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·7 agosto 2022

Milan sempre più francofono: dietro il mosaico del capo-scout Geoffrey Moncada

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Dopo l’era dei tre olandesi negli ultimi anni ’80 e quella dei brasiliani di inizio 2000, il prossimo step rossonero nel progetto di restaurazione del proprio prestigio internazionale passa per un dizionario francofono, dato che ben sedici pedine della rosa attuale del Milan parlano francese.

L’uomo dietro il puzzle: Geoffrey Moncada

L’impronta decisiva nella composizione di questo puzzle è attribuibile a Geoffrey Moncada, capo- scout milanista, spesso lontano dalle luci dai riflettori ma continuamente menzionato ed elogiato dai dirigenti rossoneri per via dell’efficacia delle sue scelte operative.


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Approdato in rossonero in uno dei periodi storici più delicati a livello finanziario e progettuale del club meneghino, Moncada è una delle migliori intuizioni del fondo Elliott nel processo di restauro del Milan.

“La richiesta primaria di Elliott è stata quella di sviluppare l’area sportiva tramite un mix di scouting e statistiche – spiegava Moncada durante un’intervista del 2021 rilasciata al podcast francese “Podcast Prolongation” – così abbiamo optato per la creazione di due aree, una scouting e l’altra dati, che potessero quotidianamente lavorare fianco a fianco”.

La prima a muoversi è l’area dati, che estrapola le statistiche chiave dei calciatori più interessanti e con maggior potenziale.

Successivamente subentra l’area scouting, che inizia a seguire più da vicino i giocatori, per valutarne le caratteristiche comportamentali e di temperamento in campo.



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Il curriculum di Moncada parla per lui: classe 1987, muove i primi passi della sua carriera nelle vesti di video-analyst freelance.

Nel 2011 scova un ragazzino di 12 anni che gioca nel Bondy, di nome Kylian Mbappé.

Nel 2012 viene ingaggiato dal Monaco, squadra di cui diventa capo-scout nel 2016.

Il suo percorso di crescita prosegue bene, visto che nell’annata 2016/17 il club monegasco, pieno zeppo di giovani calciatori dall’immenso potenziale, vince la Ligue 1 e raggiunge le semifinali di Champions League.

L'1 dicembre 2018 arriva la chiamata del Milan, da cui parte il capitolo più recente della storia professionale di Geoffrey Moncada.

In poco meno di quattro anni, il lavoro di Moncada, coadiuvato da quello di Paolo Maldini per l’area tecnica, da Frederic Massara per l’area sportiva e da Stefano Pioli sul campo e in panchina, genera i suoi primi grandi frutti, portando i rossoneri al loro 19° scudetto a distanza di undici anni dall’ultimo.

Un Milan dall’accento francese

Analizzando la rosa rossonera dal punto di vista della nazionalità dei calciatori e delle principali tappe della loro carriera, emerge una percentuale molto evidente di calciatori che conoscono il francese, molti dei quali lo parlano come lingua madre.

Tra i pali, due elementi su tre sono legati alla lingua transalpina: il madrelingua Mike Maignan e il rumeno Ciprian Tatarusanu che, tra Nantes e Lione, ha militato in Ligue 1 per quattro anni.

Spostandoci in avanti, il pacchetto difensivo franco-rossonero è composto da ben cinque elementi che parlano francese.

Il nativo di Lione Pierre Kalulu e poi Fodé Ballo-Tourè, naturalizzato senegalese ma nato e cresciuto in Francia, dove ha vestito le maglie di Paris Saint-Germain, Lille e Monaco.

Si passa poi per il marsigliese Theo Hernandez e si vira su un duo non-francese ma comunque transitato per la Ligue 1.

Si tratta del danese Simon Kjaer, che ha giocato nel Lille dal 2013 al 2015 e di Alessandro Florenzi, protagonista nel Paris Saint-Germain durante la stagione 2020/21.

Nella zona mediana del campo la compagine ha da poco salutato Franck Kessié, che aveva dichiarato a più riprese di duettare calcisticamente e linguisticamente bene con il suo compagno di reparto, l’algerino Ismael Bennacer.

Cronologicamente dopo di loro sono arrivati Tiemouè Bakayoko, nato a Parigi e pilastro del Monaco dei miracoli 2016/17 e poi Yacine Adli, acquistato dal Milan la scorsa estate e rimasto in prestito nel Bordeaux, sua squadra di origine, fino al termine della scorsa stagione.

Sulla trequarti Alexis Saelemaekers, che come Charles De Ketelaere è nato e cresciuto in Belgio, dove il francese rientra tra le lingue ufficiali.

Chiude il trittico il portoghese Rafael Leão che, dopo i primi passi di carriera allo Sporting Lisbona, è passato al Lille per la stagione 2018/19.

A guidare il pacchetto francofono offensivo del Milan Olivier Giroud, nato a Chambéry e rimasto calcisticamente in patria fino alla soglia dei 26 anni.

Dopo di lui Zlatan Ibrahimovic, che ha trascorso quattro stagioni a Parigi e poi il belga Divock Origi, che ha militato nelle fila del Lille dal 2010 al 2015 tra giovanili e prima squadra.

La comunanza linguistica come primo mattone del castello

Parlare in campo tramite i piedi è sicuramente il primo punto di partenza per oliare i meccanismi tattici di una squadra vincente.

Altrettanto sicuro è che avere una predominanza linguistica comune può favorire il consolidamento e l’affiatamento di una squadra che fa del calcio “di sistema” il suo motore e della forza del gruppo l’arma per competere con avversari che, sulla carta, possono apparire favoriti.

Due parametri fissi sul mercato

Per smentire l’ipotesi che la presenza di calciatori francofoni nel Milan sia frutto di banali casualità, è curioso notare come anche molti dei nomi accostati insistentemente ai rossoneri durante le ultime sessioni di calciomercato rispondessero fedelmente allo stesso identikit formato da due prerogative principali: gioventù e francofonia.



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Tre nomi su tutti: Romain Faivre, corteggiato fino a gennaio 2022 dai rossoneri e poi passato dal Brest al Lione; Mohamed Simakan, che nel gennaio 2021 dallo Strasburgo è passato al Lipsia; Sven Botman, che poche settimane fa ha dato l’addio al Lille per trasferirsi in Premier League al Newcastle.

La progettualità fondata su valori precisi e parametri decisionali fissi ha permesso al Milan di risvegliare i propri tifosi dal torpore di un decennio trascorso a guardare gli avversari sollevare coppe e titoli vari.

“Trust the process” è il motto che si potrebbe prendere in prestito dalla squadra di NBA dei Philadelphia 76ers per descrivere la roadmap che ha permesso al Milan di tornare ai vertici delle competizioni nazionali, scommettendo su giocatori giovani e promettenti dopo una serie di annate disastrose.



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