Calcionews24
·5 giugno 2025
Norvegia Italia, i precedenti: quel pareggio a Oslo che (forse) ci insegnò a soffrire. 2005, il brodino prima del banchetto Mondiale. Quando il gioco si fa duro, la Nazionale c’è

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·5 giugno 2025
Vent’anni e un giorno fa, il 4 giugno 2005. Una data che ai più dirà poco, persa nel mare magnum delle partite di qualificazione che costellano il cammino verso un mondiale. Eppure, quel sabato sera all’Ullevaal Stadion di Oslo si consumò l’unico precedente in trasferta tra Norvegia e Italia valido per le qualificazioni alla Coppa del Mondo. Finì 0-0, uno di quei pareggi a reti bianche che solitamente scivolano via veloci dalla memoria. Ma col senno di poi, e con un pizzico di quella sana ironia che il calcio sa regalare, forse quel brodino nordico fu una tappa necessaria, un piccolo, grigio mattoncino sulla strada che avrebbe portato Marcello Lippi e i suoi ragazzi a tingere d’azzurro il cielo sopra Berlino.
«Intanto non perdiamo, poi si vede»: il pragmatismo di Lippi versione qualificazione.L’Italia di Lippi arrivava a Oslo da capolista del Gruppo 5, ma la trasferta norvegese era considerata una delle più insidiose del girone. La Norvegia, pur non essendo più la squadra rocciosa e sorprendente degli anni ’90, in casa sapeva farsi rispettare, puntando sulla fisicità di giocatori come John Carew e sull’organizzazione tattica. Lippi, da vecchio lupo di mare del calcio, sapeva che in queste partite, a volte, un punto guadagnato pesa più di due persi inseguendo una vittoria aleatoria.
La partita, come da copione, non fu uno spettacolo pirotecnico. Poche emozioni vere, tanta lotta a centrocampo e difese attente a non concedere spazi. L’Italia, con Buffon tra i pali e una difesa che già iniziava a profumare di leggenda con Cannavaro e Nesta (sebbene quella sera Nesta fosse assente, giocò Materazzi accanto a Cannavaro), badò soprattutto a non prenderle. Davanti, Totti cercava l’invenzione, Gilardino e Vieri (poi sostituito da Toni) si sbattevano, ma la retroguardia scandinava tenne botta. Fu, insomma, il classico 0-0 da trasferta di qualificazione: risultato utile a muovere la classifica, morale tendente al “portiamola a casa e non se ne parli più”.
E qui scatta l’ironia del destino. Chi avrebbe mai pensato, uscendo dall’Ullevaal con quel pareggino insipido, che poco più di un anno dopo quella stessa Italia, guidata dallo stesso pragmatico condottiero, avrebbe sollevato la Coppa del Mondo giocando partite memorabili e battendo avversari ben più blasonati? Forse proprio in quella capacità di soffrire, di adattarsi, di portare a casa il risultato minimo con cinismo quando necessario, si nascondeva uno dei segreti di quella squadra. Uno “zeroazero” oggi, per poi fare il pieno di gol ed emozioni quando conta davvero. Una filosofia che, a conti fatti, si rivelò vincente.
Se nelle qualificazioni in terra norvegese l’Italia si accontentò di un pareggio, la musica cambia radicalmente quando si analizzano gli scontri diretti nelle fasi finali dei Mondiali. Lì, quando la posta in palio era decisamente più alta, gli azzurri hanno sempre avuto la meglio, spesso al termine di partite cariche di tensione e significato.
La prima volta fu nel lontano 1938, in Francia. Ottavi di finale: l’Italia di Vittorio Pozzo, futura bi-campione del mondo, superò la Norvegia per 2-1 solo dopo i tempi supplementari, con una doppietta di Silvio Piola. Un inizio sofferto per un torneo che si sarebbe concluso trionfalmente.
Ben più impressa nella memoria collettiva è la sfida di USA ’94. Fase a gironi, New York, un caldo torrido. L’Italia di Arrigo Sacchi, dopo la sconfitta all’esordio con l’Irlanda, era con le spalle al muro. La partita si mise subito in salita con l’espulsione di Gianluca Pagliuca dopo soli 21 minuti per un fallo di mano fuori area. Entrò Luca Marchegiani, uscì Roberto Baggio tra mille polemiche. Sembrava l’inizio della fine, e invece, in dieci contro undici per più di un’ora, l’Italia tirò fuori un orgoglio e una compattezza straordinari. Ci pensò Dino Baggio, con un colpo di testa imperioso su cross di Signori, a regalare una vittoria per 1-0 che fu ossigeno puro e che spianò la strada verso la finale di Pasadena.
Quattro anni dopo, a Francia ’98, il copione si ripeté, questa volta negli ottavi di finale. A Marsiglia, l’Italia guidata da Cesare Maldini affrontò nuovamente una Norvegia ostica. La partita fu risolta da un lampo di Christian Vieri al 18′ del primo tempo, abile a sfruttare un lancio millimetrico di Di Biagio. Un 1-0 pragmatico, “maldiniano” per eccellenza, che ci proiettò ai quarti di finale contro i padroni di casa francesi (e lì, ahinoi, la lotteria dei rigori ci fu fatale).
Insomma, da Oslo 2005 con il suo 0-0 soporifero ma utile, fino alle battaglie vinte ai Mondiali, la Norvegia ha spesso incrociato il cammino dell’Italia in momenti significativi. E se quel pareggio in qualificazione non resterà negli annali per la bellezza del gioco, forse va ricordato con un sorriso sornione: un piccolo, silenzioso passo verso la gloria più grande. Perché, a volte, per vincere i Mondiali, bisogna anche saper fare 0-0 in Norvegia.