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·20 gennaio 2022

Il Fatto: Stellantis, altri soldi pubblici o tagli

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Nel giorno del primo anniversario della fusione tra PSA e FCA, l’amministratore delegato di Stellantis Carlos Tavares ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera in cui lamentava il fatto che le fabbriche italiane costassero di più di quelle straniere.

Un messaggio neanche troppo indiretto al Governo secondo la stampa nazionale, che ha provato a interpretare le parole dell’AD del gruppo italo-francese. Il Messaggero per esempio ha parlato di una richiesta all’esecutivo di una politica industriale per il settore dell’automotive.


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Più esplicito il Fatto Quotidiano nella sua edizione odierna, che ha spiegato come Tavares abbia voluto mandare un segnale preciso all’Unione europea sul fronte della scelta ambientale per le vetture elettriche e un altro segnale all’Italia, che ospita 5 stabilimenti produttivi del gruppo chiedendo soldi, in forma di incentivi, e parlando di «rischi sociali».

Per Tavares – spiega il Fatto riprendendo l’intervista dell’AD al Corriere della Sera – oggi si vendono soprattutto vetture di fascia alta, mentre la classe media che rischia di abbandonare il mercato. La situazione peggiorerà quando si abbandoneranno i motori termici per quelli elettrici: «Realizzare un’auto elettrica costa il 50% in più. Questo significherà, nei prossimi 5 anni, dover salire del 10% di produttività, quando gli attuali livelli europei sono fermi al 2-3%».

Il manager parla di rischi sociali nei prossimi 10-15 anni e di cancellazione della classe media come cliente. Da qui, i toni molto meno trionfalistici rispetto a quelli di un anno fa sul fronte dell’elettrico: oggi vetture di quel tipo devono percorrere 70 mila km prima di aver compensato la CO2 creata per realizzare le batterie e «sino ad allora non saranno competitive coi veicolo ibridi leggeri, prodotti spendendo la metà».

Sarebbe questo un primo messaggio all’Unione europea: il limite del 2035 per l’estinzione dei motori termici è troppo ravvicinato, bisogna rallentare. Poi, Tavares passa a un altro avvertimento, questa volta all’Italia: «Chiudere impianti significa mandare tutti a casa. Se posso evitarlo, lo eviterò. Di solito mantengo le promesse, ma il futuro dei nostri siti dipenderà anche dai vincoli politici sulla decarbonizzazione. Vedremo a fine 2022».

In ballo ci sono le sorti dei cinque siti italiani, Mirafiori al Nord e gli altri 4 al Sud, e della componentistica che sta già pagando la prima innovazione in Italia di Tavares: riportare parte della produzione di componenti, con punte del 20-35%, all’interno di Stellantis. E con segnali che cominciano a filtrare: l’area di oltre 3 milioni di metri quadrati di Mirafiori non serve più, per Stellantis ne basta la metà.

Per questo, il Fatto Quotidiano si chiede: «Ma il governo Draghi, pressoché silente da un anno sulla fusione e oggi in stand by per le vicende del Quirinale, è in grado di replicare? Magari chiedendo un piano preciso dei modelli e delle produzioni in Italia e concordando una transizione verso i motori elettrici che sia sostenibile. E pretendendo, in cambio di incentivi e di ammortizzatori sociali, l’individuazione di un futuro della produzione automobilistica. E magari evitando di lasciare a Tavares, com’ è successo ieri sul Corriere e poi nella sua visita all’impianto di Termoli, il compito di rivelare che l’impegno per collocare nello stabilimento molisano la terza gigafactory europea di batterie “non è ancora chiuso”».

Nella partita, va segnalato che questo pomeriggio il presidente di Stellantis John Elkann ha incontrato a Palazzo Chigi il premier Mario Draghi. L’appuntamento – secondo quanto si apprende – rientra nell’ambito delle attività di relazioni istituzionali di Elkann. Nessun dettaglio sul merito dell’incontro è stato diramato.

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