Juventus FC
·29 maggio 2025
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Il 29 maggio 1985, allo stadio Heysel di Bruxelles, pochi minuti prima dell’inizio della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, 39 persone persero la vita a causa di violenti scontri scoppiati sugli spalti e proseguiti durante una serata segnata da drammatici eventi. Quella notte ha rappresentato una tragedia senza senso, lasciando un dolore profondo per le vittime che non fecero ritorno a casa. Dopo quarant’anni, la ferita resta aperta, senza trovare pace o consolazione.
Il ricordo, indelebile, di chi quei momenti li ha vissuti in prima persona.
«Era una partita che andava a coronare un biennio, l'anno prima si era vinto lo Scudetto e la Coppa delle Coppe. E lo Scudetto ci permise di andare in quella che allora era la Coppa dei Campioni, dove la Juventus partiva abbastanza da favorita. Siamo arrivati in fondo alla stagione con una cavalcata, credo storica, dove abbiamo corso forse l’unico pericolo nella semifinale di ritorno a Bordeaux. E quindi arrivammo a quella finale come predestinati, con la possibilità di poter chiudere un cerchio importantissimo per quella che era la storia della Juventus. Il ricordo di quella serata, però, non è quello che sarebbe dovuto essere. Fu una notte tragica e ci furono tutti i presupposti per fare in modo che terminasse in quel modo. Uno stadio fatiscente per una finale di Coppa dei Campioni, una misera presenza di forze dell’ordine per un avvenimento di quel genere. Io l'ho vissuta tutta dalla panchina perché sono subentrato nel finale al posto del nostro caro amico Paolo Rossi. L’atmosfera era surreale, abbiamo giocato una partita che ci hanno costretto a giocare per vari motivi. Le due squadre erano insieme negli spogliatoi, per diverso tempo si pensava di non giocare. L'entità dell'incidente non la conoscevamo nel momento della gara fino a quando poi siamo tornati in albergo. È stata una tragedia, avrebbe dovuto lasciare e insegnare qualcosa di più, avrebbe dovuto lasciare un segnale più indelebile nel mondo del calcio. Per noi è un bruttissimo ricordo».
«Mentre facevamo il riscaldamento, che si prolungava nel tempo, vedemmo arrivare dalla curva Z dei tifosi in lacrime, con in braccio dei bambini che piangevano. Avevano tutti i vestiti strappati e i primi soccorsi sono arrivati dal personale UEFA e dal nostro dottore, Francesco La Neve, con il servizio d’ordine completamente inadeguato che invece non è intervenuto. Nel corso del riscaldamento ci fu una sorta di riunione, la Juventus non voleva giocare quella partita ma fu costretta a scendere in campo anche per motivi di ordine pubblico. Terminata la partita tornammo in albergo e ci venne raccontato nel dettaglio l’accaduto. Chi dice che abbiamo vinto una coppa insanguinata non fa altro che aumentare ancora di più il dolore dei familiari che hanno perso il loro caro. Da bambino sogni di giocare la Coppa dei Campioni, di vincerla, ma all’improvviso ti trovi in una situazione surreale: da un lato quel trofeo lo hai vinto, dall’altro, però, ci sono trentanove morti innocenti. A distanza di anni continuo a pensare che non ci sia stata cosa più giusta di giocare quella partita perché altrimenti staremmo parlando di una strage. Allo stesso tempo, però, non dobbiamo dimenticarci di queste 39 persone che purtroppo hanno trovato la morte per una partita di calcio. Non deve più succedere, queste persone vanno sempre ricordate».
«Per quella finale sono stati fatti dei gravi errori sia di scelta dello stadio, non adatto a una finale di Coppa dei Campioni, sia di leggerezza nel non considerare l'aspetto agonistico tra le due tifoserie che poteva purtroppo sfociare in incidenti con l’assenza di adeguata sicurezza. Sin da subito è apparso qualcosa di molto grave, andando in mezzo ai tifosi, nella curva della Juventus, abbiamo visto la disperazione della gente anche se non capivamo esattamente cosa fosse successo. Arrivavano persone terrorizzate, persone ferite. Non ti rendevi conto che una parte della tribuna era crollata. Eravamo contrari a giocare, ma poi forse è stata la scelta più giusta perché si è evitato il contatto fra le tifoserie».
«È stata una situazione incredibile e percepivo i segnali che qualcosa di brutto poteva succedere già dalla passeggiata mattutina, che abbiamo fatto nelle zone centrali di Bruxelles, notando l’euforia dei tifosi inglesi - dobbiamo ricordare che era il periodo degli hooligans - sin dalle prime ore della giornata. C’è stata una gestione non all’altezza, da parte di tutti gli organi competenti. Non si sarebbe dovuta disputare una finale di Coppa dei Campioni in uno stadio come quello. Quando ci è stato detto realmente cos’era successo mi ha fatto malissimo. Noi avevamo ricevuto notizie frammentarie, c'era gente che passava nello spogliatoio e ci diceva qualcosa… Poi, una volta arrivati in hotel, abbiamo saputo di quello che era realmente accaduto. E il ricordo è quello di non aver potuto salutare 39 calciatori che erano venuti con noi per giocare al nostro fianco. È qualcosa che è impresso non solo nelle nostre anime, di noi che eravamo lì, ma nelle anime di chiunque, anche di chi è fuori dall'ambiente sportivo».