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·3 febbraio 2025

Iliad: investiti 4,5 miliardi in Italia, ma il gruppo punta a crescere ancora

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Poche offerte, a costi chiari e stabili. E’ questa la ricetta di Benedetto Levi, amministratore delegato di Iliad Italia. L’uomo – spiega L’Economia de Il Corriere della Sera – guida un gruppo da oltre 840 milioni di ricavi nei primi nove mesi del 2024 e con quasi 12 milioni di clienti fra telefonia mobile e, più di recente, fissa. Iliad conta ormai oltre mille dipendenti in Italia, dove ha investito più di 4,5 miliardi per l’acquisto delle frequenze e la costruzione di una rete proprietaria.

Ma l’operatore francese – che è legato anche alla Serie A di calcio in qualità di sponsor del VAR e della Goal Line Technology – sembra pronto a incrementare, e di molto, il suo impegno industriale e finanziario nel Paese. Si prevede che Iliad sarà il prossimo a muovere nel risiko delle telecomunicazioni italiano, dopo avere provato a comprare Vodafone Italia (passata poi a Swisscom).


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In Italia ci sono già 89 milioni di sim, quasi due per abitante, e quindi una crescita del mercato appare improbabile. Con l’avvento dell’amministrazione Trump, l’imposizione di una tassa sulle big tech per sostenere gli investimenti sulle reti appare un’opzione impraticabile. Non resta, secondo gli addetti ai lavori, che puntare a un nuovo giro di consolidamento dopo la fusione Fastweb-Vodafone, che riduca gli operatori da quattro a tre come in Germania, Portogallo, Grecia o Irlanda.

Wind Tre non sembra però della partita. Restano quindi Iliad e Tim, per cui in questi mesi sono state immaginate tutte le combinazioni possibili. Una fusione dei due operatori, l’acquisto delle attività consumer di Tim da parte di Iliad, il subentro del gruppo francese a Vivendi come azionista di maggioranza dell’ex monopolista, l’acquisizione di Wind Tre da parte di Iliad. O un miscuglio di queste formule, magari favorito dall’ingresso di un fondo come Cvc nel capitale di Tim.

Qualunque opzione dovrà però passare per il vaglio del governo. E non solo per via del golden power. Come in pochi altri Paesi, infatti, lo Stato italiano è presente nell’industria delle telecomunicazioni: direttamente o attraverso la controllata Cassa Depositi e Prestiti, è socio di Tim al 9,8% della rete Fibercop al 1696, della sua concorrente Open Fiber al 60% e, presto, anche della società dei cavi sottomarini Sparkle.

Dopo l’uscita improvvisa dell’ad di Fibercop Luigi Ferraris, il ministero dell’Economia pare intenzionato a prendere in mano il dossier rete unica, ossia l’aggregazione fra Fibercop e Open Fiber a monte della filiera delle tlc. Chissà che non decida di valutare anche la questione a valle: il consolidamento degli operatori.

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