Icona Calling | A tu per tu con Jacopo Mercuro | OneFootball

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Icon: Juventus FC

Juventus FC

·3 maggio 2024

Icona Calling | A tu per tu con Jacopo Mercuro

Immagine dell'articolo:Icona Calling | A tu per tu con Jacopo Mercuro

In occasione del match tra Juventus e Milan all’Allianz Stadium dello scorso 27 aprile, all’interno del progetto ICONA - con cui la Juventus sta sostenendo la candidatura della cucina italiana a patrimonio dell'umanità - abbiamo avuto l’occasione di incontrare e fare qualche domanda a Jacopo Mercuro; rivelazione assoluta del panorama internazionale con il progetto “180grammi Pizzeria Romana”, classe 1988 diventato un riferimento nella Capitale e non solo.

È stato lui a immaginare e preparare un menu ispirato al legame tra cibo e calcio, sottolineando l’importanza della cucina italiana in ogni sua forma e parlando dell’importanza del progetto portato avanti dalla società bianconera: «La cucina merita tutela perché è una vera e propria arte: come un pittore si esprime su una tela, io lo faccio dietro ai fornelli, ci metto i miei sentimenti. In una cucina mettiamo in gioco e in mostra una parte di noi, dico sempre che chi viene a mangiare da “180grammi” mangia anche una parte di Jacopo, perché ci mettiamo in discussione e a nudo davanti al nostro cliente. Non è semplice, siamo sempre sotto giudizio, ma attraverso quello che finisce nel piatto riesco a esprimere le idee che ho in testa. Se non è arte questa…».


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UN MENU CHE GUARDA E CHE PENSA AL CALCIO

«Con la partita che inizia alle 18, il servizio parte alle 15:30 e viene fatto proposto ai nostri ospiti tutto il menu degustazione prima dell’avvio della gara. Abbiamo pensato a una serie di portate che avessero un forte legame con il calcio, a partire da quella che si chiama: “Quando si giocava la domenica alle 15” - con la quale abbiamo pensato all’idea di mangiare in un orario diverso da quello al quale di solito si pranza. Ricordo che, quando andavo allo stadio da ragazzo, non facevi mai in tempo a mangiare a casa perché si partiva con largo (e a Roma anche con larghissimo) anticipo per arrivare alla partita e mamma mi dava il panino con la frittata. Abbiamo rivisitato quindi quel ricordo, facendo una pizza in teglia con una frittata di vignarola all’interno, con lattuga alla brace, guanciale croccante e della vinaccia - un formaggio affinato sotto bucce d’uva»

«Non solo quello: abbiamo portato anche la coda alla vaccinara, se è per questo! Venendo da Roma abbiamo deciso di proporre qualcosa di casa nostra, cercando di associarlo il più possibile al mondo calcistico. Siamo tutti grandi appassionati di questo sport e abbiamo provato a mantenere un legame con il calcio: la prima portata è un sampietrino - col nome che ricorda l’antico manto stradale romano - abbiamo portato la cacio e pepe e poi, sempre a proposito di calcio, abbiamo una portata che si chiama “Super Santos”: te lo ricordi il pallone? Volevamo preparare quella che a Roma chiamiamo “bomba”, che viene fritta e quindi diventa arancione proprio come il Super Santos: dentro ci sarà mozzarella di bufala, salsa marinara e Parmigiano Reggiano vacche rosse».

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UNA FORTE LEGAME CON LA TRADIZIONE, PROVANDO A SPERIMENTARE

«Non abbiamo la presunzione di cambiare nulla nella preparazione e nella proposta di pizza che facciamo nel locale, però sicuramente abbiamo ripreso quella che era la tradizione romana e la nostra è stata una sperimentazione - siamo andati “fuori di testa”. Ovviamente è stato un percorso e ci siamo arrivati con il tempo, facendo sì che anche la clientela si abituasse a un lavoro diverso da quello che veniva solitamente proposto. Il focus principale è stato quello di mantenere apertura mentale su tutto, non avere paletti e vincoli: sentirsi liberi sull’espressione. Quando lavoro con i miei ragazzi in cucina dico sempre: “Vi sembra una cosa strana? Allora è quella giusta, vai, proviamo!”. Poi non sempre riesce quello che proviamo, ma pensare fuori dagli schemi è la base. Facciamo sempre delle ricerche per capire se è già stato fatto: se non c’ha pensato nessuno, allora è il nostro».

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LA FORZA (E IL CORAGGIO) DI METTERSI IN GIOCO, PER PASSIONE

«A farmi scattare qualcosa dentro e a portarmi radicalmente a cambiare vita rispetto ai miei precedenti studi legati alla giurisprudenza, è stata l’insoddisfazione che mi portava la vita che facevo prima: era un percorso in cui mi sentivo chiuso e che non mi aveva permesso di capire quanto fossi una persona creativa. Avevo un malessere intero che mi ha portato a cercare qualcosa in cui far sfociare la passione che avevo dentro: ho iniziato a scrivere di cinema, ho studiato quello e mi ero convinto che sarei diventato un critico cinematografico. Allo stesso tempo però mi piaceva molto cucinare, soprattutto la pizza ed è stato poi un colpo di fortuna quello di avere l’opportunità di provarci: tant’è che, senza aver mai lavorato per nessuno, ho aperto insieme ad altri il primo locale, dal nome “Mani in Pasta”. Non avere un’impostazione e non avere dogmi precedentemente assorbiti ci ha permesso di essere liberi di sperimentare, da subito: ho pagato in quel caso lo scotto dell’inesperienza, dopo due anni abbiamo chiuso quell’esperienza, ma poi quando sono partito con “180 grammi” è arrivata la consacrazione. È stato un lungo percorso».

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