Calcio Africano
·24 ottobre 2019
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Dalle triplette alla politica il passo è breve. Nel 2010 il kenyano McDonald Mariga vinceva tutto con l’Inter di José Mourinho, anche se nel ruolo di comparsa. Nove anni più tardi, rimasto svincolato alla soglia dei 33 anni, il centrocampista portato in Serie A dal Parma ha deciso di cambiare vita e tentare l’avventura politica, candidandosi per un seggio parlamentare a Kibra, uno degli slum della capitale Nairobi.
L’ex interista, sostenuto dai nazionalisti del Jubilee Party del presidente Uhuru Kenyatta e del suo vice William Ruto – entrambi personaggi piuttosto controversi, accusati in passato dalla Corte Penale Internazionale di violazione dei diritti umani in occasione delle proteste scatenate dal voto del 2007 – ha già in testa un’agenda politica, anche se nei comizi tenuti in queste settimane non ha mai specificato come intenda mantenere le promesse elettorali: “I nostri figli dovrebbero andare a scuola e noi faremo in modo che accada. Garantirò anche un aumento dei profitti per gli imprenditori, creando nuovi posti di lavoro“, il succo del suo discorso.
L’obiettivo di McDonald Mariga è quello di prendere il posto del defunto Ken Okoth, il parlamentare di Kibra stroncato a luglio da un cancro al colon, ma secondo i ben informati difficilmente il 7 novembre uscirà vincitore nella sfida con Imran Okoth, fratello di Ken e delfino dell’ODM, il principale partito d’opposizione presieduto da Raila Odinga.
La popolarità di Mariga potrebbe però far saltare il banco, stravolgendo completamente i pronostici. In Kenya, peraltro, ne sanno già qualcosa: altri calciatori kenyani come Charles Mukora, Chris Obure e Joab Omino sono stati eletti in parlamento, anche se nessuno di questi poteva vantare una fama neanche vagamente simile a quella di Mariga.
Precedenti illustri
Quella di abbandonare il rettangolo verde per atterrare sulle poltrone della politica, tuttavia, è una tendenza piuttosto diffusa in tutto il continente africano. Nasce da un’esigenza precisa, quasi una sorta di responsabilità innata dei campioni verso la propria gente, un senso del dovere nei confronti della patria d’origine che a volte si sovrappone all’ego personale: “Quando il tuo paese è in crisi e tu sei una figura di spessore, che gode di grande popolarità, ovviamente le persone si aspettano che tu sia coinvolto e che faccia qualcosa per loro“, spiega Mamadou Gaye, esperto di comunicazione e media della CAF.
L’esempio più illustre e conosciuto, manco a dirlo, è quello di George Weah. Nel 2017, l’ex attaccante del Milan e unico Pallone d’Oro africano della storia del calcio, è stato eletto presidente della Liberia, vendicando così la sconfitta incassata dodici anni prima, quando nella corsa presidenziale il popolo gli aveva preferito Ellen Johnson Sirleaf, la prima donna capo di stato in Africa.
Il rischio più grande per i calciatori, comunque, è quello di venire sedotti e abbandonati, quando l’incedere del tempo ne appanna la fama, facendo precipitare i consensi. Ne sa qualcosa l’ex attaccante del Liverpool Titi Camara, nominato ministro dello Sport guineano nel 2010, prima di essere scaricato dopo appena due anni dal governo di Alpha Condé, oggetto in questi giorni delle proteste popolari per via di un controverso tentativo di emendamento costituzionale.
Forse, anche per non correre questo rischio, alcuni totem del calcio africano hanno acconsentito a collaborare con i rispettivi governi, mantenendo però sempre una distanza di sicurezza dall’arena politica, riservandosi di accettare solamente ruoli di rappresentanza o di supporto. Come il senegalese El Hadji Diouf, tra gli eroi del memorabile mondiale del 2002, nominato ambasciatore e consigliere per lo sport dal presidente Macky Sall: “Sono un soldato al servizio delle generazioni future“, il suo motto più iconico.
Secondo qualcuno, invece, il camerunense Samuel Eto’o sarebbe intenzionato a sfidare il presidente di lungo corso Paul Biya in un prossimo futuro, ma per ora il fuoriclasse di Douala ha mostrato interesse soltanto per il sociale, prestando il proprio volto a diverse campagne del governo: qualche anno fa, ad esempio, l’ex bomber di Inter e Barcellona ha partecipato al programma Back to School, una vasta campagna contro la dispersione scolastica avviata da Yaoundé nelle regioni anglofone occidentali, teatro dal 2017 di un conflitto a bassa intensità tra i separatisti e il governo centrale.
Drogba sarà il prossimo?
Tutti, infine, si aspettano la discesa in politica dell’ivoriano Didier Drogba. Il phisique du rôle di certo non gli manca: ad Abidjan le strade sono tappezzate da cartelloni pubblicitari sui quali campeggia il suo volto sorridente e, dopotutto, non può essere un caso se nel 2010 il Time lo ha inserito nella classifica dei 100 uomini più influenti del pianeta.
La politica, poi, ha già dimostrato di saperla maneggiare in campo, usando il calcio come strumento di pace contro le atrocità di una sanguinosa guerra civile: nel 2005, dopo la prima, storica qualificazione della nazionale ivoriana ai mondiali, ha preso un microfono e dagli spogliatoi dello stadio di Khartoum (in Sudan) ha lanciato un appello alle fazioni in lotta nel suo paese, chiedendo la fine delle ostilità.
La gara, come pronosticabile, è stata senza storia: gli Elefanti hanno liquidato il Madagascar con un portentoso 5-0. Il goleador del Chelsea, che prima del fischio d’inizio aveva regalato un paio di scarpini al leader ribelle Guillaume Soro, ha segnato solo una rete, l’ultima, ma quel giorno la cosa veramente importante era un’altra, ovvero che: “Il paese era diviso a causa dei politici e noi siamo riusciti a riunirlo giocando a calcio“. Anche se, qualche anno più tardi, le ostilità sarebbero riprese, prima di scemare del tutto con la riabilitazione dell’attuale presidente Alassane Ouattara da parte dell’Onu e l’arresto nel 2011 dell’ormai ex presidente Gbagbo.
Articolo apparso originariamente su Nigrizia
Credits Copertina ©Hvisasa Foto 1 ©Avvenire
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