Calcio In Pillole
·13 marzo 2021
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Il 13 marzo 1967, a Medellìn, in Colombia, nasce Andrés Escobar. Il suo nome, nel grande calcio europeo, potrà non dire granché, ma la sua storia, finita tragicamente, tanti anni fa ha fatto il giro del mondo. Cresciuto nel Colegio Calazansen, nel 1986 passa all’Atlético Nacional, allora il club più forte e blasonato della Colombia. Difensore roccioso e di grande temperamento, Andrés Escobar conquista presto anche un posto nella Nazionale. Con cui è protagonista ai Mondiali di Italia ’90, al fianco di campioni come Valderrama e Rincòn, forse la migliore generazione calcistica che la Colombia abbia mai visto. Il cammino dei Cafeteros si fermerà agli ottavi di finale, contro la vera sorpresa del Mondiale, il Camerun.
Rientrato in Colombia, Andrés Escobar conquista due campionati con l’Atlético Nacional, che si aggiungono alla Copa Libertadores vinta nel 1989. Nel Paese, il calcio in quegli anni è un potente strumento di consenso sociale, usato ed abusato dai cartelli della droga che tengono in scacco la Colombia per almeno due decenni. La vita del difensore si intreccia così, indirettamente, con quello del suo ben più famoso omonimo, Pablo Emilio Escobar Gaviria. Mitizzato dalla televisione, ma tra i più grandi criminali che la storia recente abbia mai visto.
Arriviamo, così, a lunghe falcate, ai Mondiali di Usa ’94, geograficamente vicini e ancora più sentiti dal popolo colombiano. Quella Colombia, secondo Pelé, era addirittura tra le possibili outsider alla vittoria finale. Forse troppo, ma la qualità non mancava davvero, equamente diviso tra i vari Carlos Valderrama, Valencia, Aristizábal e Faustino Asprilla. E invece, le illusioni dei Cafeteros si frantumano presto, già ai gironi. Fatale, dopo la pesante sconfitta contro la Romania nella prima partita, l’inaspettato passo falso contro gli Stati Uniti, il 22 giugno 1994. Serviva vincere per restare in corsa e ipotizzare il passaggio del turno, ma la partita si mette male dopo un goffo autogol proprio di Andrés Escobar.
La Colombia si spegne, gli americani raddoppiano, e la rete alla fine del match di Valencia non fa che aumentare il rammarico. Il Paese piomba nello sconforto e nell’apatia, condividendo un dramma sportivo del tutto inatteso. Ma da qualche parte monta la rabbia, la voglia di vendetta, legata con ogni probabilità alle perdite legate ad un enorme giro di scommesse clandestine. Andrés Escobar non è solo colpevole del disastro calcistico della Colombia, ma di un piccolo terremoto finanziario in seno ad uno dei cartelli più potenti di Medellìn.
Il suo destino è ormai segnato. Il 2 luglio, fuori da un locale della città, il “Padua”, viene raggiunto da una sventagliata di mitra. A giustiziarlo, dopo una lite con alcuni membri dei “Pepes“, cartello storicamente nemico proprio di quel Pablo Emilio Escobar Gaviria ucciso dalla polizia solo qualche mese prima, è Humberto Muñoz Castro, una ex guardia del corpo. Il Paese, per quanto abituato alla violenza, è sconvolto dalla morte assurda di uno dei suoi figli migliori, Andrés Escobar, ma la notizia farà il giro del mondo, piombando come un fulmine a ciel sereno sul Mondiale, che di lì a poco avrebbe vissuto, e vivrà, la sua fase finale. Senza la Colombia, eliminata, e senza Andrés Escobar, ucciso dalla furia dei cartelli.