Calcionews24
·21 maggio 2025
La Grande Inter, Bedin: «Annullai Eusebio, di San Siro ricordo una cosa»

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·21 maggio 2025
A dieci giorni dalla finale di Champions League che vedrà l’Inter affrontare il PSG (31 maggio 2025), La Gazzetta dello Sport ha incontrato Gianfranco Bedin, indimenticato mediano della Grande Inter di Helenio Herrera. Nato a San Donà di Piave nel 1945, Bedin, soprannominato “Bedo”, ha legato la sua carriera ai colori nerazzurri dal 1964 al 1974, vincendo tre Scudetti, una Coppa dei Campioni e una Coppa Intercontinentale. Il suo racconto parte proprio dalla magica notte europea del 1965, un trionfo che ha segnato la storia del club.
ESORDIO IN COPPA DEI CAMPIONI – «Nell’autunno del 1964. L’Inter gioca in casa contro la Dinamo Bucarest e vince 6-0. Nel ritorno riposano diversi titolari e un’ora prima della partita Herrera mi dice: “Cambiati, tocca a te”. Avevo 19 anni, giocavo un po’ più avanti e sono arretrato. Mi sono messo a fare il mediano, a marcare. Era un altro calcio: il 2 sull’11, il 5 sul 9, il 3 sul 7. Il 6 faceva il libero. Il 4 era la mia maglia, andavo sul 10».
I GRANDI NUMERI 10 MARCATI – «Sì, veri, difficili e spesso impossibili. Ho marcato Pelé, due volte contro il Santos. Quando c’era il derby, Gianni Rivera. Poi Gunther Netzer contro il Borussia Moenchengladbach ed Helmut Haller alla Juventus. Ne ho visti e seguiti tanti e forti. Soprattutto inseguiti, perché scappavano, sgusciavano via».
LA MARCATURA SU GIANNI RIVERA – «Gianni non sopportava di essere toccato e io gli stavo addosso, gli tiravo la maglia, lo pizzicavo e lui si innervosiva. Non ero “crudele”, come ha scritto qualcuno. Ma il mio lavoro era quello: dovevo fermarlo, oppure anticiparlo. Facevo così con tutti, eh?».
LA FINALE COPPA DEI CAMPIONI 1965: INTER-BENFICA E LA SFIDA CON EUSEBIO – «Freschissimi, come se fosse ieri. Mamma mia! Ho giocato tre finali di Coppa dei Campioni, le due contro il Celtic nel 1967 e contro l’Ajax nel 1972 sono andate male, eravamo anche molto stanchi. Ma la vittoria contro il Benfica, quella sera, quella notte, mi ripaga di tutte le amarezze».COSA LE DISSE HERRERA – «Aveva i suoi slogan. Tipo: “non credo alla sconfitta”. O “chi non dà tutto, non dà niente”. E noi abbiamo dato davvero tutto. L’anima, la maglia, il cuore. Era una notte buia e tempestosa. Tutti aspettavano il re, Eusebio, e invece è arrivato Bedo».COME FERMO’ EUSEBIO – «Ogni mediano sa che il modo migliore per rubare un pallone è arrivare un attimo prima. E, io, diciamolo, ci sono riuscito, aiutato anche dal campo, San Siro era un lago, mai vista tanta acqua in vita mia. E tante luci. Centomila accendini accesi. Sì, centomila, perché sotto c’erano circa trentamila persone in piedi. E l’Inter ha vinto la seconda Coppa dei Campioni consecutiva, contro Eusebio e non solo. Quel Benfica era uno squadrone».
IL RAPPORTO CON HELENIO HERRERA – «Helenio Herrera spesso ci faceva fare del lavoro supplementare. Diceva: “Io vi alleno prima la testa, poi le gambe, dovete diventare più veloci. E tu, Bedin, anche nelle marcature”».AMICIZIA CON JAIR – «Sì, andavamo insieme in auto ad Appiano, era un ragazzo meraviglioso, un brasiliano allegro».
I SUCCESSI CON LA GRANDE INTER – «Grazie a tutti, dalla società ai compagni e ai tifosi. Eravamo qualcosa di speciale, eravamo la Grande Inter».
LA “FAME” DEI GIOCATORI DI QUELL’INTER – «Molti di noi erano poveri, come Jair in Brasile. Qualcuno veniva dalla miseria. Io a San Donà abitavo in una baraccopoli. La chiamavano “Mauthausen”. Quando pioveva entrava l’acqua in casa, io da ragazzo andavo a fare il cottimista nella fabbrica delle carrozzine: più ruote montavo, più soldi portavo a casa. Il calcio era l’unica possibilità di fuga. Io volevo arrivare, sono arrivato. Di corsa e continuo a correre. Mai fermarsi».
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