configurato una colpa grave tale da rendere incompatibile la permanenza di quei due soggetti in ruoli dirigenziali per un periodo di sei mesi.
In linea con giurisprudenza federale, una simile inibizione serve sia a colpire la responsabilità personale sia a fungere da deterrente per future condotte negligenti, preservando la correttezza delle interazioni tra club, fisco e previdenza.
In definitiva, il Tribunale Federale Nazionale ha ritenuto provato che il Brescia, attraverso l’uso di crediti di imposta di dubbia esistenza, abbia tentato di “far risultare” versati i contributi IRPEF e INPS di quattro mensilità, pur non avendo alcun titolo legittimo a farlo. L’operazione – oltre a violare direttamente le norme fiscali – si configurava come espediente illecito, perché ingannevole rispetto alla Covisoc, all’Agenzia delle Entrate e alle altre società concorrenti, le quali onorano regolarmente i propri obblighi.
Il mancato controllo dovuto da parte di Massimo ed Edoardo Cellino, i quali avrebbero dovuto verificare la solidità e l’esistenza dei crediti acquistati, ha aggravato la responsabilità e reso inevitabile la sanzione sia a livello societario (8 punti di penalizzazione complessivi) sia a livello personale (6 mesi di inibizione per entrambi). Il Tribunale ha voluto, con queste misure, tutelare l’integrità del sistema sportivo, preservare la parità concorrenziale e ribadire che “tutti i club devono onorare i propri vincoli verso l’Erario e gli enti previdenziali in modo chiaro, trasparente e tempestivo”.
L’impatto pratico di questa decisione è immediato: il Brescia si vedrà decurtare 4 punti in classifica – con conseguente retrocessione in Serie C, a meno di un ribaltamento della decisione in appello – e comincerà il campionato 2025/2026 con un handicap di altri 4 punti. Inoltre, i dirigenti non potranno esercitare alcuna attività ufficiale a livello federale per almeno sei mesi, dovendo attendere la scadenza dell’inibizione prima di poter tornare a rivestire cariche societarie.