Riserva di Lusso
·11 novembre 2020
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Siamo nel 2002: Darío Ismael Benedetto ha 12 anni e sta giocando la finale dei Juegos Nacionales Evita, una prestigiosa competizione giovanile. Veste la maglia delle giovanili dell’Independiente, colosso del calcio argentino. Il torneo si svolge a Berazategui, città della provincia di Buenos Aires a metà strada fra la capitale e La Plata, a pochi chilometri dalla sua casa di El Pato, un piccolo agglomerato agricolo di settemila abitanti.
Mentre è in campo, la madre soffre di un attacco cardiorespiratorio e muore poco dopo. Lui e suo fratello, entrambi in campo, vengono abbandonati al proprio destino in quanto anche il padre era scomparso. La durezza di tali traumi, proprio mentre il giovane Darìo Ismael inseguiva un sogno, lo portano a giurare una cosa: non toccare mai più un pallone in vita sua.
Nelle più comuni delle storie, una decisione così tranchant potrebbe essere l’inizio di un dramma da un lato e la fine di una storia d’amore o di successo dall’altra. Fortunatamente per l’argentino, e per i tifosi che avranno modo di vederlo in futuro, così non fu.
Avevo deciso di smettere del tutto con il calcio, ma decisi di andare avanti proprio per mia madre, che avrebbe voluto che diventassi un calciatore professionista.
Visto che anche lo studio non sembrava il suo forte (quando era vivo il padre lo esortava a decidere tra scuola o lavoro), Benedetto ha l’opportunità di fare un provino con l’Arsenal de Sarandì. In quegli anni la piccola squadra dell’omonimo quartiere, trainata dalla proprietà della famiglia Grondona, stava iniziando a bruciare tappe importanti.
I celesti e rossi si stavano affermando come un volto nuovo nell’élite del calcio argentino, soprattutto in una zona, quella meridionale, monopolizzata da Racing e Independiente. Da Sarandì, in quegli anni, saranno molti i giovani calciatori a marcare il primo passaggio prima di affermarsi in europa: tra questi vi sono il Papu Gomez e Leonardo Ulloa vincitori della storica Copa Sudamericana 2007.
Fino alle 14 lavoravo come muratore, poi il pomeriggio mi allenavo con l’Arsenal.
Racconterà così in futuro il Pipa, chiamato in questa maniera per le dimensioni del suo naso. Da qui inizierà a tutti gli effetti la sua carriera da calciatore professionista, portandolo però ad abbandonare l’altra passione, quella di musicista in una band, “I Los del Pato“, anch’essa condivisa con suo fratello.
Gli inizi all’Arsenal Sarandì saranno complicati: dopo la Sudamericana 2007, la squadra ha trionfato anche in Coppa Suruga Bank 2008 (organizzata tra i vincitori di Copa Sudamericana e Coppa nazionale giapponese) ed è giunta seconda nella supercoppa europea 2008, la Recopa Sudamericana, inchinandosi allo strapotere dei connazionali del Boca Juniors.
Le aspettative saranno molto più alte del previsto, tanto che Benedetto troverà il gol in una sola occasione tra il 2008 ed il 2009. Mandato in prestito nella vicina Florencio Varela, cittadina a pochissimi passi da Berazategui, tra il 2009 ed il 2011 vestirà la maglia del Defensa y Justicia. Ma anche qui, non utilizzato in maniera ottimale, inciderà poco sulle sorti del club.
Soffocato dalle prime promesse non mantenute, Benedetto fugge nel profondo nord del paese, a Jujuy. La città, conosciuta per le bellezze naturalistiche e per le immense distese di sale non lontane dalla Bolivia, è anche uno dei pochi agglomerati settentrionali con una solida società calcistica, quella del Gimnasia.
Il ragazzo troverà a Jujuy uno dei primi allenatori capaci di intenderlo, plasmarlo e dargli fiducia, ovvero Francisco Ferrero. Divertente l’aneddoto, raccontato dallo stesso Benedetto, in cui il calciatore, con smania di essere schierato finalmente nelle vesti di numero nove, chiede a Ferrero non solo di essere impiegato in quella posizione, ma anche di andare in panchina per qualche match per potersi ambientare. Ferrero, invece di essere stranito dall’atteggiamento del ragazzo, lo asseconda lasciandogli del tempo, inserendolo poi come attaccante puro. Esperimento riuscito perché, alla prima vera annata, Benedetto marcherà 11 gol in 19 partite, che gli varranno il ritorno trionfante a Sarandì.
Il Pipa di Sarandì, al secondo volume, sarà ben diverso dal primo: in questa fase della carriera si iniziano a notare le vere peculiarità del ragazzo. Nonostante una statura contenuta (175 cm), Benedetto si fa conoscere per la rapidità d’esecuzione, soprattutto con il piede destro, così come per la rapacità d’anticipo nei confronti dei difensori.
La qualità di tocco lo rende un attaccante capace di giocare con i compagni, retrocedendo per creare superiorità, così come un gran tiratore, anche dalla lunga distanza. Uno dei ricordi più belli a Sarandì resta infatti un calcio di punizione da fuori area in Copa Libertadores, contro i boliviani del The Strongest.
Nonostante le due ottime annate, in Argentina in pochi decidono di puntare su Benedetto: è per questo che Il Pipa decide di emigrare per la prima volta. Lo fa un anno a Tijuana prima e due a Città del Messico poi, per giocare con gli Xolos e con l’América. L’attaccante ammirato nelle tre annate messicane è il perfezionamento di quello che gli era mancato negli anni, la concretezza assoluta sotto porta e la costanza nel mantenere le attese.
Nei 38 gol segnati ce ne saranno di importanti, come quelli che lo portano a trionfare con l’América in campionato nel 2015 ed in CONCACAF Champions League sia nel 2015 che nel 2016. E di variegati, perché il Pipa segnerà in tutti i modi possibili: non solo con tiri dalla media/lunga distanza ma anche con tagli centrali, anticipi di testa o tap-in da vero bomber.
Esto es Boca.
Questa è la frase che decide di tatuarsi sul fianco sinistro assieme al magico scudo Xeneize, una fede di famiglia mai spenta nel cuore di Benedetto, da sempre fedele abbonato e tifoso del Boca.
E probabilmente è per questo che quando il club si accorge di lui e vuole portarlo alla Bombonera non ci pensa un attimo. Ma non è così facile. In Messico sanno benissimo quanto può valere Dario e ovviamente non vogliono svenderlo, così la trattativa si complica. Ed è qui che il Pipa ci regala un’altra storia da romanzo, decidendo di mettere di tasca sua il milione mancante per concludere la trattativa e vestire così, finalmente, la 9 del Boca.
La presentazione di Benedetto alla corte Xeneize nel teatro de La Bombonera è di una bellezza abbagliante, qualcosa di mai visto prima. È il 25 settembre, Boca-Quilmes. In 18 minuti El Pipa segna tre gol e un assist al bacio per il tap-in vincente del Wachiturro Ricardo Centurion.
Un gol di tacco, un destro da 40 metri ed un gol di testa. Il Boca Juniors vince due volte di fila la Superliga ed il Pipa si laurea addirittura a capocannoniere del campionato come non accadeva dai tempi di Martín Palermo. È il primo capitolo di un romanzo che racconta una storia d’amore finalmente sbocciata.
Ai tantissimi gol in maglia bostera, molti dei quali spettacolari e ricchi di fascino, ed assieme alle esultanze passionali ed amorose (“datemi una sola palla ed io la metto dentro” disse dopo un gol al Newell’s nel 2017), le annate di Benedetto in Xeneize lo rivelano come il miglior attaccante della Superliga argentina.
Anche Jorge Sampaoli, allora CT della nazionale, si accorge di lui e decide di convocarlo per le qualificazioni mondiali di Settembre ed Ottobre 2017. “Il muratore” che scalza Higuain e Icardi, si inizia a vociferare. Il Pipa è in un periodo di grazia, ma proprio mentre sogna il mondiale 2018 si risveglia bruscamente per un grave infortunio al crociato.
Nonostante l’ennesima batosta, Darío ritornerà in campo la stagione successiva, rivelandosi una delle chiavi per il raggiungimento della storica finale di Copa Libertadores 2018 contro il River Plate.
La storicità dell’incontro peserà nella testa di Benedetto, un tifoso in campo che avverte la pressione in maniera smodata rispetto agli altri. Per molti sarà uno Sliding Door della fine, prematura, della storia d’amore tra il Pipa ed il suo Boca. Dopo l’1-1 della Bombonera, e nonostante il gol nella finale di ritorno di Madrid, la cocente sconfitta porterà la gran parte della rosa a lasciare gli Xeneizes l’estate successiva.
Nell’estate 2019, l’Olympique Marsiglia ingaggia André Villas-Boas come allenatore: la compagine francese, un colosso del paese a livello di tifo, non ha un grandissimo budget ma si affida alla conoscenza calcistica del mago di Coimbra per migliorare le proprie sorti.
AVB non fa richieste esose, ma pronuncia esplicitamente il nome di Benedetto per l’attacco dopo averlo osservato al Boca. Nonostante il tira e molla, l’argentino sbarca in Provenza per 12 milioni: non era mai successo prima d’ora, soprattutto vista l’età del nativo di El Pato, che trova l’Europa a 29 anni. Un’altra storia incredibile.
Quello che poteva sembrare un azzardo si rivelerà, nel corso del tempo, un’intuizione vincente. Non solo per le 11 realizzazioni dell’argentino nel 2019-2020, ma per la capacità di aiutare la manovra offensiva della squadra. Nonostante sotto porta sia cercato poco, il Pipa si fa trovare pronto in qualsiasi occasione, segno di un’autostima alle stelle.
Il primo gol lo realizza nel derby contro il Nizza, ma uno dei più belli sarà quello contro il Saint-Étienne in cui Benedetto servirà un compagno con un pregevole tacco prima di concludere il contropiede con un delizioso tap-in. A Marsiglia, terra calorosa e fortemente attaccata alla squadra, l’argentino diventa un idolo. A causa dello stop del campionato francese nel Marzo 2020, a causa del COVID-19, il Marsiglia si classificherà secondo, qualificandosi per la Champions League l’anno successivo.
Quella che doveva essere la chiusura di un cerchio, in 18 anni in cui Benedetto ha saputo prendersi tutto pur avendo poco o nulla, si sta rivelando però un’annata difficoltosa. Il nove dell’OM non ha ancora trovato il cammino del gol ed appare in difficoltà in una squadra che fatica ad avere gioco. Una sua giocata illuminante però, di testa, ha portato all’assist per Morgan Sanson nella vittoria di Strasburgo venerdì. Segno che il Marsiglia e Benedetto hanno ancora bisogno l’uno dell’altro per risollevarsi e sognare in grande.