Oltre il ‘muro giallo’ del Borussia: Dortmund fra industrie e pallone, storia e innovazione, distruzioni e rinascite | OneFootball

Oltre il ‘muro giallo’ del Borussia: Dortmund fra industrie e pallone, storia e innovazione, distruzioni e rinascite | OneFootball

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·20 gennaio 2025

Oltre il ‘muro giallo’ del Borussia: Dortmund fra industrie e pallone, storia e innovazione, distruzioni e rinascite

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BVB, Ballspielverein Borussia, è il nome completo che giganteggia al Signal Iduna Park, nome assai meno romantico del tradizionale Westfalenstadion, con cui abbiamo a lungo identificato la squadra giallonera famosa per il ‘muro giallo’, l’effetto ottico provocato dalla spianata di maglie dei 25.000 tifosi della curva. Degli 81.365 spettatori che è capace di ammettere lo stadio più capiente di Germania, 3.000 saranno a Bologna domani sera, un numero che ha suggerito a Palazzo d’Accursio alcune accortezze di massima, come il cambio della viabilità e del trasporto pubblico, dispiegando oltre 100 agenti della polizia locale per prevenire attriti con gli ultrà nostrani.


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Fonte: Stuart Franklin/Getty Images (via OneFootball)

La classifica odierna non rende giustizia al Borussia che fu e che è stato: decima, con solo 25 punti in 18 giornate, la squadra allenata dall’ex calciatore-bandiera Nuri Sahin è invece ancora in corsa per sperare di essere ammessa addirittura tra le prime 8 della maxi classifica Champions, a dimostrazione del fatto (e anche il BFC ne è prova) che campionato e coppa raccontano spesso storie opposte all’interno della stessa stagione.

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Fonte: Lars Baron/Getty Images (via OneFootball)

Avessimo affrontato il Dortmund di una dozzina d’anni fa, non ci sarebbe stata storia: nel 2013 i gialloneri di Klopp, reduci da una doppia Bundesliga conquistata alla faccia del Bayern Monaco, arrivarono in finale proprio coi bavaresi, perdendola all’89’ per un gol di Robben. Si concluse così il ciclo di una delle squadre più divertenti del XXI secolo, quella in cui convivevano Robert Lewandowski, Mario Götze, Marco Reus e Mats Hummels, quest’ultimo protagonista della più noiosa telenovela di calciomercato della scorsa estate. Ma anche il BVB di metà anni Novanta si fece notare, con tanto di Coppa dei Campioni strappata alla Juventus di Lippi.

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Fonte: Alex Grimm/Getty Images (via OneFootball)

Tutti quindi conoscono il Borussia, ma pochissimi possono dire altrettanto di Dortmund, che pure è stata la sede della partita più importante del calcio italiano degli ultimi 40 anni, ovvero la semifinale Germania-Italia 0-2 con le reti di Grosso e Del Piero (e in seguito il grido «andiamo a Berlino!» ripetuto a squarciagola da Fabio Caressa e Beppe Bergomi). Dortmund sorge nella parte orientale della regione industriale della Ruhr, una megalopoli di quasi 6 milioni di abitanti formata da 11 città autonome, probabilmente la zona più inquinata e industrializzata del Continente dopo la nostra Pianura Padana. Distrutta da un incendio, nel 1152 venne ricostruita per volontà di Federico Barbarossa, il bisnonno di quell’Enzo che ci piacque tener prigioniero fino alla morte nel palazzo di fronte al Nettuno.

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Fonte: Alex Livesey/Getty Images (via OneFootball)

Grazie alla rapida industrializzazione dello Stato prussiano, Dortmund divenne la capitale dell’estrazione del carbone e della produzione dell’acciaio. E questo, se da un lato fu il fattore decisivo della sua crescita vertiginosa, dall’altro è stato il motivo della sua distruzione nella Seconda guerra mondiale, un destino condiviso anche da Bologna: il 13 marzo 1945 sui cieli di Dortmund volarono centinaia di bombardieri anglo-americani che distrussero il 98% degli edifici del centro storico.

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Fonte: travel365.it

Come molte città tedesche, Dresda in primis, anche Dortmund è risorta dalle sue ceneri e oggi è tra le prime città in Europa nel campo dell’innovazione tecnica. Non solo: la Konzerthaus, inaugurata nel 2002, è uno degli auditorium più all’avanguardia del continente per acustica e design (anche Bologna avrebbe dovuto averne uno simile, se si fosse dato ascolto al progetto di Renzo Piano e Claudio Abbado, ma questa è un’altra storia). Chi farà un salto (magari il prossimo anno, sempre in Champions?) al Deutsches Fußballmuseum troverà invece qualcosa di familiare: è il ritratto del bavarese Helmut Haller, la prima popstar del calcio tedesco. Ma soprattutto, il numero 10 del nostro ultimo scudetto.

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Fonte: Central Press/Hulton Archive/Getty Images (via OneFootball)

Luca Baccolini

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Foto copertina: Maja Hitij/Bongarts/Getty Images (via OneFootball)

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