PianetaChampions
·18 novembre 2022
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·18 novembre 2022
La Copa América vinta nel 2021 ha grattato via le ultime (sterili) incertezze relative al suo elemento più rappresentativo, fino a quel momento protagonista di un rapporto complicato con la Nazionale, fatto da sogni non diventati realtà per centimetri e dettagli in diverse declinazioni. Dopo tale trionfo, Lionel Messi e l’Argentina hanno scoperto una nuova forma d’amore, alleggerita dalle pressioni e finalmente rinfrescata dalle ombrose polemiche delle quattro finali perse dal rosarino baciato dal Signore. Un successo che ha rinvigorito una rappresentativa ovviamente ascritta alla categorie delle eccellenze, ma che necessitava di questa tipologia di carburante per prepararsi a quella che viene percepita come una vera e propria missione.
La Scaloneta, com’è stata ribattezzata l’Albiceleste, guidata da un ottimo CT quale si è rivelato essere Lionel Scaloni, arriva all’appuntamento qatariota a un passo da un notevole record, quello del miglior filotto di partite terminate senza sconfitta. Attualmente a 36, un ulteriore risultato utile permetterebbe a Messi & co. di superare il record dell’Italia di Roberto Mancini. Numeri che aiutano a spiegare i meriti di un gruppo che ha imparato a conoscersi e ad apprezzarsi reciprocamente.
Cos’è realmente cambiato nell’Argentina? Dove risiede la differenza tra un insieme di profili probabilmente meno talentuoso rispetto alle armate passate ma vincente? La risposta più concreta arriva probabilmente da un’enciclopedia del calcio quale Jorge Valdano (a proposito di argentini capace di alzare la Coppa del Mondo al cielo): “È una squadra, non una rappresentativa“. Sottolineatura volta a evidenziare come il gruppo abbia edificato fondamenta umane oltre che calcistiche, grazie alle quali i giocatori godono del tempo che passano insieme, fattispecie che ne ha unito gli intenti e fortificato la personalità collettiva.
Un percorso, dunque, che ha visto l’Argentina giocare un calcio fatto di qualità, alimentata dal talento dei suoi elementi più estrosi, ma tanta tenacia, iniezione probabilmente lacunosa in passato (rapido riferimento: l’Argentina non ha subito gol in otto delle undici partite giocate nella vittoriosa edizione della Copa América). Il CT Scaloni è il direttore d’orchestra di una squadra che ha un calciatore differente come leader (e che è tra l’altro adorato, nell’accezione in un certo senso divina del termine, dai suoi compagni, che hanno accettato di buon grado tale status) e tanti elementi cresciuti in maniera esponenziale, perché stimolati dalle emozioni generate dalla maglia della Selección: De Paul è oramai uno degli sportivi più influenti del Paese, Dibu Martínez ha raccolto elogi con le prestazioni in Copa América, Paredes e Lautaro sembrano i pezzi perfetti per il puzzle costruito.
Tutto pare essersi allineato in maniera esatta e funzionale, indipendentemente dal sistema di gioco e dalle conseguente scelte tecniche (4-4-2 o 4-3-3, disposizioni spaziali che non mutano comunque le idee dell’allenatore, in grado di sprigionare la propensione all’attacco con l’attenzione al multiforme concetto di equilibrio).
Il modus operandi dell’Argentina è talmente ben tessuto in ogni suo filo che si sta già pensando al prossimo ciclo, quello in cui Messi pare apparirà in maniera purtroppo fugace e che potrebbe essere alimentato da una nuova farcitura di talenti, che il Commissario Tecnico sta già inserendo in maniera certosina così da permettergli di prendere confidenza con questo tipo di contesto: Garnacho, Enzo Fernandez, Almada (tra l’altro convocato proprio per il Mondiale a causa del KO del Tucu Correa), Mac Allister (tornato in Nazionale dopo l’esordio nel settembre 2019 targato ancora una volta Scaloni) e diversi elementi che il gruppo di lavoro della Federazione sta monitorando. Ad ogni modo, è presto per pensare al futuro: prima c’è un sogno da maneggiare con cura, onore e passione, tratti che questa Nazionale ha dimostrato di possedere. L’astinenza che prosegue dal 1986 è legittimamente diventata insopportabile.