Calcionews24
·19 febbraio 2025
Nicola Berti: «L’Inter mi prese di notte, San Siro era gioia pura. Festaiolo? Sì, ma sul campo ho dato tutto»
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·19 febbraio 2025
Nicola Berti si racconta al Corriere della Sera in una lunga intervista a 360°: infanzia, famiglia, nazionale, vita privata e ovviamente tanta Inter. Di seguito le parole dell’ex calciatore nerazzurro.
DISOSSARE UN PROSCIUTTO – «Farei fatica, ma mio padre me lo aveva insegnato nel negozio di famiglia. Non credeva che avrei mai sfondato nel calcio, per cui mi prese un banchetto con il quale giravo i mercati. D’inverno stavo lì con un giaccone enorme, stile omino Michelin. E mi ricordo ancora il gelo alle mani quando prendevo le ricotte dall’acqua».
PRIMI PASSI NEL CALCIO – «Sì, giocavo, anche come centravanti e lavoravo. Tanto che Carmignani a Parma mi ripeteva di smettere con i mercati, perché mi vedeva stanco. A diciassette anni ho debuttato in Serie B, facevo anche lo stopper. Avevo una grande tigna, anche se tecnicamente non ero il massimo…».
IL MILIARDARIO CON LO ZERO IN CONDOTTA – «Assieme ad altri dieci “geni” in prima media andammo su una collina di Salsomaggiore a fumare e a perdere tempo. Per separarmi dalle cattive amicizie mi bocciarono».
EPISODIO DELLA FONTANA A 14 ANNI – «A Salsomaggiore c’era già Miss Italia, allora scavalcai un muro per entrare nel giardino dell’hotel che ospitava le ragazze e mi ritrovai accanto a Patty Pravo. A Salso mi sentivo a casa mia e facevo un po’ di casino…».
IDOLI CALCISTICI – «Fu Claudio Gentile, mio compagno a Firenze, che un po’ mi forzò a dire questa cosa. Certo Tardelli mi piaceva e quando me lo hanno presentato sono arrossito, anche se io ero più bravino (ride, ndr). Nel Mondiale del 1982 comunque io impazzivo per il Brasile».
LA FINALE MONDIALE DEL 1994 – «Contrariamente a quanto si pensa mi ero candidato per calciare il rigore, ma Sacchi mi saltò. Mi consolai per la sconfitta andando a San Diego con i miei amici brasiliani».
VIVERE IN PIAZZA LIBERTY – «Milano era bellissima, anche se oggi è troppo incasinata e sto bene in centro a Piacenza. In quell’appartamento sono rimasto nove anni: duecentocinquanta metri quadri, con terrazza sul Duomo, se i muri potessero parlare… Ma appunto, non è che si faceva festa tutti i giorni, anche perché organizzare per cento persone non era una cosa così semplice. Il festaiolo ero sempre io, ma c’erano tanti compagni e tanti milanisti. Veniva anche Vialli da Torino».
ESSERE ANTIPATICO PERCHÉ CI SI DIVERTE – «Vale ancora oggi. Anche ai miei compagni davo un po’ fastidio a volte, perché guadagnavo tanto, sorridevo sempre, e mi permettevo di andare a bere una birra al pub, anche due. E qualche volta è capitato che alla domenica sbagliassi la partita».
IL CALCIO COME FESTA – «Il giorno del derby lo zio Bergomi era tutto incupito perché doveva marcare Van Basten e ogni tanto lo prendo in giro per questo. Io, invece, non vedevo l’ora di trovarmi davanti a quella folla: San Siro per me era la gioia assoluta».
GLI SCHERZI DEI COMPAGNI – «Per scherzo mi hanno bruciato un paio di scarpe da squash a cui tenevo molto. Le avevo indossate per due mesi di fila: l’ideatore fu Pagliuca».
IL RIFIUTO DEL NAPOLI E LA SCELTA DELL’INTER – «Ero già in Nazionale e si scatenò l’asta. Erano tutti a Salsomaggiore per me: Moggi, Boniperti, Galliani, Beltrami dell’Inter. Il rialzo nerazzurro arrivava sempre di notte e finii per guadagnare più di Bergomi, Ferri e Zenga messi insieme. Vincemmo subito lo scudetto dei record e l’asse fondamentale era Brehme, Berti, Serena».
DOVE HA CONOSCIUTO SUA MOGLIE – «A Saint Barth, era la direttrice del ristorante più bello dell’isola. È francese, di origine algerina. Sapeva che ero un ex calciatore, ma in quel periodo pesavo centodieci chili e giravo con lo scooter e il sigaro. Avevo progettato di andare lì a vivere, perché sapevo che l’adrenalina mi sarebbe mancata da morire. Ai Caraibi sono rimasto cinque anni e ho tenuto la casa: ho ammortizzato così l’addio al calcio».
CHE PADRE È – «Non sono uno che stressa i figli. Il piccolo è un gigante, fa il classico e tira di boxe, il più grande ha smesso con il calcio per il Covid, fa il chitarrista e canta: genere metal».
IL MONDIALE DEL ’94 SENZA CONTRATTO E IL FLIRT COL MILAN – «Sì, ho incontrato Berlusconi ad Arcore per un pourparler. Io non sarei mai andato e anche lui si è tirato indietro, forse perché politicamente non sarebbe stato conveniente. Mi avevano proposto la scorta, avrei dovuto vivere vicino a Milanello: ma che vita sarebbe stata? Per fortuna l’Inter poi si è data una mossa».
PEDINAMENTI PER LA SUA VITA NOTTURNA – «Sì, poi mi convocavano in sede, mostrandomi dove ero stato. In un periodo storto mi mandarono per punizione una settimana a San Pellegrino Terme da solo con il preparatore, in un albergo per camionisti: non c’era neanche la tv in camera».
L’INNO DI MAMELI AL MONDIALE ’94 – «Invece per far ridere i miei compagni a Italia ’90 mi mettevo la mano sul petto, ma a destra. Ero uno che sdrammatizzava, in un ambiente che si prende troppo sul serio. Ho fatto la carriera secondo le mie regole, mantenendo un equilibrio. Per questo non ho nessun rimpianto».
I TIFOSI INTERISTI GLI PERDONAVANO TUTTO – «No. Dopo una sconfitta con la Samp a San Siro mi avevano puntato. Allora ho chiesto ad Eriksson se mi ospitava nel pullman doriano per uscire dallo stadio. E mi sono disteso fra i sedili…».
I FISCHI DA EX A FIRENZE – «Sì, è stata l’unica volta che mi sono tremate le gambe, c’erano i vecchi che mi tiravano le monetine e il Trap mi ha tolto nel primo tempo. Mi sono incazzato, ma aveva ragione lui».
IL CALCIATORE COME “OGGETTO SESSUALE” – «Ci sono momenti in cui sei figo, sorridente, magari ci sai anche fare. Però poi mi sono venuti dei dubbi, ho fatto dei viaggi in posti dove non ero conosciuto, per vedere se c’era differenza. E posso dirlo: il risultato non era lo stesso di quando facevamo le vasche in centro a Milano».
LE PROPOSTE DA UOMINI – «No, colleghi mai. Poi ovviamente i milanisti dicevano che io e Aldo Serena eravamo una coppia: la gelosia è una brutta bestia».
UMA THURMAN GLI HA MAI DETTO CHE HA LA FACCIA DA ATTORE? – «No, ma me lo dice Gabriele Salvatores».
LA PASSIONE PER ELVIS – «Nessuno l’ha mai davvero capito, ma ho ancora tutti i vinili».
È STATO MAI FREGATO CON I SOLDI? – «No, sono piuttosto attento. E mio fratello è il mio commercialista: purtroppo dice che mi mancano altri tre anni alla pensione, per un cavillo dei tempi del Tottenham».
LO SCHERZO DELLE “IENE” – «Ci sono cascato alla grande! Secondo me l’ideatore è stato proprio Aldo Serena, gliel’ho anche chiesto, ma non dirà mai la verità. C’è stato un periodo in cui a Saint Barth ero single e passavano di lì le navi da crociera, poi c’erano gli shooting delle modelle…».
MOMENTI DI SCONFORTO – «No, non li voglio. Ho qualche preoccupazione per i figli che crescono: cose normali».
L’ATTESA DELLE PARTITE – «Volevo che l’attesa di una partita importante non finisse mai. E quei momenti ancora oggi mi mancano da morire».
IL RAPPORTO CON IL PUBBLICO – «Sì. Mi sono goduto le cose e l’ho fatto in maniera del tutto consapevole: c’erano ottantamila persone che cantavano “Nicola Berti, facci un gol”. A me, un centrocampista, uno che da ragazzino vendeva le ricotte nei mercati: pura emozione. Dall’altra parte, quei cori li facevano a Van Basten. Ma si rende conto?».