La seconda vita da allenatore di Joey Barton | OneFootball

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Riserva di Lusso

·23 aprile 2022

La seconda vita da allenatore di Joey Barton

Immagine dell'articolo:La seconda vita da allenatore di Joey Barton

Il calcio ha il merito, spesso e volentieri, di dare seconde opportunità a chi nel corso della sua carriera ha avuto battute d’arresto determinate da infortuni, pesanti sconfitte o, ancor peggio, comportamenti personali non propriamente professionali. Si sente spesso dire che ad ogni caduta corrisponde una risalita, di esempi ce ne sono tanti in giro, ma questa affermazione risulta particolarmente calzante quando tra le mille notizie che passano sulle timeline dei nostri social ne appare una che non può non attirare l’attenzione.

Per Joey Barton il premio di manager del mese di marzo 2022 è il secondo della sua breve carriera da allenatore (il primo lo ha ottenuto nel 2019 alla guida del Fleetwood) ed arriva in una fase cruciale della stagione: difatti quando mancano poche giornate al termine della League Two – la quarta serie del calcio inglese – il suo Bristol Rovers si trova in piena corsa per la promozione ed oggi avrà di fronte la prima forza del campionato, il Forest Green.


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Joey Barton tra calcio e vizi

Il solito Barton l’ha combinata grossissima, Barton è veramente un cretino, Barton è un criminale; infatti, è stato in galera due volte, è uno stupido ed un criminale, uno stupido per la sua squadra ed è francamente un criminale, infatti è un ex galeotto, l’ultima volta che Joey Barton si è segnalato da queste parti è perché da vigliacco ha tirato un pugno in faccia, da dietro, ad un suo compagno di squadra, cioè Dabo, e lo ha mandato in ospedale fratturandogli la faccia. Guardate qui, gli dà una ginocchiata da vigliacco, perché è un vigliacco, vedete lo colpisce alle spalle, che brutta persona! Non dovrebbe stare in un campo di Premier League neanche con un biglietto, Joey Barton […] È un giocatore vergognoso.

Difficile dire se di quel Manchester City-QPR – di cui tra poco ricorrerà il decennale – ricorderemo più il goal di Aguero al 93:20 o il dissing con cui Massimo Marianella decise di commentare l’espulsione di Joey Barton nelle fasi iniziali del secondo tempo di quella partita.

Quel commento si chiuse poi con un elenco delle imprese fuori dal campo dell’attuale allenatore del Bristol Rovers valse squalifiche, multe e giorni di galera. Non ci andremo a dilungare sulla retina distaccata di Dabo o sulla sigaretta spenta in faccia a Jamie Tandy, ragazzo delle giovanili del City, le malefatte fuori e dentro al campo di Barton sono a conoscenza di tutti gli appassionati. Al contrario è utile aprire gli occhi su quanto il calcio possa essere una scappatoia da vite difficili, ma che allo stesso tempo non cancelli le personalità che quelle vite difficili hanno creato.

Rispetto a dieci anni fa, oggi si cerca di capire come una persona all’apparenza innocua perda immediatamente la testa non appena si verifichino episodi generalmente gestibili in maniera più razionale.

Molte persone avrebbero potuto presumere che fosse la pecora nera della famiglia. No, era la pecora bianca della sua famiglia. Per capire perché Joey è questo, devi andare più a fondo e guardare nel suo passato.

Un articolo di Daniel Taylor su The Athletic ha raccolto una serie di testimonianze su Joey Barton e, oltre a notare una forte polarizzazione tra chi lo stima e chi lo odia, questa affermazione di un ex dirigente del City ai tempi in cui era un calciatore dell’attuale squadra campione d’Inghilterra, spiega tanto sulla sua estrazione.

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Joey Barton ha chiuso la carriera da calciatore con la maglia del Burnley (Foto: Ian MacNicol/Getty Images – OneFootball)

Mentre Massimo Marianella in quella telecronaca affermava che Barton non dovrebbe stare in un campo di Premier League, chi lo conosce da vicino ha sempre creduto nella possibilità per l’ex capitano del QPR di trovare il modo per recuperare la propria immagine, da un lato pagando le colpe per i suoi gesti, dall’altra lavorando sulla gestione della rabbia e, soprattutto, dell’alcool, il grande amico/nemico dei giocatori inglesi del primo decennio di Premier League.

L’opportunità arriva dalla panchina

Terminata tra mille squalifiche ed altrettanti provvedimenti cautelari la sua carriera da calciatore, per Barton la possibilità di redenzione calcistica arriva non appena appende gli scarpini al chiodo.

Nell’estate del 2018 il Fleetwood gli offre una panchina di League One, la terza serie del calcio inglese. Si tratta di un club ambizioso ma con un bacino d’utenza abbastanza ridotto (25.000 abitanti) che intende giocarsi le proprie chances di accedere alla Championship, ossia l’ultimo passo prima del paradiso tecnico ed economico della Premier League.

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Da allenatore del Fleetwood, Barton ha collezionato 128 presenze (Foto: Alex Livesey/Getty Images – OneFootball).

Appena vestiti i panni del coach, il modo di intendere il calcio di Barton non cambia rispetto a quello che aveva da calciatore: si va a caccia di ogni pallone e si cerca di intimidire l’avversario, poi una volta recuperato si deve provare a pulirlo e giocarlo nel modo migliore.

Joey Barton non è stato quel calciatore che tutti abbiamo in mente quando pensiamo al paradigma del calciatore inglese: è sempre stato sì uno che ha messo l’agonismo e la ricerca del contrasto davanti a tutto, ma era anche uno a cui affidarsi quando c’era da gestire il pallone. Difatti nel corso della sua carriera ha lavorato molto per migliorare il suo comportamento con la sfera tra i piedi, lo dimostra il fatto che abbia iniziato a giocare da centrale difensivo per poi diventare progressivamente un centrocampista centrale di impostazione.

E le sue squadre, da allenatore, hanno seguito questa sua parabola, Il suo primo Fleetwood è stata una squadra molto “sporca” e molto più figlia del suo animo rude. Anche la gestione dello spogliatoio – stando ai racconti dei giocatori da lui allenati – mostrava ancora le scorie del Barton calciatore: scontroso ai limiti dell’offensivo, ma allo stesso tempo attento alle dinamiche del campo. Il trailer della docu-serie su quella prima stagione sembra confermare tutto questo.

Emergerà ancora una volta la sua capacità di andare a cacciarsi nei guai, facendosi accusare di aver aggredito l’allenatore del Barnsley Steindel al termine di una partita di campionato persa, accusa da cui però è stato assolto nel corso del procedimento giudiziario terminato pochi mesi fa, che ha tenuto però vive le ombre sulla sua personalità.

Arriverà a sfiorare la promozione in Championship nell’anno del lockdown perdendo nella semifinale dei playoff contro il Wycombe che avrebbe poi vinto la finale. In questa seconda stagione si è rivista l’evoluzione calcistica di Barton, con una squadra maggiormente portata a controllare le partite anziché cercare a tutti i costi lo scontro fisico, mostrando come, dopo un anno di apprendistato, l’ex centrocampista di City e Newcastle abbia smesso definitivamente i panni dell’ex giocatore per diventare un manager a tutto tondo.

Tuttavia, il prolungarsi della vicenda relativa alla presunta aggressione di Steindel, assieme ad alcune difficoltà nello stabilire gli obbiettivi con il club lo hanno portato alla scelta di rassegnare le dimissioni e lasciare il Fleetwood a metà della terza stagione. Passeranno poche settimane ed arriverà l’offerta del Bristol Rovers che, già condannato alla retrocessione dalla League One, lo chiama per risollevare le sorti del club.

Barton sceglie Bristol per il riscatto

Dopo aver sfiorato la Championship in quel di Fleetwood, per Barton non è un problema scendere di categoria ed andare ad allenare i Bristol Rovers. Seppur retrocessi in League Two, i Rovers rappresentano un’anima di una grande città con un bacino d’utenza 50 volte superiore a quello di Fleetwood, e questo ha particolarmente solleticato l’animo di una persona così competitiva.

Dopo averlo iniziato a sperimentare a Fleetwood, il 4-2-3-1 è diventato lo schema di base del sistema di gioco del Barton allenatore, intorno al quale si dipana un pensiero calcistico che unisce alla tanta aggressività quando è l’avversario ad avere la palla una ricerca di una gestione più razionale di questa una volta in possesso, a dimostrazione di come il suo modo di allenare sia una metafora della sua vita da calciatore.

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Il Bristol Rovers è una delle squadre più in forma della League Two con i 13 punti conquistati nelle ultime 6 partite. (Foto: Naomi Baker/Getty Images – OneFootball)

Il modo di giocare del Bristol Rovers è basato su una serie di aspetti che lo rendono riconoscibile agli occhi di chi osserva. È la seconda squadra del campionato per possesso palla e possiede l’indice di aggressività più alto (un dato creato da Wyscout che misura il numero di azioni difensive per ogni minuto di possesso palla avversario); questa volontà, inculcata nella squadra da Barton, porta con sé il rovescio della medaglia di esporsi a situazioni difensivamente complicate non appena quella pressione sulla palla non porti alla riconquista.

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Il dato sugli expected goals subiti su azione ci mostra un valore molto alto nonostante un numero di tiri subiti relativamente basso, rafforzando l’idea di una squadra che cerca di avere il controllo territoriale della partita e che, dunque, accetta di concedere qualcosa quando i meccanismi di riconquista del pallone non funzionano a dovere.

Escluse da questo dato ci sono le situazioni su calcio da fermo, aspetto parecchio deficitario della fase difensiva del Bristol Rovers: diversi sono i goal ed i pericoli subiti da situazione di palla inattiva, appena due squadre nella League Two hanno subito più conclusioni da questo tipo di situazioni.

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Nonostante questi dati difensivi tutt’altro che ottimali (ma su cui la squadra di Barton sta nettamente migliorando nelle ultime settimane), il dato relativo ai goal subiti tende la mano ai Rovers, con un valore decisamente inferiore ai goal attesi: sicuramente le ottime prestazioni a difesa della porta da parte del portiere Belshaw unitamente alla scarsa lucidità in fase conclusiva degli avversari hanno contribuito a rendere possibile questo dato.

Per questo motivo, una volta che l’ex capitano del QPR è riuscito a sistemare il comportamento difensivo, la seconda squadra di Bristol ha iniziato una striscia positiva che l’ha portata ai limiti della zona promozione diretta ad appena due punti di distacco dal Port Vale, battuto a domicilio nel turno di Pasquetta.

Tutto gira intorno ai centrocampisti centrali

Joey Barton, al fine di creare quel tipo di squadra che ricordi la sua idea di calcio da calciatore, sta utilizzando i propri centrocampisti centrali come prosecuzione sul campo da gioco delle sue idee.

Paul Coutts e San Finley sono quel due nel 4-2-3-1 su cui Barton sta costruendo la sua carriera da allenatore e sta provando a regalare un sogno alla metà meno gloriosa di Bristol. In entrambi i giocatori sono racchiuse le qualità di interdizione e di costruzione della manovra richiesti da questa tipologia di gioco, e per caratteristiche tecniche ed agonistiche non possono che essere l’esatta emanazione del loro tecnico.

Il primo è un classe 1988 di nazionalità scozzese che ha vissuto l’apice della propria carriera allo Sheffield United, dove ha contribuito alla promozione delle Blades dalla League One all’inizio dell’era Wilder poi culminata due anni più tardi con la promozione in Premier League. Chiusa la parentesi della sua carriera a Bramall Lane il centrocampista scozzese si trasferisce al Fleetwood dove incrocerà sul proprio cammino il suo attuale allenatore, con cui nasce una perfetta condivisione di intenti calcistica che lo porterà ad essere il primo nome sulla lista della spesa del tecnico di Liverpool una volta giunto sulle rive dell’Avon.

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Sam FInley ha al suo attivo 4 goal, 5 assist ed anche 12 cartellini gialli (Foto: Naomi Baker/Getty Images – OneFootball).

Il secondo, invece, è quattro anni più giovane ed ha iniziato la propria carriera in Galles, dove ha anche avuto modo di raccogliere del minutaggio nei turni preliminari di Champions League con la maglia del New Saints. Il suo approdo in Inghilterra è avvenuto con la maglia dell’Accrington, prima di finire sotto le cure di Barton al Fleetwood dove inizia a trasformarsi in quel centrocampista di lotta e di governo che perfettamente si integra con Coutts, e che convince il manager che li ha plasmati a volerli nuovamente uno accanto all’altro nell’esperienza al Bristol.

Così lo scozzese è il giocatore chiamato a far partire l’azione (50 palloni giocati a partita di media) ed a fornire l’equilibrio in mezzo al campo, agendo prevalentemente davanti alla difesa con compiti di copertura quando la squadra è senza palla, e riordinare il possesso quando la squadra riconquista il pallone e c’è da imbastire una nuova azione.

Finley, invece, è l’uomo di raccordo, ossia colui deputato a portare e tenere il pallone nella metà campo offensiva. Tanti sono i compiti che Barton gli delega partendo da quella posizione, a partire dalla conduzione della palla, in cui è uno dei migliori del campionato, oppure innescare l’interessante batteria di trequartisti alle spalle della punta Collins; ma sono i dati in fase di recupero palla ad essere interessanti, visto che è il giocatore con più contrasti all’attivo di tutta la squadra nonché tra i migliori del campionato per palloni recuperati anche in zone alte del campo.

Non è un caso, quindi, che Barton abbia scelto questi due giocatori come il sole attorno a cui far ruotare questa squadra, li ha voluti portare a Bristol dalla sua pregressa esperienza di Fleetwood e che meglio riflettono, come un immagine allo specchio, il giocatore che diventa allenatore.

La promozione in League One per completare la redenzione di Barton?

L’ex (?) Bad Boy sta cercando di portare in questa nuova avventura di allenatore gli insegnamenti che la vita gli ha proposto nel corso di anni dove ha collezionato una grande quantità di danni che è riuscito ad infliggersi da solo.

I suoi colpi di testa da calciatore hanno spesso messo nei guai i propri compagni di squadra nel corso delle partite, così come i suoi comportamenti fuori dal campo hanno reso gli spogliatoi delle squadre in cui ha giocato delle polveriere piene di rancore nei suoi confronti.

Oggi Joey Barton è un allenatore che deve guardare il mondo da una diversa prospettiva, deve far crescere dei giocatori sotto i suoi insegnamenti e trasmettere quella voglia di riscatto che cerca dalla propria vita mediante un grande obbiettivo da portare a casa unendo ciascuno i propri punti di forza. Questo è ciò che ha permesso al Bristol Rovers di crescere nel corso della stagione e di sopravvivere alle proprie mancanze di equilibrio in campo.

Oggi pomeriggio la sfida al Forest Green dominatore della Ligue Two sarà un nuovo capitolo di questa grande avventura che è la vita di Joey Barton.

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