Pagine Romaniste
·1 aprile 2025
Mancini: “Vedere la Roma in basso ci faceva male, Ranieri ci ha fatto capire che credeva in noi. Con i tifosi un amore reciproco”

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·1 aprile 2025
Gianluca Mancini ha rilasciato un’intervista durante la trasmissione Fontana di Trevi, trasmessa da Cronache di spogliatoio. Ecco le parole del difensore giallorosso ai vari temi trattati:
È diventata una rincorsa Champions? «Sicuramente, da quel derby a oggi, in pochi ci credevano davvero. Erano in pochi ad averci pensato. Noi, dentro lo spogliatoio, sapevamo cosa stavamo facendo, ma all’arrivo del mister Ranieri, a essere sinceri, anche noi facevamo un po’ fatica a crederci. Tuttavia, con il lavoro e la tranquillità che ha portato il mister, partita dopo partita ci siamo resi conto che potevamo recuperare terreno e riagganciarci al gruppone. Adesso siamo lì, ma come ho detto ci aspettano partite davvero difficili. Questa è l’ultima di un ciclo di otto gare importanti, e dobbiamo pensare a vincere per rimanere attaccati al treno».
Quando vedevate la classifica in autunno pensavate alle coppe come ancora di salvezza o consideravate il campionato una cosa fattibile? «Le coppe, avendo raggiunto una semifinale negli ultimi cinque anni, sono sempre state un obiettivo a cui tenevamo particolarmente. Peccato che quest’anno le cose non siano andate come speravamo. Il campionato, invece, ci faceva soffrire troppo. Era dura vederci in quelle posizioni, in quei mesi in cui i risultati non arrivavano. Tuttavia, come ho detto tante volte, l’impegno durante gli allenamenti, la forza del gruppo e la voglia di stare insieme non sono mai mancati, nemmeno nei momenti più difficili. Non posso dire che fossimo completamente sereni, ma avevamo la convinzione che le cose si sarebbero sistemate. Non si poteva pensare di trascurare il campionato per concentrarsi solo sulla coppa, perché nello spogliatoio ragioniamo sempre partita dopo partita. La classifica ci pesava, vedere la Roma in quelle posizioni ci faceva male, e volevamo risalire».
Su Ranieri. «Da quando è arrivato, il mister ha aperto la porta del nostro spogliatoio. Io, ma credo anche i miei compagni, abbiamo percepito un allentamento della tensione e di quella sensazione di malessere che ci accompagnava, perché stavamo vivendo davvero male la mancanza di risultati. Il mister ci ha spiegato il suo metodo di lavoro, come vedeva le cose sia sul campo che nell’atteggiamento. Una cosa che mi ha colpito particolarmente è stata una frase che ha detto appena arrivato. Era novembre, venivamo da una serie di brutti risultati e non ricordo esattamente la nostra posizione in classifica, ma tutti sapevano che la situazione era complicata. Eppure lui, fin da subito, ha detto che i cavalli buoni si vedono alla fine. Quella frase mi ha fatto riflettere. È arrivato in un momento drammatico, senza conoscerci direttamente, ma evidentemente aveva visto qualche partita e aveva intuito il potenziale della squadra. Dire una cosa del genere in quel contesto ci ha dato una grande spinta: ci ha fatto capire che lui credeva in noi, anche senza conoscerci a fondo. Da quel momento abbiamo deciso di seguirlo, di lavorare secondo le sue indicazioni e di affidarci alla sua esperienza. Così siamo arrivati fin qui, ma, come ho detto prima, non abbiamo ancora fatto nulla».
Quanti messaggi hai lasciato a Ranieri chiedendogli di restare? «Questo è un tema particolare. È sempre stato chiaro con noi e lo è stato anche nelle ultime settimane con voi giornalisti. È evidente che una figura come la sua sia importante non solo per noi giocatori, ma per tutto l’ambiente Roma: da chi lavora a Trigoria, a chi viene allo stadio, fino ai calciatori stessi». Sul rapporto con i tifosi. «L’amore dei tifosi l’ho sentito fin da subito, già dal primo anno. Non so se vi ricordate, ma ho giocato alcune partite a centrocampo in una situazione di totale emergenza, con tanti centrocampisti assenti. Il tifoso romanista, in questi momenti, ti trasmette la voglia di aiutare la squadra, anche oltre i propri limiti. È stato allora che ho capito questo amore reciproco, perché anche io sono pazzo di questa tifoseria, di questo stadio, di questi tifosi e di questa città. È un legame speciale, fatto di tante emozioni che si sono intrecciate nel tempo. In campo, a volte, mi trasformo perché l’adrenalina prende il sopravvento. Tuttavia, soprattutto nell’ultimo periodo, con mister De Rossi e mister Ranieri abbiamo lavorato molto su questo aspetto».
Su Dovbyk. «Artem è un ragazzo d’oro, eccezionale. Sappiamo tutti quello che purtroppo sta vivendo la sua famiglia, e credo che questo lo condizioni un po’. Tuttavia, quando siamo in campo, nei 90 minuti bisogna essere bravi a lasciare da parte tutto il resto, anche se non è sempre facile. A volte lo prendo in giro o lo sprono, perché è un armadio a quattro ante, enorme. Quando mi alleno contro di lui e ci scontriamo nei contrasti, quasi mi viene paura, perché se arriva con forza ti manda a quattro metri di distanza. Ieri, fino al primo tempo, l’ho caricato in modo particolare e gli ho detto: “Artem, o fai gol o ti prendi un giallo, voglio vederti dare una spallata a un difensore e farlo volare fuori dai cartelloni”. E infatti, il gol è quasi nato da una spallata con Federico Baschirotto. Sono due ragazzi fisicamente imponenti, ma quella cattiveria agonistica, in senso sportivo, è stata decisiva per segnare. Quando ha esultato, gli ho detto: “Sei forte, devi sfondare sempre”, ovviamente in senso positivo e calcistico».
Avete mai pensato a dove sareste potuti essere se Ranieri fosse arrivato prima? «Guarda, hai trovato la persona sbagliata, perché io con i se e con i ma non vado d’accordo. Il mister è arrivato in quel periodo e, senza dire che abbiamo vissuto tre campionati diversi, in una sola stagione abbiamo cambiato tre allenatori. Anche se a Mister De Rossi non è stato dato molto tempo, la realtà è che ci siamo trovati a lavorare con tre tecnici diversi, affrontando difficoltà iniziali con ognuno di loro. Anche con il mister, all’inizio, le cose non sono andate benissimo, perché abbiamo perso delle partite. Però c’era qualcosa di diverso, lo sentivamo nell’aria. Quindi non posso risponderti in modo netto, dicendo semplicemente dove eravamo e dove siamo ora».
Vedete l’obiettivo europeo in modo diverso ora? «Il calendario è difficile, ma lo era anche prima. Le partite di quest’anno hanno dimostrato che vincere non è mai scontato, su nessun campo. Ovunque vai, trovi delle difficoltà. Non è che se vinci a Lecce, poi automaticamente vinci a Empoli o a Parma. Non si può dire che affrontare queste squadre sia più facile rispetto alle big, almeno sulla carta. Le partite sono sempre complicate, ma ora affronteremo squadre che sono vicine a noi in classifica e che lottano per gli stessi obiettivi. È inutile girarci intorno: da come siamo partiti a dove siamo arrivati adesso, siamo tutti lì, separati da pochi punti. Bisogna ragionare partita per partita Sono le partite più belle, quelle che affronti con grande carica, spinta e voglia di dare il massimo. Bisogna prepararsi al meglio, concentrandosi prima sulla Juventus, poi sulla Lazio, poi sul Verona e sull’Inter. Ogni domenica si scende in campo sapendo che ogni punto può fare la differenza. È fondamentale affrontare ogni gara con questa mentalità, perché alla fine sarà proprio ogni singolo punto a determinare il nostro percorso».
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