Juventus FC
·17 novembre 2024
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In occasione del Derby della Mole del 9 novembre, l’Allianz Stadium ha ospitato in Legends Club un grande e giovane Chef italiano, che ha collaborato con lo staff resident di “da Vittorio” e con Chef Chicco e Bobo Cerea.
Parliamo di Jacopo Ticchi, ideatore e guida del ristorante “Da Lucio” di Rimini, e protagonista del primo appuntamento di “ICONA” 2024/25, che ha una vocazione semplice, e al contempo complessa: servire il miglior pesce della Riviera.
«Tutto nasce con un’idea semplice: aprire un ristorante, di pesce. Ho sempre sognato la grande ristorazione, e quando ho pensato al progetto ho dovuto capire cosa fare, perché ci sono tante proposte, e bisognava capire come “uscire”. Avevo 25 anni, dovevo prendere una direzione, precisa, che permettesse alla gente di identificarmi, e mi sono posto una sfida semplice e complicata allo stesso tempo: servire il miglior pesce di Rimini», racconta Jacopo, che all’Allianz Stadium ha vissuto un’esperienza inedita.
«Mi capita spesso di uscire dal ristorante e vivere esperienze particolari: è una cosa che mi fa piacere. Quella dell’Allianz Stadium per me è una serata veramente unica, non mi era mai successo di lavorare in un contesto del genere, che unisce tante cose e tante emozioni; il servizio in questo contesto è molto peculiare, per le tempistiche e la situazione, ma la viviamo con serenità. Inoltre nella mia famiglia c’è tanta Juventus, con me ho portato mio papà e mio nonno, che vive davvero per la Juve, quindi è una soddisfazione doppia per lui»
«Abbiamo pensato a una proposta che da un lato ci rappresentasse e che dall’altro fosse adeguata al contesto. Il nostro piatto più iconico qui è il crudo di cefalo con tuorlo d’uovo marinato e affumicato e colatura di alici: è il piatto che faccio da sempre, e so che è quello con cui “facciamo gol”, perché rappresenta la mia terra e il mio mare».
Ma torniamo all’idea che ha ispirato Jacopo, per rendere il pesce di “Da Lucio” il migliore di tutti:
«La caratteristica unica del nostro lavoro è la frollatura del pesce, che permette di mantenere sentori e consistenza unici. La durata della frollatura dipende dal pesce, dal suo stato di grasso e dalla stagione, e va da 3-4 giorni fino a 7-8. I cefali che abbiamo portato qui hanno attraversato un processo di frollatura di una settimana»
Come nasce l’idea? «Ci siamo posti il quesito di come servire al suo massimo il pesce, elevandone le qualità il più possibili, e la risposta è stata proprio la frollatura. Abbiamo maturato questo progetto dallo studio del pesce: andare al mercato è un’emozione unica, quando arriva la barca col pescato, ma mi sono reso conto che, al momento di mangiarlo, il risultato, per buono che fosse, non era secondo me mai pari alle aspettative».
«Ci siamo fatti ispirare dalla lavorazione della carne e dalla domanda: “Come mai cucinare la carne permette di ottenere risultati migliori?” E la risposta era proprio bel processo di lavorazione. Basta fare un paragone fra le pescherie e le macellerie, in cui non si sente quasi nemmeno l’odore della carne. Inoltre, è opinione comune che il pesce vada mangiato subito, perché poi va a male, ma è un errore. Da qui la domanda: come si può applicare al pesce un processo di conservazione simile a quello applicato alla carne?»
«Abbiamo trovato il modo di permettere una frollatura del pesce in celle che assicurano una condizione tale da permettere che non vada a male ma maturi nel modo corretto, conservandone i principi in modo salubre, perdendo liquidi e mantenendo tutto il suo gusto vero. Questo è possibile anche grazie a un precedente processo di pulitura, che elimina tutte le viscere che portano umidità e batteri: abbiamo consulenti medici che ci spiegano come fare tutto in modo sano, che eviti batteri e rischi di ogni tipo».
«C’è anche un altro tema, per noi importante: la gratitudine verso il pescato, che ci porta a dire che “del pesce non si butta via niente”, a parte le branchie e poche altre interiora. Dividiamo tutti i tagli del pesce, e ogni parte ha una sua destinazione precisa, per creare tantissime combinazioni di piatti».
«Quando ho aperto, cinque anni fa, la nostra proposta era unica: non credo di avere inventato io la frollatura, ma di certo è una tecnica poco utilizzata, e questo, unito all’idea di servire il pesce dalla testa alla coda, è stata negli anni apprezzata, perché se le cose vengono comunicate bene e in modo semplice, questo aiuta: ho sempre utilizzato la tecnica di raccontare e far vedere il nostro lavoro, prima di servirlo in tavola, e in questo modo abbiamo abbattuto le barriere. Quando ho aperto eravamo in cinque, ora siamo alla terza location, inaugurata poche settimane fa, e siamo 26. La prima esperienza è partita tre mesi prima del Covid, e da un lato non è stato ovviamente semplice, ma quei mesi di stop mi hanno permesso di dedicarmi alla ricerca e agli esperimenti e sento di averli utilizzati bene. Il nostro menu adesso si è ampliato, anche se i nostri principi restano invariati».
«Il mare per noi è ispirazione, ci dà la direzione ed è fonte di motivazione, perché la nostra proposta lo deve rispettare. E poi è il simbolo dell’incognita, di qualcosa che non sempre si può prevedere, ed è un aspetto della vita che mi affascina»